La guerra in Ucraina fin qui

Breve racconto di quello che è successo da quando è iniziata l'invasione russa, e perché si parla di “seconda fase” del conflitto, per chi si è perso dei pezzi

di Elena Zacchetti

Soldati ucraini a Kharkiv (AP Photo/Felipe Dana)
Soldati ucraini a Kharkiv (AP Photo/Felipe Dana)

L’invasione russa in Ucraina è iniziata il 24 febbraio, quasi due mesi fa. Le truppe russe hanno attaccato da sud (dalla Crimea, annessa alla Russia nel 2014 dopo un’occupazione militare e un referendum considerato illegale praticamente da chiunque), da nord (dalla Bielorussia, stato alleato della Russia, dove governa in maniera estremamente autoritaria il dittatore Alexander Lukashenko) e da est (verso il Donbass, la regione più orientale dell’Ucraina dove era già in corso una guerra dal 2014 tra separatisti filorussi ed esercito ucraino).

L’obiettivo del presidente russo Vladimir Putin era di conquistare la capitale Kiev in pochissimi giorni, destituire il governo guidato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky e instaurare un “governo fantoccio” filorusso, in modo da trasformare l’Ucraina in una specie di stato satellite della Russia. Putin non ha mai apertamente parlato di una tempistica per raggiungere il suo obiettivo, ma tutte le scelte militari fatte dalla Russia suggeriscono senza troppi dubbi che l’idea iniziale del governo russo fosse una cosiddetta “guerra lampo”.

Le cose comunque sono andate diversamente, ed è per questo che oggi si parla dell’inizio della “seconda fase” della guerra: perché la “prima fase” è fallita, alla fine di marzo, e la Russia si è dovuta organizzare diversamente.

Sui motivi dell’invasione si è discusso molto negli ultimi due mesi. Il governo russo ha sostenuto più volte, anche tramite una efficace e sistematica propaganda di stato, che la guerra servisse a “denazificare” l’Ucraina e a proteggere la popolazione russofona nel Donbass: due argomenti che però sono sembrati pretestuosi e basati su premesse false. I sostenitori o simpatizzanti delle posizioni russe hanno parlato per lo più di una reazione “legittima” russa in risposta al cosiddetto “allargamento a est” della NATO, cioè quel processo che negli ultimi decenni ha portato diversi paesi ex sovietici a entrare nell’alleanza atlantica; un’interpretazione che però non tiene conto del fatto che l’entrata dell’Ucraina nella NATO non era vista come un’opzione praticabile da tempo, e che non considera la sempre maggiore aggressività mostrata dalla politica estera russa negli ultimi anni (per esempio in Siria).

Secondo la maggior parte degli analisti, l’invasione russa sarebbe stata il risultato di vari fattori, tra cui una possibile “sindrome di accerchiamento” vissuta dal governo di Mosca (si parla di percezione: che sia stata reale o no è un altro discorso, e difficilmente misurabile in maniera oggettiva), e soprattutto l’ambizione di Putin di rifare della Russia una grande potenza, un paese di nuovo al centro della politica internazionale.

Ci sarebbe stata anche l’opportunità, per la Russia: cioè la convinzione, non solo del governo russo ma di quasi tutti gli analisti e governi occidentali, che dal punto di vista militare non ci sarebbe stata storia, che le truppe russe avrebbero sbaragliato la resistenza ucraina nel giro di pochi giorni.

Le mappe qui sotto mostrano come si è evoluta la situazione nelle settimane precedenti all’invasione, con gli assembramenti di nuove unità dell’esercito russo vicino al confine ucraino, i luoghi dove sono avvenuti attacchi via terra e quelli colpiti dai missili. I primi giorni di guerra non hanno però portato a quello che sperava il governo russo.

I motivi del fallimento russo sono stati diversi: tra gli altri, la tenacia della resistenza ucraina, che ha beneficiato dell’arrivo di una quantità di armi che è stata definita «senza precedenti in una grande guerra moderna» e che è stata simbolicamente guidata da Zelensky, che fino a prima di essere eletto presidente era attore e comico; la decisione russa di mandare al fronte coscritti e riservisti, spesso giovanissimi e senza esperienza; la mancata conquista della supremazia dello spazio aereo ucraino, risultante da un attacco iniziale russo poco efficace contro aerei e sistemi antiaerei del nemico; e l’errore russo di non avere un piano “B” nel caso in cui il piano “A”, cioè la rapida conquista di Kiev, non avesse avuto successo, non riuscendo quindi a garantire rifornimenti di armi, munizioni, cibo e uomini al fronte per un periodo superiore ai pochi giorni inizialmente previsti.

L’invasione ha portato anche all’approvazione di sanzioni europee e statunitensi senza precedenti, le prime di una serie ancora in discussione e che stanno colpendo in maniera rilevante l’economia russa.

Le sconfitte militari più evidenti nella “prima fase” si sono viste nel nord dell’Ucraina, nelle zone di Kiev e Chernihiv, dove le truppe russe non sono riuscite a sfondare e anzi sono state prima rallentate e poi quasi accerchiate dalle forze ucraine, fino a essere costrette a ritirarsi.

Nelle prime settimane di guerra la Russia ha ottenuto comunque alcuni successi militari nel sud e nell’est dell’Ucraina: sia perché ha fatto più ricorso a militari con maggiore esperienza, per esempio quelli provenienti dalla Crimea; sia perché le linee di rifornimento, quelle che avevano creato così tanti problemi nel nord, in queste regioni erano più corte, quindi più facilmente difendibili.

Le vittorie sono comunque state inferiori a quanto ci si aspettasse. Nel Donbass la Russia ha esteso di poco il suo controllo al di là delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, che occupano solo una parte delle regioni geografiche ucraine di Donetsk e Luhansk. Le due repubbliche si erano dichiarate autonome nel 2014, quando miliziani filorussi (appoggiati dalla Russia) avevano iniziato una guerra contro l’esercito ucraino per separarsi dall’Ucraina, ed erano state riconosciute dal governo di Putin pochi giorni prima l’inizio dell’invasione. Nelle prime settimane di guerra la Russia ha conquistato altri territori nel Donbass, ma faticosamente e senza ottenerne tutto il controllo.

Non è riuscita nemmeno a controllare completamente le coste dell’Ucraina. La città di Mariupol, che si affaccia sul mar d’Azov, è stata assediata e bombardata intensamente, ma ad oggi le forze ucraine non si sono ancora arrese (anche se sembra ormai questione di giorni). Più a ovest, la Russia ha conquistato Kherson, unica capitale provinciale finora finita sotto il controllo russo, ma è stata fermata nella sua offensiva verso occidente e verso Odessa, città portuale non lontana dal confine con la Moldavia.

La “prima fase” della guerra si è caratterizzata anche per una discussione molto accesa riguardo alle reali intenzioni russe di rispettare i patti, come quelli sui «corridoi umanitari», e di negoziare una qualche forma di pace.  Tra i più attivi in questo senso c’è stato il presidente francese Emmanuel Macron, il cui impegno però non ha portato a nulla di concreto. L’impressione che hanno avuto molti analisti è che la Russia non abbia voluto davvero fare la pace, almeno non prima di avere ottenuto qualche importante vittoria militare sul campo (una dinamica che non dovrebbe stupire più di tanto: è molto comune che questo avvenga durante una guerra).

La “prima fase” della guerra si è quindi conclusa con l’impossibilità russa di destituire il governo ucraino a Kiev e imporre il proprio controllo su tutta l’Ucraina: il 26 marzo la Russia ha detto che da quel momento l’obiettivo militare in Ucraina sarebbe stato solo il Donbass.

Da un punto di vista militare, questo fallimento si è concretizzato con il ritiro delle truppe russe dalle zone di Kiev e Chernihiv. I soldati russi hanno abbandonato le città che avevano conquistato e si sono ritirati verso nord, rientrando in Bielorussia, lasciandosi dietro le prove di estese distruzioni e violenze contro i civili.

Le testimonianze delle uccisioni arbitrarie e degli stupri compiuti dai militari russi, e le immagini dei cadaveri per strada scattate nella città di Bucha, poco distante dalla capitale, hanno fatto il giro del mondo, provocato intense reazioni e spinto diversi governi occidentali ad assumere un atteggiamento più rigido e meno conciliante con la Russia. Tra le altre cose, l’Unione Europea ha adottato le prime sanzioni contro il settore energetico russo, benché finora relative solo al carbone (escludendo quindi petrolio e soprattutto gas, le cui importazioni per l’Europa sono assai più rilevanti di quelle del carbone).

Negli ultimi venti giorni la Russia ha iniziato a riorganizzarsi, preparandosi per una nuova grande offensiva nel Donbass, cioè per la “seconda fase” della guerra. Ha riposizionato le proprie truppe sul confine orientale e nei territori ucraini già occupati, ha spostato armi e mezzi cercando di far valere la propria evidente superiorità militare, e ha bombardato alcune stazioni ferroviarie, tra cui quella di Kramatorsk, città di 150mila abitanti nella regione di Donetsk usata da migliaia di civili per andarsene verso ovest (nell’attacco sono state uccise decine di persone).

Nello stesso periodo sembrano essersi ridotti anche gli spazi per una pace negoziata: sia le parti coinvolte nella guerra, sia soggetti esterni che avevano tentato di fare da mediatori (come Macron), hanno detto di ritenere impraticabili almeno per ora negoziati seri per fermare i combattimenti. Secondo alcuni, comunque, si è trattato di un riconoscimento “ufficiale” di una situazione mai cambiata dall’inizio della guerra.

Secondo il governo ucraino, la “seconda fase” della guerra è iniziata martedì, con l’intensificarsi degli attacchi russi contro numerose città ucraine orientali.

Diversi analisti militari sostengono che al momento la “seconda fase” sembri essere assai più favorevole alla Russia rispetto alla prima: la guerra si combatterà in spazi più ampi dove sarà più facile per i russi far valere la propria superiorità militare soprattutto nell’uso di mezzi pesanti, e le linee di rifornimento da difendere saranno più corte, quindi più difficilmente attaccabili dagli ucraini. Ma, di nuovo, non è detto che andrà così e qualche difficoltà i russi la stanno già incontrando.

La prima difficoltà riguarda Mariupol. La città ucraina, assediata e bombardata intensamente da settimane, sta continuando a resistere, anche se ormai sono giorni che si dà la sua sconfitta per inevitabile. Il fatto che la Russia non sia ancora riuscita a portarla interamente sotto il suo controllo sta indebolendo la sua offensiva, visto che la battaglia per la città sta tenendo impegnate molte truppe che potrebbero essere impiegate in altre zone del Donbass. La conquista di Mariupol però è fondamentale per i russi: ottenendola, potranno controllare senza interruzioni tutto il territorio compreso tra la Crimea e le due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk.

Ci sono altri due sviluppi militari che potrebbero diventare preoccupanti per la Russia, anche se sembra ancora troppo presto per averne una qualche certezza.

Il primo è l’affondamento dell’incrociatore russo “Moskva”, avvenuto giovedì scorso nel Mar Nero e di cui stanno apparentemente circolando le prime immagini. La Russia dice che l’incrociatore avrebbe subìto un incendio a bordo, ma la versione più credibile finora è quella dell’Ucraina, che sostiene di averlo colpito con due missili “Neptune”. Probabilmente l’affondamento dell’incrociatore di per sé non cambierà molto gli equilibri della guerra. L’evento ha però una grande importanza per altre ragioni. Anzitutto per motivi simbolici: “Moskva” era una delle navi più importanti di tutta la flotta russa, ed è la più grande nave da guerra affondata nel corso di un conflitto dopo l’incrociatore argentino “General Belgrano” nel 1982. Poi perché, se fosse confermata la versione ucraina, sarebbe una dimostrazione della forza finora inespressa dell’Ucraina anche in campo navale.

Il secondo sviluppo è il contrattacco ucraino che è iniziato negli ultimi giorni nel Donbass, in un punto in cui la Russia stava cercando di accerchiare le truppe ucraine, vicino alla città di Izyum. In sostanza, l’Ucraina sta cercando di fare qui la stessa cosa che ha fatto per settimane nel nord, cioè anticipare l’accerchiamento delle proprie truppe e tagliare le linee di rifornimento della Russia. Se le truppe ucraine dovessero riuscirci, potrebbe essere un duro colpo per i russi, anche se è difficile dire quanto questa eventuale sconfitta potrebbe danneggiare la più ampia offensiva russa nel Donbass.

Non è chiaro nemmeno quale sia l’obiettivo politico oggi di Putin, dopo le sconfitte subite nella “prima fase” della guerra.

Dal ritiro delle forze nel nord, la Russia sostiene di voler conquistare tutto il Donbass, ma sta continuando a bombardare anche città ucraine di altre regioni (lunedì Leopoli, per esempio). Diversi esperti, analisti e governi occidentali diffidano delle dichiarazioni del governo russo e non escludono che l’obiettivo sia sempre lo stesso: temono in altre parole che la Russia non si accontenterà del Donbass e, una volta conquistato (se verrà mai conquistato), le truppe russe si prepareranno per una nuova offensiva per conquistare tutta l’Ucraina.