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  • Venerdì 4 marzo 2022

Le sanzioni faranno male alla Russia

La loro estensione non ha precedenti e ha messo in crisi la strategia russa della “fortezza”, ma non è detto che basteranno a influenzare Vladimir Putin

di Eugenio Cau

(AP Photo/Dmitri Lovetsky)
(AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Alla fine di gennaio, quando l’invasione russa dell’Ucraina sembrava un evento possibile ma anche improbabile, l’Economist scrisse un articolo per spiegare che per il presidente russo Vladimir Putin sarebbe stato possibile «sopravvivere alle conseguenze economiche di una guerra». Poco più di un mese dopo l’Economist si è ricreduto, e oggi scrive che la resistenza di Putin e dell’economia russa «appare ora molto meno sicura».

Il grande cambiamento di prospettiva nel giro di appena un mese è dovuto alle sanzioni dell’Occidente e di altri paesi contro la Russia, che sono state eccezionalmente più dure di quanto la maggior parte degli analisti avesse previsto, e che stanno provocando problemi enormi all’economia russa. Le ripercussioni potrebbero avere effetti di lunga durata, mettere in crisi l’establishment economico-politico russo e colpire duramente perfino lo stile di vita della popolazione.

La durezza delle sanzioni imposte contro la Russia da Unione Europea, Stati Uniti e vari altri paesi del mondo (tra questi: Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, Singapore, perfino la neutrale Svizzera) è stata tale da aver sorpreso quasi tutti gli osservatori, e forse perfino lo stesso governo russo.

Per fare un esempio, prima dell’invasione gli analisti ritenevano che la sanzione più terribile che l’Occidente potesse imporre fosse l’esclusione della Russia dal sistema di comunicazioni bancarie SWIFT, che avrebbe impedito e rallentato le transazioni. Il blocco di SWIFT è stato poi applicato, ma nel frattempo la sua importanza è stata ridimensionata dal fatto che l’Occidente ha applicato sanzioni ancora più distruttive, come per esempio il blocco delle transazioni della Banca centrale.

Nel loro complesso, gli analisti ritengono che le sanzioni potranno danneggiare l’economia russa a tal punto che, secondo alcune stime, il PIL del paese potrebbe calare dal 2 al 7 per cento quest’anno: già oggi la Russia non è mai stata così vicina al fallimento. Le più pesanti di queste sanzioni, inoltre, stanno avendo effetti immediati, che sono già percepibili anche dai cittadini comuni.

Non è affatto chiaro, però, se questo sarà sufficiente a modificare i piani di Putin. Mentre alcuni ritengono che aumentare la pressione delle sanzioni e sfruttare il malcontento della popolazione e dell’élite economica possa essere l’unico modo per danneggiare il presidente russo e nel caso influire sulle sue scelte politiche, per altri c’è il rischio che la Russia consideri le devastanti sanzioni dell’Occidente come un atto di guerra, e che la reazione russa possa portare a un ulteriore aggravamento della situazione.

Le sanzioni
Le sanzioni che l’Occidente e altri paesi hanno adottato contro la Russia si possono dividere grossomodo in quattro categorie.

La prima riguarda le sanzioni individuali contro membri dell’élite russa e del governo, e contro i cosiddetti oligarchi. Queste sanzioni sono già state adottate in varie altre circostanze, come per esempio dopo l’invasione della Crimea del 2014, e non hanno mai impensierito più di tanto chi le subiva, anche perché è sempre stato piuttosto facile trovare scappatoie: alcuni oligarchi e politici russi sono sotto sanzioni da anni, ma i loro interessi e attività non hanno subìto particolari contraccolpi.

Questa volta però ci sono alcune differenze notevoli.

Anzitutto, tra i sanzionati ci sono il presidente russo Putin e il suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Mettere sotto sanzioni un capo di stato e un ministro degli Esteri (che è il capo dei diplomatici di un paese) è una misura straordinaria, che potrebbe essere tanto più notevole perché varie analisi ritengono che Putin abbia accumulato negli anni una ricchezza enorme, forse una delle più grandi del mondo.

Si parla di stime, però, perché la ricchezza di Putin è difficile da quantificare e individuare: né lui né Lavrov hanno proprietà, conti correnti o altri tipi di investimento fuori dalla Russia, e dunque è probabile che i loro investimenti all’estero siano stati fatti tramite prestanome o con qualche altra forma di occultamento. I leader di Unione Europea e Stati Uniti hanno comunque già detto che intendono individuare questi investimenti e sanzionarli, ma ci vorrà del tempo.

L’altra novità è che questa volta i leader occidentali sembrano molto più seri nell’applicazione delle sanzioni individuali sugli oligarchi e sull’élite russa, e determinati a evitare scappatoie. Anche perché il lavoro congiunto delle misure individuali assieme alle sanzioni di altro tipo consente un ampio margine di azione: per esempio, vari paesi europei hanno cominciato a sequestrare gli yacht di lusso di proprietà degli oligarchi russi, cosa che raramente era successa in precedenza. Sono imbarcazioni dal valore di centinaia di milioni di dollari, la cui perdita è un grave danno perfino per un miliardario.

Le sanzioni mirano dunque a compromettere lo stile di vita lussuoso degli oligarchi: l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Josep Borrell, all’annuncio delle prime sanzioni scrisse in un tweet poi cancellato: «Basta shopping a Milano, feste a Saint Tropez, diamanti ad Anversa». Al tempo stesso, le sanzioni intendono colpire gli interessi più profondi della classe dirigente russa e provocare seri danni economici.

L’obiettivo, come avviene da anni con le sanzioni contro la Russia, è aumentare la pressione sul circolo dei collaboratori e dei sostenitori più influenti di Putin, per rendere più doloroso e dispendioso il proseguimento del conflitto e influenzare le scelte future. Non è detto che questa strategia funzionerà: tra le altre cose, molte analisi recenti hanno notato come gli oligarchi russi abbiano perso gran parte della loro influenza in questi anni, e che Putin abbia strutturato il potere economico e politico in Russia in modo che dipenda in gran parte dalle sue decisioni.

Un secondo tipo di sanzioni riguarda il divieto di esportazione in Russia di varie tecnologie, imposto soprattutto da Stati Uniti e Unione Europea. Questo divieto comprende vari settori: per esempio quello fondamentale dei microprocessori, oppure varie tecnologie militari che renderanno difficile per l’esercito russo aggiornare e potenziare le proprie capacità. È stata anche vietata l’esportazione di tecnologie che riguardano la raffinazione e la fornitura del petrolio e che, secondo gli Stati Uniti, potrebbero «degradare lo status della Russia come importante fornitore di energia».

Sono sanzioni che hanno un notevole potenziale e potrebbero danneggiare vari settori dell’economia russa, ma richiederanno molto tempo per far sentire davvero il loro effetto.

Un terzo tipo di sanzioni comprende alcune misure economiche meno facilmente individuabili, come per esempio il divieto di sorvolo di tutti gli aerei russi su Stati Uniti ed Europa, oppure la decisione dell’Unione Europea di vietare la trasmissione dei canali di propaganda russa RT e Sputnik su tutte le piattaforme.

Un cambiavalute a Mosca (AP Photo/Alexander Zemlianichenko Jr., File)

Infine, le sanzioni di gran lunga più devastanti, che tutti stanno analizzando per le loro enormi conseguenze sull’economia russa, sono quelle che colpiscono il sistema finanziario.

L’Unione Europea, gli Stati Uniti e vari altri paesi hanno adottato misure specifiche per limitare l’accesso di alcune banche russe ai mercati finanziari occidentali. Queste sanzioni hanno colpito alcune delle più grandi banche della Russia, come Sberbank e VTB Bank, oltre che varie grosse compagnie di stato.

Poi c’è il blocco di SWIFT, la piattaforma di comunicazione usata dalla maggior parte degli istituti bancari per gestire vari servizi e transazioni internazionali. Per le banche russe, essere escluse da questa piattaforma significa subire rallentamenti estremi nell’esecuzione di moltissime operazioni fondamentali, fino alla paralisi. Unione Europea e Stati Uniti hanno escluso da SWIFT sette grosse banche russe, ma ne hanno risparmiate due molto importanti, Sberbank e Gazprombank, per consentire ai paesi europei di continuare i pagamenti di gas e petrolio russi, che l’Europa continua ad acquistare nonostante la guerra in corso.

Come dicevamo, fino a qualche giorno fa l’esclusione da SWIFT era considerata la sanzione più grave che l’Occidente avrebbe potuto imporre. Ma la scorsa settimana, con una certa sorpresa, i governi di Europa e Stati Uniti hanno annunciato anche il blocco totale delle transazioni della Banca centrale russa.

La Banca centrale
La Banca centrale è considerata uno dei pezzi in assoluto più importanti per la strategia militare russa, per due ragioni: anzitutto, fin dalla loro fondazione nel Diciassettesimo secolo le Banche centrali hanno avuto il ruolo di stabilizzare l’economia nel corso degli eventi bellici e, nel caso attuale della Russia, anche di finanziare lo sforzo militare.

In secondo luogo, la Banca centrale russa è il centro della strategia dell’“economia-fortezza”, cioè di quel sistema di contromisure e provvedimenti che la Russia aveva già adottato da tempo per rendersi il più immune possibile dalle sanzioni occidentali.

Negli ultimi anni, la Russia aveva accumulato gigantesche quantità di riserve nella sua Banca centrale, oltre 640 miliardi di dollari, corrispondenti al 38 per cento del PIL nazionale nel 2021. Come ha scritto Bloomberg, questo accumulo di risorse ha avuto anche un costo: centinaia di miliardi di dollari di proventi della vendita degli idrocarburi che avrebbero potuto essere investiti nell’economia russa erano invece stati messi da parte, rallentando crescita e benessere.

L’idea, semplificando molto, è che l’enorme quantità di riserve avrebbe consentito alla Banca centrale russa di resistere alle sanzioni, sostenere l’economia, finanziare lo sforzo bellico. La Banca centrale, come hanno scritto vari giornali, era il “forziere di guerra” di Putin.

Il punto debole della strategia è che una grossa porzione di queste risorse non è controllata direttamente dalla Russia, ma è conservata in istituzioni finanziarie estere. E quando i leader occidentali hanno deciso di imporre sanzioni sulla Banca centrale, hanno bloccato anche tutte le riserve estere della Banca. Le stime divergono leggermente, ma dei 640 miliardi di dollari del “forziere di guerra”, tra i 300 e i 400 miliardi sono ora bloccati dalle sanzioni. A questo punto, «la “fortezza-Russia” è volata fuori dalla finestra», ha detto a Bloomberg l’economista Elina Ribakova, che ha ipotizzato che presto il paese potrebbe trovarsi a corto di denaro per finanziare la guerra, e sarà costretto a chiederne direttamente alla popolazione.

È difficile dire come sia stato possibile che la strategia della “fortezza” avesse una falla tanto evidente.

La Banca centrale russa è ovviamente consapevole del problema da anni, e ha cercato a lungo di ridurre la sua esposizione all’estero. Tra il 2013 e il 2021 ha quasi triplicato le sue riserve d’oro e ridotto del 75 per cento le riserve negli Stati Uniti e quelle in vari altri paesi europei. Ma è impossibile per una Banca centrale, specie per quella di un paese con un’economia fragile come la Russia, eliminare del tutto i propri investimenti in valute forti come dollaro ed euro. Garantire la convertibilità del rublo in dollari ed euro dà sicurezza e stabilità all’economia, rafforza la valuta e aumenta la fiducia. Anche la “fortezza” russa non poteva fare a meno di esporsi alle economie estere.

Il punto, semmai, è che alla pari di molti osservatori è probabile che l’establishment russo non si aspettasse sanzioni così dure contro la Banca centrale: sono ancora una volta sanzioni straordinarie per un’economia grande come quella russa, che probabilmente era difficile prevedere.

Il dimezzamento delle riserve a disposizione della Banca centrale russa ha anche un’ulteriore, gravissima conseguenza: il crollo del rublo.

Come per tutte le valute, il valore del rublo dipende dalla fiducia dei cittadini nel fatto che manterrà il suo valore nel tempo. Se questa fiducia viene meno – come può avvenire nel caso di una guerra – i cittadini e gli investitori potrebbero vendere i propri rubli in cambio di valute più sicure, come il dollaro e l’euro. Più persone vendono rubli più il loro valore diminuisce, fino a un crollo della valuta. La Banca centrale in questi casi potrebbe sostenere la sua valuta comprando i rubli che vengono venduti, ma per farlo servono enormi quantità di riserve a disposizione – e la Banca centrale russa queste riserve se le è trovate dimezzate, ed è pure impegnata a finanziare una guerra.

Il risultato è stato, all’inizio di questa settimana, il più disastroso crollo del rublo negli ultimi decenni nonostante l’aumento dei tassi deciso dalla Banca centrale, che ha già portato a una riduzione del potere d’acquisto dei russi e potrebbe essere una delle cause principali di una grave crisi economica.

Questo è un effetto voluto da chi ha architettato le sanzioni. Il New York Times qualche giorno fa ha riportato una vecchia frase attribuita a Lenin (o all’economista John Maynard Keynes: c’è un certo dibattito sulla questione) secondo cui «non c’è modo più sottile e infallibile di rovesciare le basi di una società che distruggerne la valuta».

Persone in fila per ritirare dollari ed euro a San Pietroburgo (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Le sanzioni “indirette”
C’è infine un ultimo tipo di sanzioni indirette, non ufficiali, che non sono state imposte dai governi ma da singole multinazionali e aziende che hanno interrotto i propri servizi o la vendita dei propri prodotti in Russia, o che hanno annunciato la vendita delle proprie partecipazioni in aziende russe.

Le ragioni di queste sanzioni sono varie: in alcuni casi per solidarietà con la causa ucraina, in altri per convenienza e in altri ancora su pressione dei governi. In molti casi, per esempio, varie aziende hanno annunciato che smetteranno di vendere i propri prodotti nei negozi russi. Questo tipo di misure costituisce più che altro un fastidio per la popolazione, ma è una buona mossa di marketing per l’azienda ed evita il rischio che le forniture inviate in Russia non siano pagate.

In altri casi queste iniziative delle aziende possono avere effetti molto gravi. Per esempio la decisione di alcune compagnie energetiche occidentali come Shell e BP di vendere le proprie quote nelle aziende di stato russe le priva di centinaia di miliardi di dollari di investimenti. Oppure la decisione di Maersk, una delle più grandi compagnie di spedizioni con container del mondo, di non accettare più ordini in Russia può avere gravi effetti su commerci e rifornimenti.

Il governo russo sta cercando di limitare i danni, per esempio impedendo alle multinazionali estere di disfarsi delle proprie quote nelle aziende russe, ma non è chiaro quanto questa misura avrà successo.

Cosa manca
Le sanzioni imposte alla Russia hanno pochi precedenti per completezza e gravità. «È una combinazione unica di misure. Ciascuna misura non è inedita. Ma ciò che è storicamente mai visto è il grado di coordinamento multilaterale e il fatto che siano state usate misure durissime allo stesso momento», ha detto sempre l’economista Elina Ribakova, questa volta però a Vox.

Ci sono tuttavia ancora margini per colpire l’economia russa. Per esempio, si può bloccare alle navi russe l’accesso ai porti occidentali, creando una specie di embargo che avrebbe conseguenze ancora più gravi.

Ma le sanzioni che ancora mancano, e che sono decisamente le più citate e attese, sono quelle sull’energia.

Gli Stati Uniti continuano a importare petrolio dalla Russia e, soprattutto, i paesi dell’Unione Europea continuano a importare gas. Anche in questi giorni di guerra, l’Europa paga alla Russia centinaia di milioni di dollari al giorno in cambio del gas. Interrompere le forniture di gas per ora sarebbe molto pericoloso per le economie europee, ma vari leader hanno detto che la possibilità di sanzionare anche le esportazioni energetiche russe non è stata del tutto esclusa.

Danneggeranno anche noi?
Per ora le conseguenze delle sanzioni economiche alla Russia sono state limitate nei paesi occidentali, soprattutto perché, appunto, petrolio e gas sono stati esclusi. A parte il suo ruolo come fornitore di energia, l’influenza dell’economia russa su scala internazionale è ridottissima: vale appena l’1,7 per cento del PIL mondiale.

In questi giorni si è verificato un aumento dei costi dell’energia, che però non si discosta molto dagli aumenti che si sono già verificati negli scorsi mesi. La Russia è un grande esportatore di alcuni metalli importanti per varie produzioni, come il palladio, e anche di questi si potrebbe vedere un aumento dei prezzi.

Le proiezioni sull’economia mondiale, però, non sono state riviste in maniera drastica dopo l’inizio dell’invasione. Le cose potrebbero ovviamente cambiare se l’Occidente decidesse di sanzionare le forniture di energia, o la Russia di interromperle. Anche per questo, l’Europa sta cercando a gran velocità di ridurre il più possibile la sua dipendenza dal gas russo.