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  • Domenica 10 aprile 2022

Gli stupri come arma di guerra, in Ucraina

Diverse testimonianze accusano soprattutto (ma non solo) i soldati russi, ma i casi sembrano molti di più di quelli emersi finora

Una donna ucraina che cerca di lasciare il paese in treno (Jeff J Mitchell/Getty Images)
Una donna ucraina che cerca di lasciare il paese in treno (Jeff J Mitchell/Getty Images)
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Dall’Ucraina stanno arrivando sempre più testimonianze di stupri compiuti perlopiù dai soldati russi su civili ucraini. A raccoglierle sono organizzazioni per i diritti umani e autorità locali, anche se è difficile per ora avere dettagli e in molti casi conferme sulle violenze. I racconti arrivano un po’ da tutto il paese, soprattutto dalle aree occupate e poi abbandonate dai russi, nel nord dell’Ucraina. Sono racconti brutali e mostrano come, in questa come in altre guerre, lo stupro venga usato come arma per colpire la popolazione civile, umiliandola.

Kateryna Busol, ricercatrice del centro studi inglese Chatham House ed esperta di diritto internazionale, ritiene che i casi di stupro potrebbero essere «molto più diffusi» di quanto emerso finora. Tra le altre cose, Busol si è occupata di documentare le violenze sessuali compiute sia nel Donbass, a partire dal conflitto tra i separatisti filorussi e le forze ucraine, sia in Crimea, dopo la sua invasione e successiva annessione russa, nel 2014. Era infatti già successo negli ultimi anni che dall’Ucraina arrivassero testimonianze di stupri compiuti da militari e miliziani di entrambe le parti, sia russi che ucraini.

Nella guerra attuale, quella iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina, le accuse di stupro riguardano soprattutto l’esercito russo, e in misura minore le forze ucraine.

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Una delle prime accuse per stupro era stata fatta dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, in un intervento fatto proprio al centro studi Chatham House una decina di giorni dopo l’inizio dell’invasione. In quell’occasione Kuleba aveva parlato di «numerosi casi» di stupri compiuti dai russi in varie città ucraine, senza dare ulteriori dettagli e senza che fosse possibile verificare le sue affermazioni in modo indipendente.

Nelle settimane successive aveva ricevuto molta attenzione il caso di una donna violentata a Brovary, località a nord est di Kiev. Secondo quanto ricostruito dalla procuratrice generale ucraina Iryna Venediktova, due soldati russi avrebbero fatto irruzione in casa della donna, ucciso il marito disarmato e l’avrebbero stuprata, mentre il figlio di quattro anni era in casa. Del caso si era parlato per le indagini della procura, che era riuscita a identificare uno dei due soldati e aveva emesso nei suoi confronti un mandato d’arresto. La donna, che nel frattempo era riuscita a fuggire in Ucraina occidentale con suo figlio, aveva poi dato un’intervista al Times di Londra, e la sua storia era stata ripresa anche da altri giornali.

Un’altra testimonianza, raccolta invece dall’organizzazione Human Rights Watch, era arrivata da Malaya Rohan, città a meno di mezz’ora di macchina da Kharkiv in cui l’esercito russo era entrato all’inizio dell’invasione. Il 13 marzo un soldato russo aveva fatto irruzione in una scuola in cui si stavano rifugiando una quarantina di persone, tra cui una donna di 31 anni insieme alla figlia di 5 e ad alcuni familiari.

La donna, citata col nome di fantasia Olha, ha raccontato che il soldato l’aveva portata al piano di sopra, e puntandole una pistola addosso le aveva ordinato di spogliarsi e di praticargli del sesso orale. Il soldato aveva continuato a puntarle la pistola alla testa anche mentre lei lo faceva, sparando al soffitto due volte per intimidirla (per «motivarla», avrebbe detto lui). Poi il soldato l’aveva penetrata, due volte di seguito, impedendole di rivestirsi. Le aveva anche tagliato i capelli e l’aveva ferita con un coltello: Human Rights Watch ha ottenuto alcune fotografie, datate 19 e 20 marzo, che mostrano le ferite e i segni delle violenze.

Altre accuse di stupro contro i soldati russi sono state fatte dal governo ucraino contestualmente ai fatti di Bucha, la cittadina a nord ovest di Kiev in cui sempre più prove confermano il massacro compiuto dai russi su centinaia di civili. Inoltre ci sono sospetti su possibili violenze sessuali compiute contro donne i cui corpi sono stati poi trovati nudi e semi carbonizzati una ventina di chilometri a nord di Kiev, fotografati da Mikhail Palinchak.

In alcuni casi, le accuse di stupro hanno riguardato le forze ucraine: a Vinnytsia, città dell’Ucraina occidentale, una donna ha per esempio denunciato alla polizia locale un soldato ucraino, poi arrestato, che l’aveva trascinata all’interno di una scuola e aveva tentato di violentarla. Delle accuse di stupro rivolte alle forze ucraine ha parlato anche una sottosegretaria generale delle Nazioni Unite, Rosemary DiCarlo, al Consiglio di Sicurezza, precisando che l’ONU sta indagando.

Il timore, che è praticamente una certezza, è che i casi di stupro possano essere molti di più di quelli emersi finora. Lo ha detto al Guardian anche Kateryna Cherepakha, presidente della sezione ucraina di La Strada, ong che si occupa di diritti umani, che ha raccontato di aver ricevuto molte chiamate, sulla linea di emergenza messa a disposizione dall’organizzazione, da donne e ragazze ucraine che cercavano aiuto dopo aver subìto violenze sessuali, senza poterle aiutare, in molti casi, a causa dei combattimenti in corso.

Le modalità con cui vengono compiute le violenze sessuali sembrano essere particolarmente brutali, «con un livello di violenza in molti casi inaspettato», ha detto Busol parlando dei soldati russi accusati di compiere gli stupri dopo aver ucciso i familiari delle donne, oppure di fronte a loro. Secondo Busol è una «strategia politica» ben precisa, volta a «degradare e umiliare non solo la donna e i suoi familiari, ma in qualche modo tutto il popolo ucraino».

Nella storia, la violenza sessuale è stata molto spesso utilizzata come strategia di guerra pianificata e coordinata: dai tempi dell’antica Grecia fino ad oggi. Secondo l’Unione Europea, circa 20mila donne furono ad esempio stuprate in Bosnia negli anni Novanta dai nazionalisti serbi. Lo stupro sistematico ha conseguenze durature, di cui molto spesso ci si occupa poco, e che vanno molto oltre la fine del conflitto stesso.

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In guerra affrontare gli stupri – prevenirli da una parte, garantire assistenza alle vittime dall’altra – è ancora più difficile di quanto lo sia in tempo di pace.

Busol racconta che in Ucraina a farlo sono soprattutto le organizzazioni non governative che riescono a operare sul territorio: «Hanno organizzato iniziative per informare le donne su come proteggersi, ricevere aiuto, su come trovare contraccettivi d’emergenza, per esempio». Ci sono anche reti di attiviste femministe locali, come Feminist Workshop, di Leopoli e fondata nel 2014, che lavorano sia online che con le comunità locali per distribuire informazioni e aiuti medici, legali e psicologici alle donne vittime di stupro, e in questi giorni anche per organizzare rifugi sicuri.

Secondo Busol, le crescenti testimonianze di stupri e il contesto di guerra in cui arrivano hanno «l’unico beneficio» di portare più attenzione sul tema: a differenza di quanto accade in tempo di pace, stavolta le violenze sessuali «si intrecciano con quella subita da tutta la popolazione: questo porta a maggiore solidarietà e attenzione nei confronti delle donne, e a incoraggiarle a denunciare». La guerra, dice Busol, sembra essersi trasformata in un «orribile catalizzatore» rispetto a questo problema.

Nel diritto internazionale, gli stupri possono essere un crimine di guerra. Sull’eventuale compimento di questi crimini in Ucraina da parte della Russia la Corte penale internazionale, il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, ha aperto un’indagine, ma c’è molto scetticismo sulla possibilità che porterà realmente a processi e condanne.

Un’altra possibilità sarebbe arrestare e processare i responsabili degli stupri in paesi esteri, sotto il principio della “giurisdizione universale”, basato sull’idea che alcune norme internazionali siano talmente rilevanti da valere per tutti gli stati del mondo. È il principio per cui in Germania stanno venendo processate persone per crimini compiuti durante la guerra in Siria: «vedendo che questi processi procedono, molti ucraini sperano che possa succedere lo stesso coi crimini compiuti nel loro territorio», dice Busol. Alcuni paesi, tra cui Francia, Germania e Lituania, hanno già aperto indagini per crimini di guerra in Ucraina.

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