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  • Giovedì 11 novembre 2021

L’inatteso accordo tra Stati Uniti e Cina alla COP26

Non contiene nuove grandi promesse e anzi è piuttosto vago, ma è considerato un importante segnale politico

Il delegato cinese Xie Zhenhua alla conferenza stampa sull'accordo Cina-Stati Uniti (Jeff J Mitchell/Getty Images)
Il delegato cinese Xie Zhenhua alla conferenza stampa sull'accordo Cina-Stati Uniti (Jeff J Mitchell/Getty Images)

L’inaspettata dichiarazione congiunta che Stati Uniti e Cina hanno diffuso mercoledì dalla conferenza sul clima di Glasgow (COP26) non contiene nuove grandi promesse di iniziative contro il riscaldamento globale. È stata comunque accolta molto positivamente perché ha dimostrato che la Cina è ancora interessata a collaborare con gli altri paesi alla lotta al cambiamento climatico e potrebbe facilitare il raggiungimento di un accordo tra tutti i paesi alla fine della COP.

Dall’inizio della conferenza infatti la Cina non aveva ancora preso nuovi impegni di riduzione delle emissioni di gas serra: non è tra i paesi che hanno firmato l’accordo sulla riduzione progressiva dell’uso del carbone e non si è associata agli Stati Uniti e all’Unione Europea nella promessa di ridurre le emissioni di metano del 30 per cento entro il 2030. L’assenza del presidente Xi Jinping nei primi giorni della COP inoltre era stata considerata un brutto segnale ed era stata criticata da molti, compreso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che l’aveva definita «un grosso errore».

La dichiarazione congiunta è piuttosto lunga, ma cita soprattutto obiettivi già fissati in passato, come l’interruzione dei finanziamenti per l’estrazione di carbone all’estero e l’impegno a mantenere l’aumento delle temperature medie globali sotto i 2 °C, e usa formulazioni vaghe. Dice che i due paesi, che sono le due più grandi economie del mondo e anche i due principali produttori di emissioni di gas serra in termini assoluti, intendono «lavorare individualmente, insieme e con altri paesi nel prossimo decisivo decennio, in conformità con le diverse circostanze nazionali, per rafforzare e accelerare l’azione e la cooperazione sul clima». L’unica novità è un indefinito impegno della Cina per ridurre le emissioni di metano.

La dichiarazione è comunque considerata un buon segnale politico, che ha rassicurato le delegazioni internazionali sull’esito della COP26. Era inaspettata per via delle tensioni dei rapporti tra Cina e Stati Uniti in molti altri ambiti, dai commerci al rispetto dei diritti umani, fino alla situazione di Taiwan e al patto militare anti-Cina fatto dagli Stati Uniti con Regno Unito e Australia. Qualcuno l’ha definita una «tregua sul clima»; l’agenzia di stampa Reuters l’ha descritta come una «spinta psicologica».

Il fatto che Cina e Stati Uniti mostrino una comunità d’intenti sul clima indica che considerano il cambiamento climatico un problema che va oltre le altre questioni diplomatiche, che ha una sua particolare importanza e dovrebbe essere discusso senza farsi influenzare dalle logiche di competizione che caratterizzano i rapporti tra i due paesi. Xie Zhenhua, principale inviato cinese alla COP26, lo ha fatto capire nel suo discorso per annunciare l’accordo con gli Stati Uniti: «Sappiamo entrambi che la sfida posta dal cambiamento climatico è una questione di sopravvivenza».

La dichiarazione congiunta di martedì è molto meno significativa rispetto a quella che gli stessi Xie e John Kerry, che è il principale inviato americano alla COP, avevano firmato nel 2014, quando per la prima volta la Cina aveva annunciato una riduzione delle emissioni di gas serra. Quell’accordo era stato fondamentale per arrivare all’Accordo di Parigi dell’anno successivo. Tuttavia il rinnovato allineamento sul clima dei due paesi dovrebbe aiutare a esercitare maggiori pressioni su alcuni paesi produttori di combustibili fossili, come l’Australia e l’Arabia Saudita, che potrebbero opporsi ad alcuni passaggi presenti nella bozza di accordo globale preparato per la fine della COP.

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