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  • Giovedì 27 maggio 2021

Dominic Cummings contro Boris Johnson

Il primo ministro britannico è stato accusato dal suo ex influente consigliere, oggi fuori dal governo, di avere gestito malissimo l'emergenza provocata dalla pandemia

(Leon Neal/ Getty Images)
(Leon Neal/ Getty Images)

A poche settimane dall’allentamento delle restrizioni nel Regno Unito, ottenuto soprattutto grazie a una campagna di vaccinazione efficace, il primo ministro britannico Boris Johnson sta attraversando un periodo piuttosto complicato a causa delle accuse sulla cattiva gestione della pandemia da coronavirus ricevute dal suo ex collaboratore Dominic Cummings. Mercoledì, durante un’interrogazione parlamentare durata 7 ore, Cummings ha criticato estesamente l’atteggiamento di Johnson e l’operato del suo governo durante l’epidemia, descrivendo una situazione di caos totale che secondo lui avrebbe portato a decine di migliaia di morti che si sarebbero potute evitare prendendo decisioni diverse.

Quando gli è stato chiesto se Johnson fosse la persona capace e adatta a guidare il Regno Unito durante la pandemia, Cummings ha risposto con un fermo «no».

Fino allo scorso novembre, quando si era dimesso dal suo incarico per le crescenti tensioni col primo ministro, Cummings era stato uno dei collaboratori di Johnson più stretti e allo stesso tempo più controversi: non era soltanto una delle figure più influenti nella destra britannica, ma anche “l’architetto di Brexit”, cioè il responsabile del comitato elettorale che aveva promosso l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea al referendum del 2016.

Nell’interrogazione parlamentare di mercoledì, Cummings ha parlato di un ambiente di lavoro paralizzato dalla confusione e dall’incompetenza e ha criticato in particolare Johnson, il cui atteggiamento avrebbe impedito al governo di gestire in maniera efficace la pandemia. Secondo Cummings, la guida confusa e indecisa di Johnson aveva portato a ritardi significativi nell’azione di governo, che a loro volta avevano determinato la morte di decine di migliaia di persone: morti che si sarebbero potute evitare anche durante la cosiddetta seconda ondata dell’epidemia. La stessa idea è stata espressa anche dall’epidemiologo John Edmunds, consulente del governo per l’emergenza coronavirus, che durante il programma “Peston” sul canale ITV ha detto che «ovviamente è più facile giudicare a posteriori, ma credo che [Cummings] abbia ragione».

Non è la prima volta comunque che Johnson riceve critiche per la gestione dei primi mesi della pandemia. Nell’aprile 2020, per esempio, il Times aveva ricostruito con numerosi dettagli tutti i ritardi e gli errori commessi dal governo britannico: citava per esempio il fatto che Johnson non aveva partecipato alle prime cinque riunioni di coordinamento sulla pandemia e che aveva trascorso diversi giorni in vacanza durante le settimane più importanti della crisi.

Cummings ha detto che all’inizio del 2020 Johnson non aveva preso sul serio la pandemia da coronavirus, considerandola soltanto «una storia di paura» e paragonandola alla pandemia di “febbre suina” del 2009. In seguito, inoltre, si sarebbe lasciato influenzare troppo dai titoli dei giornali e da altre questioni meno pressanti. Secondo Cummings, Johnson era così inaffidabile che sembrava un carrello della spesa «che sbatte da un lato all’altro della corsia» del supermercato.

Per la sua riluttanza a imporre un terzo lockdown, Cummings ha paragonato il primo ministro al sindaco della cittadina fittizia di Amity in cui è ambientato il celebre film di Steven Spielberg Lo Squalo, che si rifiuta di chiudere la spiaggia per il 4 luglio nonostante il chiaro pericolo della presenza di un grande squalo bianco. Tra le altre cose, Cummings ha anche confermato di aver sentito Johnson dire che avrebbe preferito vedere «cataste di corpi» piuttosto che introdurre un terzo lockdown nel paese, una frase che sarebbe stata detta lo scorso autunno ed era già stata segnalata da alcuni collaboratori il mese scorso, ma che era stata smentita dal suo staff.

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Oltre a Johnson, Cummings ha criticato estesamente anche il ministro della Salute, Matt Hancock, che secondo lui avrebbe mentito ripetutamente circa la fornitura dei dispositivi di protezione individuale negli ospedali e avrebbe incoraggiato il piano di tracciamento dei contatti soltanto per fare bella figura per fini politici. Cummings ha accusato Hancock di non essere all’altezza dell’istituzione che presiede e ha detto che dovrebbe essere licenziato per 15 o 20 motivi diversi, per esempio per aver fatto trasferire all’inizio della pandemia i pazienti anziani – molti dei quali contagiati – nelle residenze sanitarie assistenziali, provocando una grande diffusione di contagi e diverse morti a suo dire “evitabili”.

«Il problema di questa crisi era più che altro che ancora una volta i leoni erano gestiti da dei somari», ha detto Cummings. Hancock, che giovedì terrà una conferenza stampa, ha risposto alle accuse di Cummings dicendo di non aver seguito tutto il suo intervento perché era «impegnato a salvare vite», attirandosi però numerose critiche.

Oltre alle accuse sulla gestione della pandemia da coronavirus, Cummings ha anche detto che nei momenti più critici dell’epidemia Johnson era impegnato a pensare a cose di secondaria importanza.

Ha citato per esempio un giorno del marzo del 2020, quando lo staff del primo ministro aveva ormai capito che la circolazione del virus avrebbe potuto mettere sotto enorme pressione gli ospedali e uccidere centinaia di migliaia di persone; Johnson era però preso ad ascoltare le richieste dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che chiedeva il sostegno del Regno Unito per un’operazione contro le milizie sostenute dall’Iran in Iraq. Allo stesso tempo, Cummings ha detto che la fidanzata di Johnson, Carrie Symonds, era impaziente che lo staff del primo ministro gestisse la risposta a un articolo di giornale che parlava di lei e del suo cane.

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L’anno scorso Cummings era stato al centro di uno scandalo legato alla pandemia: si era infatti spostato da Londra per andare dai genitori a Durham, nel nord-est dell’Inghilterra, violando le restrizioni che erano state imposte per limitare la diffusione dei contagi da coronavirus. Inizialmente Cummings aveva detto di aver avuto bisogno di una mano con la gestione dei figli perché la moglie aveva contratto il coronavirus, ma mercoledì ha ammesso di aver violato le restrizioni e ha spiegato di averlo fatto perché aveva ricevuto minacce di morte rivolte alla sua famiglia.

Al contempo, si è preso la responsabilità di aver agito con troppo ritardo per convincere il primo ministro a introdurre il primo lockdown nel marzo del 2020, dicendo che se avesse agito prima «molte persone potrebbero essere ancora vive». Cummings ha detto di aver avuto paura e ha ammesso di non essere stato abbastanza qualificato per la posizione che ricopriva, soprattutto quando si trattava di confrontarsi con scienziati e consulenti.