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  • Lunedì 10 maggio 2021

Le agitazioni tra i laburisti britannici

Si sono intensificate dopo le ultime elezioni, che sono state una delusione e potrebbero mettere nei guai il leader Keir Starmer

Il leader laburista Keir Starmer e, sullo sfondo, la vice del partito Angela Rayner (Ian Forsyth/Getty Images)
Il leader laburista Keir Starmer e, sullo sfondo, la vice del partito Angela Rayner (Ian Forsyth/Getty Images)

Dopo le elezioni piuttosto deludenti della scorsa settimana, nel Partito Laburista britannico sono nate grosse polemiche che hanno messo in discussione la strategia elettorale e il ruolo di Keir Starmer, leader del Labour che finora non è riuscito a mantenere la promessa di riconquistare gli elettori persi negli ultimi anni e di sviluppare una strategia per battere il Partito Conservatore del primo ministro Boris Johnson.

Le elezioni della scorsa settimana, che si sono tenute giovedì ma i cui risultati sono stati diffusi nel corso del fine settimana, hanno riguardato i sindaci di numerose città (Londra, Manchester, Liverpool e Bristol, tra le altre), i parlamenti locali di Galles e Scozia e un’importante elezione suppletiva ad Hartlepool per un seggio nel Parlamento nazionale. Sono state elezioni in cui tendenzialmente ha vinto chi era già in carica: la maggior parte dei sindaci (tutti quelli delle grandi città) è stata riconfermata, così come i governi in Galles e Scozia. Tuttavia nei casi in cui le aspettative sono state ribaltate, o in alcuni voti particolarmente simbolici, a perdere è stato quasi sempre il Labour.

La sconfitta più rilevante per il Partito Laburista è stata quella di Hartlepool, un collegio elettorale che ha un fortissimo valore simbolico, che prima delle elezioni era stato definito dagli analisti come uno dei luoghi in cui si sarebbe verificata la forza del partito di Starmer. Hartlepool, infatti, si trova nel nord-est dell’Inghilterra e fa parte del cosiddetto “Red Wall”, un’area tradizionalmente abitata da operai e proletari in cui il Partito Laburista aveva dominato incontrastato per oltre 40 anni.

Il “Red Wall” cominciò a indebolirsi con il referendum del 2016 su Brexit, quando la gran parte degli elettori della zona votò a favore del “Leave” (l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea), mentre il Partito Laburista sosteneva di rimanere nell’Unione Europea, e crollò alle elezioni generali del 2019, quando il Partito Conservatore di Johnson riuscì a conquistare la gran parte dei collegi elettorali dell’area. Hartlepool fu uno dei pochi collegi rimasti ai laburisti, non tanto per meriti propri quanto per la divisione del voto di destra tra il Partito conservatore e il Partito di Brexit (la formazione populista di Nigel Farage, poi rinominata Reform UK).

La sconfitta del 2019 mise in moto una grave crisi all’interno del Labour: il leader di allora, Jeremy Corbyn, appartenente all’ala sinistra del partito, fu estromesso dalla leadership e pure sospeso dal partito (per una polemica non collegata alle elezioni), e al suo posto, poco più di un anno fa, fu nominato Starmer, più centrista, rassicurante e istituzionale. Una delle promesse principali di Starmer fu quella di riprendere il Red Wall, e il voto ad Hartlepool avrebbe dovuto dimostrare la riuscita della strategia.

Invece il Labour non soltanto ha perso, ma Jill Martimer, la candidata conservatrice, ha preso quasi il doppio dei voti del candidato laburista.

Un’altra grave sconfitta nell’area del Red Wall è stata quella di Tees Valley, una piccola area amministrativa sempre nel nord-est dell’Inghilterra che i laburisti avevano perso nel 2017 e speravano di riconquistare. Il sindaco conservatore, invece, è stato riconfermato con il 73 per cento. Anche le elezioni per il Parlamento scozzese sono state una delusione per il Labour, che ha perso due deputati e ha ottenuto il peggior risultato dal 1999, anno di fondazione del Parlamento.

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Le elezioni non sono state del tutto disastrose per il Labour. Il partito ha retto e ha vinto nella maggior parte delle città che già deteneva, come Londra dove è stato riconfermato il sindaco Sadiq Khan; o Manchester, dove il sindaco della contea metropolitana Andy Burnham è stato riconfermato con una maggioranza solida e convincente. Nel Parlamento gallese si è confermato come prima forza e ha aumentato di un seggio la propria maggioranza, un ottimo risultato.

Ma venerdì, subito dopo la pubblicazione del risultato di Hartlepool, all’interno del partito sono cominciate durissime polemiche, spinte soprattutto dall’ala sinistra che fa ancora riferimento a Jeremy Corbyn.

L’ex leader si è limitato a scrivere su Twitter che il risultato delle elezioni è un sintomo del fatto che «manca la speranza», ma molti suoi alleati hanno criticato Starmer in maniera più diretta, attribuendogli la colpa della delusione elettorale e dicendo che il partito non ha una politica o una visione chiare.

Starmer ha risposto alle critiche pubblicando un video trasmesso dalle televisioni britanniche in cui ha detto di essere «molto deluso» del risultato e si è assunto la completa responsabilità della sconfitta.

Anche il video tuttavia è stato molto criticato: il Guardian ha parlato con «uno degli alleati più stretti» del leader laburista, che ha descritto il video come un disastro soprattutto d’immagine: «Lo ha fatto davanti a un sacco di copie di Hansard (la raccolta dei dibattiti parlamentari, ndr), con quella che sembra una pianta morta sullo sfondo. Stava sudando. È stato terribile».


Nei giorni successivi sono cominciate le lotte interne. Starmer ha inizialmente reagito cacciando la sua vice, Angela Rayner, dalla carica di “party chair”, una delle figure apicali del partito, che si occupa tra le altre cose di gestire le campagne elettorali. Il licenziamento è stato visto come un tentativo di trovare un capro espiatorio, ha creato notevoli turbolenze nella dirigenza e alla fine, dopo un fine settimana di negoziati, Rayner non solo non è stata licenziata ma è stata promossa e ha assunto nuove importanti cariche all’interno del governo ombra laburista (nella politica britannica il partito d’opposizione crea un governo informale speculare a quello in carica, con l’obiettivo di rispondere alle iniziative del governo in carica e rilanciare con le proprie proposte).

Starmer ha fatto ulteriori cambiamenti nella dirigenza del partito e nel governo ombra, promuovendo alcuni suoi alleati, ma non è detto che questo sarà abbastanza per rafforzarlo. Secondo i media britannici l’opposizione interna potrebbe decidere di contestare la sua leadership nei prossimi mesi, specie se continueranno a esserci risultati elettorali deludenti: entro l’anno è prevista una nuova elezione suppletiva nel distretto elettorale di Batley and Spen, che ancora una volta sarà considerata come un test sulla leadership di Starmer.

Secondo gli analisti, le motivazioni del risultato deludente del Partito laburista alle elezioni della settimana scorsa sono numerose.

Alcune sono contingenti, come per esempio la pandemia da coronavirus: il Partito Conservatore ha sicuramente tratto giovamento dal successo della campagna vaccinale, che lo ha aiutato a uscire dalla crisi di consensi di qualche mese fa. A livello nazionale, tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, i due partiti erano quasi alla pari nei sondaggi, e i conservatori sono tornati a distanziarsi solo con l’inizio delle vaccinazioni, e ora sono avanti di circa il 6 per cento (Starmer sta comunque facendo meglio di Corbyn, che nel periodo peggiore della sua leadership era indietro del 17 per cento rispetto ai conservatori).

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Altre motivazioni però sono più strutturali e note. Il voto su Brexit ha provocato la divisione tra una parte consistente dello storico elettorato popolare laburista in posti come il Red Wall, dove nel 2016 vinse il “Leave” nonostante le indicazioni contrarie del partito; e anche queste elezioni hanno mostrato come il Labour sia ormai popolare quasi esclusivamente nelle grandi città e tra l’elettorato più istruito, mentre lavoratori e operai sono passati a destra.

Questo spostamento è stato facilitato da Boris Johnson, che ha abbandonato la politica di austerity fiscale dei suoi predecessori e ha messo a punto una politica che un membro del suo partito ha definito come «conservatrice dal punto di vista sociale e di sinistra dal punto di vista fiscale».

Johnson adotta gran parte della retorica della destra, compresi il nazionalismo e la difesa dei valori tradizionali, ma in economia non esita a fare debito per investire tra le altre cose in infrastrutture e programmi di riqualificazione delle regioni industriali in crisi: questo mette in difficoltà i laburisti, da sempre favorevoli a questo genere di misure.

E poi c’è Starmer, che secondo molti analisti era un buon candidato in periodo di pandemia, per il suo portamento serio e rassicurante, ma che in una campagna elettorale più tradizionale è penalizzato da una certa mancanza di carisma, che lo fa apparire distaccato e impacciato. Al contrario di Boris Johnson, che si trova a suo agio davanti a una grande folla, il leader del Labour è «legnoso», ha scritto il commentatore politico Henry Mance sul Financial Times.