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  • Domenica 28 marzo 2021

Come ha fatto il Regno Unito

A diventare uno dei paesi europei coi numeri migliori sul coronavirus, dopo il disastro del governo Johnson nei primi mesi del 2020

(Christopher Furlong/Pool Photo via AP)
(Christopher Furlong/Pool Photo via AP)

Fra il 19 e il 25 marzo, nel Regno Unito sono morte in tutto 520 persone la cui causa è stata attribuita al coronavirus. Sono numeri piuttosto bassi per un paese che durante la prima ondata della pandemia aveva uno dei tassi più alti al mondo di morti in rapporto alla popolazione, e sono ancora più notevoli se paragonati a quelli degli ultimi giorni registrati nei principali paesi europei. La Francia e la Germania hanno avuto un numero paragonabile di morti dal 23 al 25 marzo, l’Italia lo ha addirittura superato in un solo giorno, il 23 marzo. Il merito di questi numeri è stato attribuito all’efficace campagna vaccinale, che nel Regno Unito è molto più avanti che nel resto d’Europa, ma non solo.

Eppure un anno fa, nelle prime fasi dell’epidemia in Europa, la situazione era molto diversa. I consulenti del governo britannico parlavano apertamente di lasciare circolare il coronavirus per raggiungere una forma di immunità di gregge, mentre diverse ricostruzioni pubblicate dai giornali spiegavano che Johnson si stava dedicando poco e male alla gestione della pandemia. Da aprile ad agosto del 2020 il Regno Unito era rimasto nelle prime due posizioni fra i paesi europei per numero di morti in rapporto alla popolazione, e oggi rimane il paese europeo che ha registrato più morti in assoluto, poco più di 126mila.

Fino a gennaio del 2021 la situazione del Regno Unito sembrava ancora piuttosto grave. Domenica 3 gennaio nel paese erano stati registrati oltre 50mila nuovi contagi per il sesto giorno consecutivo, mentre abbondavano le preoccupazioni per la variante del coronavirus individuata proprio nel Regno Unito e giudicata dagli esperti molto più contagiosa rispetto al ceppo classico. Oggi invece le cose sono assai migliorate.

Al momento il Regno Unito ha somministrato in tutto 31 milioni di dosi di vaccino: un numero enorme, considerato che nei 27 paesi dell’Unione Europea ne sono state somministrate circa 60 milioni.

La prima causa della drastica riduzione di casi e di morti nel Regno Unito è proprio l’altissima diffusione del vaccino: secondo un’analisi di BBC, sia in Inghilterra sia in Scozia ha già ricevuto la prima dose più dell’80 per cento delle persone con più di 50 anni, con punte superiori al 95 per cento delle persone che hanno più di 60 anni. In sostanza nel giro di tre mesi il governo britannico è riuscito a sviluppare le difese di quasi tutta la fascia più anziana della popolazione, cioè quella più vulnerabile al coronavirus (ha aiutato il fatto che non fossero state individuate altre fasce prioritarie, diversamente da quello che è successo nel resto d’Europa).

Oggi sappiamo che una campagna vaccinale così efficace è stata possibile soprattutto grazie all’abbondanza di dosi disponibili, il cui acquisto è legato grazie a un enorme rischio preso dal governo del primo ministro britannico Boris Johnson: puntare tutto sul vaccino sviluppato dall’azienda AstraZeneca in collaborazione con l’università di Oxford.

– Leggi anche: Il pasticcio di Bolzano ha rovinato i grafici sul coronavirus di mezzo mondo

Fin dalle prime fasi dello sviluppo del vaccino AstraZeneca, il governo britannico ha finanziato con miliardi di sterline le ricerche nei laboratori di Oxford e stipulato un contratto più dettagliato rispetto agli altri paesi e all’Unione Europea; ha inoltre approvato l’uso del vaccino molto presto, quando ancora non si erano dissipati dubbi legati alla fase di sperimentazione, e si è rifiutato di esportare all’estero le dosi prodotte nel territorio britannico (mentre ha ricevuto diversi milioni di dosi dai paesi dell’Unione Europea).

L’agenzia britannica del farmaco (MHRA), inoltre, ha consigliato da subito al governo di non tenere da parte scorte di vaccino necessarie per la seconda dose: intuizione poi giustificata con successivi studi secondo cui la prima dose dei vaccini di AstraZeneca e Pfizer-BioNTech assicura già una certa copertura contro lo sviluppo di forme gravi di COVID-19. Unita all’abbondanza delle dosi, questo ha permesso al Regno Unito di vaccinare a ritmi altissimi, fino a sfiorare le 900mila somministrazioni al giorno.

Alla fine diverse scommesse sono risultate vincenti, compresa quella centrale su AstraZeneca: il vaccino è fra i più efficaci al mondo, tanto che secondo alcune recenti rilevazioni protegge quasi al 100 per cento dalle forme più gravi di COVID-19, e il governo sta sfruttando il successo della campagna vaccinale per giustificare altre controverse decisioni politiche come la recente uscita dall’Unione Europea.

«Credo che l’appartenenza all’Unione Europea abbia avuto un effetto stordente sulla nostra capacità di prendere decisioni», ha detto al New York Times l’ex capo dei negoziatori britannici per Brexit, David Frost, parlando della scommessa vinta su AstraZeneca. Secondo Frost, Brexit ha dato al Regno Unito la possibilità di «ritornare ad essere un paese in grado di gestire dei problemi».

David Frost insieme a Boris Johnson (Leon Neal/Getty Images)

Ma il successo del governo Johnson nel ridurre i morti e i casi giornalieri ha a che fare anche con alcune decisioni che non riguardano la campagna vaccinale, come ad esempio le restrizioni ai movimenti. Non è chiaro cosa abbia innescato il cambio di passo: ci sono molte teorie – fra quali le dimissioni del controverso consigliere di Boris Johnson, Dominic Cummings, a metà novembre – ma nessuna spiegazione solida.

Il Regno Unito si trova in un lockdown piuttosto stringente dagli inizi di gennaio. Le scuole hanno riaperto soltanto dopo due mesi, l’8 marzo, mentre gli incontri fra persone di nuclei familiari diversi saranno permessi a partire dal 29 marzo. In quella data saranno consentiti anche i matrimoni, a cui però potranno partecipare soltanto sei persone (in questo momento in Italia le cerimonie religiose possono svolgersi, con poche restrizioni).

Il governo ha inoltre adottato toni molto più netti rispetto ai mesi scorsi, per esempio facendo intendere che molto probabilmente questa estate non sarà possibile andare in vacanza all’estero. Da diverse settimane il governo ha diffuso i suoi programmi per una riapertura graduale, molto dettagliati: a partire dal 12 aprile – e non prima – in Inghilterra potranno riaprire tutti i negozi, compresi i parrucchieri, mentre bar e ristoranti potranno servire clienti seduti fuori dai locali. A partire dal 17 maggio ci si potrà incontrare nelle case private ma senza superare il limite di sei persone per volta, mentre sarà consentita la riapertura di cinema e teatri all’aperto. A partire dal 21 giugno saranno rimossi i limiti di persone presenti agli eventi pubblici e privati, e così via.

Nelle ultime settimane il governo ha anche investito molto per aumentare la propria capacità di sottoporre la popolazione a test rapidi. Gli studenti delle scuole superiori e i loro insegnanti e genitori vengono testati due volte a settimana, mentre in Inghilterra tutte le aziende possono richiedere gratis test rapidi per i propri dipendenti, sul posto di lavoro (fino alla scorsa settimana l’opzione era riservata alle aziende con più di 50 dipendenti).

(AP Photo/Kirsty Wigglesworth)

In questo modo il Regno Unito è riuscito a passare da circa 500mila test al giorno effettuati a metà febbraio a più di 1,5 milioni al giorno registrati questa settimana, fa notare BBC News: un altro fattore che probabilmente ha aiutato a individuare e spegnere eventuali focolai. Giovedì 25 marzo in Italia sono stati realizzati invece circa 350mila test.