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  • Sabato 26 settembre 2020

I numeri dell’epidemia in Europa

La seconda ondata di contagi ha superato la prima in molti paesi, ma la situazione generale è molto diversa dalla primavera: lo mostrano i dati sui decessi

Nelle ultime settimane in alcuni dei principali paesi i contagi da coronavirus hanno raggiunto numeri mai registrati prima dall’inizio della pandemia: è il caso di Francia e Spagna, dove ormai da un mese i nuovi casi scoperti ogni giorno sono più di quelli accertati nelle settimane peggiori dell’epidemia, tra la fine di marzo e inizio aprile. L’arrivo della “seconda ondata” in questi paesi è evidente, e mostra un andamento allarmante anche la curva del Regno Unito, dove giovedì è stato registrato il più alto numero di nuovi casi quotidiani di sempre. La situazione ha costretto i governi di Francia, Spagna e Regno Unito a disporre nuovamente rigide misure restrittive, dopo il generale allentamento dell’estate.

In Italia e Germania, invece, i numeri sono molto più bassi, e per il momento non sono considerati emergenziali, anche se stanno destando diffuse preoccupazioni. In Svezia, paese che si è distinto rispetto agli altri per non aver mai applicato misure di lockdown, i contagi sembrano invece essersi maggiormente stabilizzati, dopo che il picco era stato raggiunto in estate con settimane di ritardo rispetto agli altri paesi europei.

Negli ultimi sette giorni, la Francia e la Spagna hanno registrato un numero di nuovi casi scoperti in un singolo giorno che è stato più alto di quelli che l’Italia sta registrando settimanalmente. In Francia giovedì ne sono stati accertati 16.096; in Spagna sono stati superati i 13mila in diverse occasioni negli ultimi dieci giorni. Nel Regno Unito, il record stabilito giovedì è di 6.634 casi. L’Italia non supera i 2.000 casi ormai dallo scorso 29 aprile.

C’è però una grande differenza rispetto alla situazione di questa primavera: 1.000 contagi scoperti oggi non sono uguali a 1.000 contagi scoperti a marzo, e lo si capisce bene osservando l’andamento dei decessi di persone che avevano contratto il coronavirus nei vari paesi.

I principali paesi europei hanno raggiunto il picco dei decessi quotidiani tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, quando Italia, Spagna, Regno Unito e Francia hanno tutti registrato giorni compresi tra gli 800 e i 1.100 morti. Oggi, anche in quei paesi in cui i contagi hanno raggiunto numeri superiori a quelli di quel periodo, i decessi quotidiani sono molti di meno, e non hanno mai superato i 100.

È un fenomeno con cause diverse: gli ospedali riescono a gestire molto meglio il flusso di pazienti, che in generale sono meno perché meno persone presentano quadri clinici gravi; le cure sono migliorate e il personale sanitario è più esperto; e soprattutto, oggi si scopre una percentuale molto più alta dei contagi reali.

Più o meno in tutti i paesi, infatti, i sistemi sanitari hanno aumentato la capacità di fare test e di tracciare i contatti, sebbene ci siano grandi critiche sul funzionamento del monitoraggio sanitario specialmente in Spagna e nel Regno Unito. Si è detto a lungo che nelle settimane di maggiore emergenza i positivi accertati fossero solo una parte delle persone che avevano contratto il coronavirus: oggi è certamente ancora così, ma questa percentuale è significativamente aumentata.

È comunque evidente un costante aumento del numero dei morti un po’ ovunque, con l’eccezione della Svezia: ma se in Italia e Germania è ancora molto all’inizio, in Spagna, Francia e Regno Unito è iniziato da settimane.

Lo si capisce tra le altre cose dal grafico che mostra il numero di decessi quotidiani ogni 100 nuovi contagi scoperti. Oggi questo numero è, per tutti i principali paesi europei, sotto a 1: ma fino all’inizio dell’estate la situazione era molto diversa, e il rapporto tra decessi e casi scoperti era molto più alto.

È la questione della letalità apparente e della letalità reale: in primavera i dati ufficiali sulla COVID-19 in Europa suggerivano tassi di letalità – cioè la percentuale di persone morte rispetto a quelle ammalate – altissimi, diversi da quelli che la scienza considerava più probabili: perché all’epoca le persone ammalate realmente – compresi gli asintomatici – erano molte di più di quelle che i sistemi sanitari riuscivano a scoprire con i test. È anche vero che migliaia di morti per COVID-19 in ogni paese non sono mai entrati nelle statistiche ufficiali, perché mai testati. Ma comunque i malati che sfuggivano alle rilevazioni erano in proporzione molti di più.

Come sappiamo, la quantità di contagi scoperti è direttamente collegata ai test fatti. Confrontare questo numero tra paesi diversi non è sempre facile, perché alcuni diffondono i dati sul numero di test fatti, altri sul numero di persone testate: e il primo è sempre significativamente più alto del secondo. Vanno quindi confrontati i paesi sulla base dello stesso indicatore, e anche sulla base del numero di abitanti. Il grafico mostra bene quanto sia aumentato complessivamente il numero di test, e che al momento Regno Unito e Francia fanno nettamente più test degli altri paesi. L’Italia è invece quella che ne fa di meno.

La mappa qui sotto invece mostra la percentuale di test che risultano positivi sul totale di quelli fatti, con un colore che va dal blu scuro per i paesi che scoprono meno positivi al rosso per quelli che ne scoprono di più, ogni 100 tamponi. Ammesso che la selezione delle persone da testare sia più o meno efficace allo stesso modo nei principali paesi europei, un colore tendente al blu suggerisce che l’epidemia sia maggiormente sotto controllo, mentre il rosso può voler dire che stanno sfuggendo alle statistiche più persone contagiate (e infatti a marzo e aprile era rossa o arancione un po’ tutta Europa).

Si vede che l’Italia, nonostante il numero di test più basso, continua a scoprire una percentuale di positivi sotto al 3% dei test fatti, mentre in Francia è sopra al 6% da una decina di giorni, e in Spagna addirittura sopra al 10%. Il Regno Unito, proprio perché sta facendo tanti test, ha una percentuale inferiore al 2%.