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  • Domenica 14 febbraio 2021

I sovranisti europei si spaccheranno?

L'improvvisa svolta moderata della Lega potrebbe mettere in crisi la nota alleanza transnazionale dei partiti di estrema destra

(AP Photo/Luca Bruno, File)
(AP Photo/Luca Bruno, File)

Una settimana prima delle elezioni europee del 2019, davanti al Duomo di Milano si tenne una partecipata manifestazione dell’estrema destra europea, organizzata dalla Lega di Matteo Salvini. Oltre a Salvini stesso c’erano diversi leader di partiti di destra radicale da tutta Europa. A un certo punto prese la parola Joerg Meuthen, fra i volti più noti di Alternative für Deutschland, il principale partito tedesco di estrema destra.

Meuthen fece un intervento molto apprezzato (minuto 28.45), annunciando la formazione di un nuovo gruppo politico al Parlamento Europeo che avrebbe difeso l’Europa come una «fortezza» dall’assalto dei migranti e che avrebbe avuto l’obiettivo di «sbattere fuori dai Parlamenti» i «burocrati arroganti» che formavano la classe dirigente europea, di cui fece anche i nomi: Emmanuel Macron, Mario Draghi, Angela Merkel, Jean-Claude Juncker. Il pubblico gradì molto l’elenco e lo accompagnò con dei sonori fischi. La prima persona a cui Meuthen strinse la mano scendendo dal podio dopo il suo intervento fu un giovane europarlamentare leghista, Marco Zanni.

Proprio Meuthen e Zanni nei mesi successivi sono diventati rispettivamente capogruppo e vicecapogruppo del gruppo sovranista al Parlamento Europeo, Identità e Democrazia: e sempre Meuthen e Zanni negli ultimi giorni sono stati al centro di una polemica condotta sui giornali che secondo alcuni è il segnale di problemi più ampi all’interno del gruppo, e di una possibile spaccatura.

Pochi giorni fa Meuthen aveva commentato con disprezzo la notizia che l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi stava per diventare il nuovo presidente del Consiglio italiano. «È un brutto scherzo», aveva detto parlando alla stampa. In difesa di Draghi è intervenuto con un altro comunicato stampa un alleato piuttosto improbabile, almeno fino a poco tempo prima: il suo collega Marco Zanni. «Se qualcuno all’estero critica il professor Draghi per aver difeso l’economia, il lavoro e la pace sociale europea, quindi anche italiana, e non solo gli interessi tedeschi, questa per noi non sarebbe un’accusa, ma un titolo di merito», ha detto Zanni alle agenzie.

Zanni, al centro, e Meuthen (l’uomo con gli occhiali e le cuffie) durante una conferenza stampa al Parlamento Europeo (Melanie WENGER/EP)

Due settimane fa, un po’ a sorpresa, la Lega ha infatti deciso di sostenere il governo di coalizione guidato da Draghi e di sottolineare la propria decisione abbandonando la tradizionale retorica euroscettica che aveva adottato fin dalla sua nascita, negli anni Novanta.

Per molto tempo la Lega si è comportata come un tradizionale partito di estrema destra nazionalista, ostile a qualsiasi ulteriore cessione di sovranità all’Unione Europea, contrario a regolarizzare flussi migratori regolari e a estendere i diritti civili, e sostenitori dell’uscita dall’euro: per anni il suo segretario Matteo Salvini – così come gli altri leader dell’estrema destra europea, dalla francese Marine Le Pen all’olandese Geert Wilders – ha lodato modelli di leadership autoritaria e ostile al progetto di integrazione europea come quello del presidente russo Vladimir Putin.

Anche per questa ragione attorno ai gruppi parlamentari di estrema destra al Parlamento Europeo è sempre stato costruito un metaforico “cordone sanitario”: i gruppi più istituzionali di centrodestra e centrosinistra non li hanno mai coinvolti nella spartizione delle cariche istituzionali – come le presidenze e le vicepresidenze di commissione o dell’Aula – per timore di legittimare persone e idee contrarie ai valori fondanti dell’Unione. Ancora oggi la Lega è il partito politico che controlla più seggi al Parlamento Europeo a non esprimere alcuna carica istituzionale.

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Nella Lega però esiste da tempo una corrente più moderata – guidata informalmente dal nuovo ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e dal presidente della regione Veneto, Luca Zaia – che spinge per spostare il partito più al centro avvicinandolo ai tradizionali partiti di centrodestra. L’anno scorso si parlò parecchio di un incontro istituzionale fra Giorgetti e Marian Wendt, parlamentare tedesco della CDU, il partito di Angela Merkel nonché guida informale del Partito Popolare Europeo (PPE), il principale partito europeo di centrodestra. Ancora due giorni fa Repubblica ha definito Wendt il «pontiere» di un possibile avvicinamento fra la Lega e il PPE, un’ipotesi di cui si parla ciclicamente da quando la Lega era arrivata al governo nel 2018, ma che ha ripreso forza col suo sostegno al governo Draghi.

Può essere una questione di sopravvivenza politica: dalle elezioni europee del 2019 la Lega ha perso circa dieci punti nei sondaggi e i temi su cui ha insistito per molti anni sono passati in secondo piano nel dibattito pubblico – come l’immigrazione, su cui la Lega aveva posizioni nettissime che promuoveva sfociando spesso nella discriminazione del diverso – oppure hanno subito una modifica di percezione, come l’Unione Europea e il suo approccio nei confronti dell’Italia, principale beneficiario dei fondi del Recovery Fund. Oppure la Lega cerca più ambiziosamente di avvicinarsi al centrodestra per provare a cambiarlo e renderlo sempre più simile all’estrema destra.

Sulla carta il PPE potrebbe guardare con favore a un avvicinamento e in futuro a un eventuale ingresso della Lega fra le proprie forze: guadagnerebbe un nuovo prezioso alleato in Italia – Forza Italia, il principale partito associato al PPE, sembra ormai decotta – e un folto gruppo di parlamentari europei che rafforzerebbero la propria maggioranza relativa dei seggi. In realtà gli ostacoli a un’alleanza sono più difficili da superare di quello che sembra.

Diversi partiti nazionali federati al PPE, soprattutto nel Nord Europa, stanno cercando di marcare un confine sempre più netto fra il centrodestra europeista e moderato e l’estrema destra, che percepiscono come un potenziale pericolo per il progetto europeista: partiti influenti come l’irlandese Fine Gael, i Cristiano-Democratici olandesi, ma anche i polacchi di Piattaforma Civica – che in Polonia sono all’opposizione del governo di estrema destra – solo politicamente molto distanti dai temi e dai toni della destra radicale, e sono contrari a un progressivo spostamento verso destra del PPE, che ormai da anni gestisce i lavori del Parlamento Europeo con i Socialisti e i Liberali. Anche nella CDU l’ultimo congresso è stato vinto dal moderato Armin Laschet, considerato molto vicino alla linea centrista di Angela Merkel.

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A livello europeo nel PPE queste tesi sono ancora la maggioranza, tanto che nell’ultimo congresso di partito è stato eletto presidente Donald Tusk, l’ex presidente del Consiglio Europeo che da anni critica molto duramente le posizioni dell’estrema destra europea, e ha spinto molto per sospendere dal PPE il partito del primo ministro ungherese Viktor Orbán, Fidesz. Più cinicamente, inoltre, sembra difficile che la CDU possa approvare l’ingresso di un partito che esprime moltissimi parlamentari europei e che potrebbe indebolire la propria influenza sulle posizioni comuni del PPE e il funzionamento del partito.

Diverse fonti del PPE hanno cercato di ridimensionare la svolta moderata della Lega e il suo presunto avvicinamento al PPE. Una fonte interna al gruppo del PPE al Parlamento Europeo ha spiegato che per loro «non è cambiato niente» dopo la decisione della Lega di aderire al governo Draghi, e ha fatto notare che il presunto «pontiere» di un avvicinamento alla CDU e al PPE è un parlamentare che conta molto poco all’interno del partito. Un’altra fonte del PPE, che si occupa invece della sua piattaforma politica, ha smentito che siano in corso trattative politiche con la Lega.

Se da un lato, per ora, il PPE non sembra entusiasta di avvicinarsi alla Lega, dall’altro il sostegno al governo Draghi potrebbe creare dei problemi nel gruppo dei sovranisti europei, Identità e Democrazia.

La polemica fra Zanni e Meuthen è avvenuta dopo che la Lega, in settimana, aveva deciso di votare a favore del Recovery Fund nell’ultimo voto del suo iter legislativo al Parlamento Europeo. Il voto ha spaccato Identità e Democrazia in tre: i parlamentari del Rassemblement National di Marine Le Pen si sono astenuti sebbene siano sostanzialmente contrari al Recovery Fund, mentre quelli di Alternative für Deutschland hanno votato contro.

In futuro altri incidenti del genere saranno sempre più probabili, se la Lega continuerà su questa linea. In vista delle elezioni tedesche di settembre Alternative für Deutschland sta rafforzando la sua retorica contro i paesi del Sud e le cessioni di sovranità della Germania all’Unione Europea, mentre Marine Le Pen potrebbe decidere di usare una retorica simile in vista delle presidenziali in Francia previste fra poco più di un anno.

Anche sull’approccio nei confronti della Russia da alcune settimane stavano già emergendo delle differenze. Già a gennaio, durante la repressione delle proteste di massa in favore della democrazia, Matteo Salvini e la Lega avevano iniziato a smarcarsi dal governo autoritario di Vladimir Putin votando a favore di nuove sanzioni contro la Russia al Parlamento Europeo, mentre il Rassemblement National aveva votato contro.

David Carretta, corrispondente di Radio Radicale dalle istituzioni europee, ha fatto notare che «nello statuto concordato nel giugno del 2019, la Lega, il Rassemblement national (Rn), Alternativa per la Germania (AfD) e gli altri partiti di estrema destra si erano impegnati a respingere “qualsiasi ulteriore evoluzione verso un superstato europeo” e “qualsiasi tentativo di imporre un bilancio della zona euro e imposte dirette dell’UE”», come ad esempio quelle previste ufficialmente per finanziare il Recovery Fund.

La maggioranza dei partiti di Identità e Democrazia potrebbe quindi argomentare che sia stata la Lega a violare i patti e a dover spiegare la propria posizione. Sembra difficile, comunque, che Identità e Democrazia possa espellere la Lega o addirittura sciogliersi: più seggi controlla un gruppo politico e più riesce a essere influente. Solo aderendo a un gruppo, inoltre, i partiti nazionali accedono ai fondi per garantirsi un ufficio e pagare i collaboratori e i tecnici che collaborano alla stesura delle leggi.

Se la Lega proseguisse nella sua svolta moderata con ulteriori voti in sintonia con la maggioranza che controlla i lavori del Parlamento Europeo, il PPE potrebbe invece valutare un’apertura nei suoi confronti: una fonte del gruppo parlamentare fa notare che un passaggio importante per capire se le nuove ambizioni della Lega verranno prese sul serio dagli altri gruppi politici sarà la sua partecipazione, o meno, alla redistribuzione delle cariche istituzionali che avviene tradizionalmente a metà mandato dei parlamentari europei, quindi nel gennaio del 2022.