La Lega spinge per entrare nel governo, il M5S prende tempo

Ma continuano a esserci poche indicazioni sulla composizione del probabile governo Draghi, e su quando potrebbe giurare

(Dominique HOMMEL/EP)
(Dominique HOMMEL/EP)

Martedì sera il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha concluso il secondo giro di consultazioni con i partiti, ed entro mercoledì pomeriggio incontrerà sindacati e associazioni di categoria. Al termine degli incontri però non dovrebbe tornare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per sciogliere la riserva e accettare ufficialmente l’incarico da presidente del Consiglio: al momento osservatori e cronisti non mettono in discussione le altissime probabilità di successo del tentativo di Draghi di trovare una maggioranza, ma spiegano che a causa dei dissidi interni in alcuni partiti e di un approccio molto prudente dello stesso Draghi il nuovo governo potrebbe giurare fra sabato o domenica, o persino la settimana prossima.

Se dopo la conferenza stampa di ieri sembra chiaro che il leader della Lega Matteo Salvini voglia decisamente entrare nel governo, e sia anche disposto a contraddire improvvisamente pezzi fondamentali della piattaforma politica costruita in questi anni, il Movimento 5 Stelle sembra più confuso. Dopo una iniziale ostilità – «il M5S non voterà un governo tecnico presieduto da Mario Draghi», aveva detto una settimana fa il reggente del partito Vito Crimi – la maggioranza del partito si era via via convinta a sostenere il nuovo governo, anche grazie al parere favorevole del fondatore Beppe Grillo, che ha guidato la delegazione del M5S ai due colloqui con Draghi.

Fra oggi e domani era previsto un voto su Rousseau, la piattaforma online su cui gli iscritti al M5S prendono alcune decisioni sulla vita del partito, che era considerata una specie di formalità per poter sostenere ufficialmente il governo guidato da Draghi. Il voto però è stato sospeso mercoledì mattina, apparentemente su indicazione di Grillo.

Ieri sera la minoranza interna del Movimento 5 Stelle si era fatta sentire con due uscite pubbliche di cui si è parlato parecchio. Il leader dell’ala più radicale del M5S, Alessandro Di Battista, ha dato un’intervista in cui ha ribadito la sua contrarietà all’ingresso del M5S nel nuovo governo. Poco dopo, una ventina di eletti nel M5S fra cui diversi senatori e consiglieri locali – fra cui soprattutto l’ex ministra Barbara Lezzi – hanno partecipato a un evento online per opporsi al governo Draghi, chiamandolo “V-Day”, come i primi raduni nazionali del Movimento 5 Stelle.

Alle 23 il fondatore del M5S Beppe Grillo ha pubblicato un lungo e a tratti sconnesso messaggio video sulla sua pagina Facebook con cui ha annunciato il rinvio del voto su Rousseau, non si sa a quando. Nel video Grillo dice che Draghi «ha le idee confuse» e che prima di sottoporre al voto il sostegno al nuovo governo vuole che Draghi «faccia le dichiarazioni che ha fatto a noi in modo pubblico». 

Gli osservatori della politica italiana hanno interpretato la decisione di Grillo come un modo per prendere tempo, sia per trovare una maggiore compattezza nel sostegno a Draghi, sia per convincere il maggior numero possibile di iscritti a votare a favore del nuovo governo. Mentre la maggioranza dei parlamentari – più vicini all’ala moderata di Luigi Di Maio, che era ancora capo politico quando vennero compilate le liste elettorali – è disponibile a sostenere il nuovo governo, gli iscritti e attivisti sembrano molto più divisi. «È la votazione più incerta di sempre», ha detto a Repubblica una fonte interna al M5S.

La decisione di Grillo sembra ancora più pretestuosa dato che per due giorni Draghi ha ripetuto più o meno le stesse cose a tutti i gruppi politici che ha incontrato, che successivamente le hanno riferite alla stampa. Draghi ha fatto sapere che intende accelerare sulla campagna vaccinale contro il coronavirus, valutare l’estensione dell’anno scolastico, puntare molto sulla transizione verso un’economia sostenibile senza aumentare le tasse ma applicando una tassazione progressiva. La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha riferito che Draghi ha escluso la flat tax, uno dei pilastri delle proposte economiche del centrodestra nell’ultima campagna elettorale.

– Leggi anche: Cosa si dice su quello che vorrà fare Draghi

Ma c’è una cosa in particolare che sembra stia creando una diffusa incertezza sia tra i partiti sia tra i giornali: contrariamente a quanto succede di solito in queste situazioni, da Draghi e da chi lo sta aiutando non arrivano molte informazioni sui futuri ministri del governo. Se normalmente il cosiddetto “totoministri” è anche una pratica politica, nel senso che certi nomi vengono fatti circolare soltanto per indirizzare le trattative, per sondare le reazioni, per costruire candidature o per “bruciarle”, stavolta non sembra stia succedendo.

Sul Corriere della Sera il cronista politico Francesco Verderami ha scritto che Draghi «sugli incarichi di governo non ha mai offerto spazi di manovra ai partiti», che secondo alcune fonti saranno avvisati delle scelte del nuovo presidente del Consiglio «praticamente a cose fatte, cioè poco prima dell’incontro al Quirinale tra l’ex presidente della BCE e Sergio Mattarella, l’unico con il quale Draghi si confronta». Di riflesso, è un problema anche per i giornali, che stanno pubblicando articoli molto più eterogenei del solito sui possibili nuovi ministri. Capire le intenzioni di Draghi è reso ancora più complicato dal fatto che in questi giorni sta lavorando alle consultazioni da solo, senza potenziali fonti come collaboratori o addetti stampa.

Questo vuol dire che ci sono ancora dubbi su quanto sarà politico il governo e quanto sarà tecnico. Da qui, secondo i giornali, nascono alcuni problemi interni al Partito Democratico: dato che Salvini sta spingendo moltissimo per entrare nel futuro governo, anche il PD sta valutando chi proporre come ministro fra lo stesso Zingaretti e i capi delle varie correnti come il vice-segretario Andrea Orlando, e i ministri uscenti Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. L’obiettivo del partito, scrive Repubblica, è «evitare che il nuovo esecutivo si trasformi nel governo Draghi-Salvini». Ma la scelta su chi proporre genererà nuove discussioni in un momento in cui alcune correnti stanno proponendo un nuovo congresso (idea che Zingaretti considera «da marziani», come ha detto ieri uscendo dal colloquio con Draghi).