PD e M5S cercano di diventare amici anche in Europa

Da quando governano insieme in Italia hanno iniziato anche a «coordinarsi» al Parlamento Europeo, ma con approcci diversi

di Luca Misculin

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Da quando il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle hanno deciso di sostenere un governo insieme, all’inizio di settembre, quella che all’inizio veniva considerata una collaborazione temporanea per impedire a Matteo Salvini di indire nuove elezioni si sta progressivamente trasformando in un’alleanza politica a lungo termine.

Nonostante le tensioni degli ultimi giorni, M5S e PD hanno ribadito più volte che intendono portare avanti il governo fino alla fine della legislatura, cioè nel 2023 (e il taglio del numero dei parlamentari ha reso più complicato tenere un’elezione prima di quella data). La prossima settimana, nella prima elezione regionale dalla formazione del nuovo governo, i due partiti sosterranno un candidato condiviso, come mai era successo a livello locale. E nelle ultime settimane sembra che il loro rapporto possa estendersi anche nelle sedi istituzionali europee – uno dei due lo auspica apertamente – cosa che di riflesso potrebbe avere ripercussioni anche nella direzione che prenderanno in Italia.

Parlando col Post, parlamentari europei sia del Partito Democratico sia del Movimento 5 Stelle hanno detto che da quando governano insieme in Italia le due rappresentanze hanno iniziato a parlarsi e «coordinarsi», un’espressione che può avere sfumature diverse e che secondo alcuni potrebbe sfociare in una alleanza consolidata, superando il rapporto di buon vicinato fra partiti che governano insieme (come si potevano definire quello fra i parlamentari del M5S e della Lega durante il primo governo di Giuseppe Conte). Questo avvicinamento potrebbe avere presto una nuova accelerazione, se il Movimento 5 Stelle dovesse riuscire a farsi accogliere nel gruppo parlamentare europeo dei Verdi.

Al Parlamento Europeo, i cui rappresentanti vengono eletti ogni cinque anni e perciò possono permettersi strategie di respiro più ampio, i rapporti fra i due partiti non erano iniziati col piede giusto. Subito dopo le elezioni europee del 2014 il Movimento 5 Stelle raccolse le firme per tenere un referendum sull’euro – nel momento in cui il PD era forse il partito più europeista di tutto l’arco istituzionale – mentre durante la campagna elettorale aveva promosso su tutti i social network l’hashtag #vinciamonoi, un riferimento al fatto che il Movimento 5 Stelle avrebbe ottenuto più voti del PD, che considerava il suo avversario naturale. Le elezioni furono poi stravinte dal PD, che ottenne il sorprendente 40,8 per cento dei voti, mentre il M5S sconfitto scelse di creare un gruppo parlamentare con l’UKIP, il partito di destra radicale britannico guidato da Nigel Farage.

In quel momento PD e Movimento 5 Stelle sembravano più lontani che mai, soprattutto in Europa. «C’è stato subito un clima di scontro», ricorda Daniele Viotti, che fra il 2014 e il 2019 è stato parlamentare europeo eletto col PD e in questi giorni si trova a Lesbo per scrivere una serie di reportage per la Stampa: «Noi eravamo forti del 40 per cento ed eravamo anche in maggioranza, mentre loro si erano messi con Farage. Il clima era pesante, li attaccavamo frontalmente». Una certa ostilità era prevedibile: mentre il PD faceva parte dei Socialisti – il principale raggruppamento del centrosinistra europeo, che assieme al centrodestra dei Popolari governa da anni i lavori del Parlamento – e il Movimento 5 Stelle aveva ottenuto enormi consensi ponendosi al di fuori dell’establishment politico e attaccando tutti i partiti che avevano un profilo simile al PD.

Le cose peggiorarono ulteriormente con la nascita del primo governo Conte, nell’estate del 2018, sostenuto anche dalla Lega. Il picco dello scontro, secondo Viotti, accadde durante la prima visita di Giuseppe Conte alla plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo, «quando venne a difendere le politiche di Matteo Salvini». Fu anche la volta in cui Conte fu definito un «burattino» dal capogruppo dei Liberali Guy Verhofstadt, che si attirò pesanti critiche sia dalla Lega sia dal M5S.

I cattivi rapporti a livello di partito non impedirono a PD e Movimento 5 Stelle di allinearsi su alcuni temi, soprattutto nella seconda parte della legislatura. Brando Benifei, parlamentare europeo eletto nel 2014 col PD e oggi capodelegazione del partito, ricorda che «su diversi temi è capitato che ci fosse una convergenza, nonostante la divergenza su molti altri». Benifei cita per esempio il sostegno del M5S al rafforzamento del Fondo Sociale Europeo (FSE), il principale programma europeo di sostegno all’occupazione, caro soprattutto ai Socialisti, diversi altri temi nell’ambito del lavoro e del sociale, nonché la protezione di interessi prettamente nazionali come le istanze delle aziende agroalimentari italiane.

Da parte sua il Movimento ha spesso ribadito che strumenti come il Fondo Sociale Europeo hanno lo stesso spirito del Reddito di Cittadinanza, cioè una delle più famose misure promosse dal partito, e anzi hanno spesso accusato il PD di aver perso la sua anima “di sinistra”; il M5S non rivendica di essere di sinistra, ma sostiene che l’attenzione alle fasce più deboli faccia parte del suo più esteso programma politico.

Nella scorsa legislatura, per esempio, il Movimento 5 Stelle ha criticato moltissimo il PD per avere votato a favore di un grosso accordo commerciale che l’Unione Europea ha concordato col Canada, il cosiddetto CETA, citando timori per le aziende e i lavoratori più vulnerabili. Su questo tema Tiziana Beghin, attuale capodelegazione del M5S al Parlamento Europeo, spiega che in passato ci sono stati diversi contrasti «col Partito Democratico più renziano». Sul tema dell’ambiente, inoltre, i parlamentari del Movimento 5 Stelle che se ne occupavano più estesamente come Eleonora Evi o Marco Affronte hanno spesso votato in linea coi Verdi, quindi persino più a sinistra del PD (tanto che nel 2017 Affronte lasciò il M5S per unirsi proprio ai Verdi).

Un’importante eccezione, citata da Benifei come da Viotti, fu invece la riforma del regolamento di Dublino, il collo di bottiglia legislativo che costringe i richiedenti asilo che arrivano via mare in Italia a rimanerci. Il M5S collaborò per circa un anno e mezzo alla stesura del nuovo testo, insieme a diversi altri gruppi politici, ma alla fine votò contro perché sosteneva che la riforma non fosse sufficientemente ambiziosa e che avrebbe comunque creato diversi problemi all’Italia. Benifei ricorda anche che fu il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, a inventare l’espressione «taxi del Mediterraneo» per descrivere il lavoro delle ong che salvano le persone nel tratto di mare vicino alla Libia.

Più in generale le posizioni del PD e del M5S sono stati molto distanti su vari temi: dal sostegno alla commissione di Jean-Claude Juncker – appoggiata da Socialisti e Popolari, di centrodestra – ai citati accordi commerciali, dal Quantitative Easing approvato dalla Banca Centrale Europea e appoggiato dalla maggioranza del Parlamento Europeo alla direttiva sul diritto d’autore, passando per il nuovo regolamento sulle banche e i rapporti UE-Russia, solo per citarne alcune. Negli scorsi mesi il PD ha spesso rinfacciato al M5S di aver governato con la Lega, il M5S talvolta ha attaccato il PD definendolo «nemico dell’Italia».

Benifei spiega che oggi la situazione è cambiata: i gruppi politici del PD e del M5S si sono avvicinati e si stanno «coordinando». E anche se finora questo rapporto non ha dato risultati concreti – la legislatura del resto è appena iniziata, e voti particolarmente significativi non ce ne sono stati – qualcosa c’è.

«Ci teniamo in contatto, parliamo, anche fra i capi delegazione e i nostri staff», dice Benifei: «Accade continuamente che votiamo diversamente, però su temi più delicati e significativi cerchiamo di coordinarci». Benifei non scende nei particolari, e aggiunge che il coordinamento non avviene sempre e non è strettamente necessario: anche perché i 14 parlamentari europei del M5S al momento non fanno parte di un gruppo parlamentare e di conseguenza hanno un peso politico piuttosto contenuto.

L’iscrizione a un gruppo è l’unico modo con cui un partito politico europeo può contare qualcosa, anche se si trova all’opposizione. Permette infatti di accedere ai fondi per garantirsi un ufficio e pagare i tecnici che collaborano alla stesura delle leggi – diversi milioni di euro ogni anno – e di essere coinvolti nella spartizione degli incarichi istituzionali e politici. Per esempio la qualifica di relatore o relatore-ombra, ruoli chiave per incidere nella legislazione soprattutto al Parlamento Europeo, dove può capitare che alla maggioranza politica che al momento è composta da Popolari, Socialisti e Liberali se ne possano sovrapporre altre, più trasversali.

Benifei si augura che il Movimento 5 Stelle trovi presto un gruppo parlamentare – da settimane stanno negoziando coi Verdi – per incidere maggiormente in Parlamento, ma parlando a titolo personale auspica che possano interrompere la loro «ambiguità» e unirsi ai Verdi, che «pur con le loro peculiarità, sono incardinati nell’area progressista». «Se il Movimento 5 Stelle prendesse questa collocazione sarebbe più utile per l’Italia, per il governo, e per i rapporti col PD», spiega Benifei.

Fonti interne del PD hanno spiegato che l’intenzione del partito è esattamente questa: il meccanismo di «coordinamento» dovrà servire – oltre a evitare imbarazzi al governo nazionale, come prese di posizione particolarmente differenti – a spingere il Movimento 5 Stelle verso i Verdi per allontanarli dalla destra radicale di Salvini e Farage, mantenendoli in un’area progressista. Prima e dopo la sua elezione a segretario del partito, Nicola Zingaretti ha ripetuto spesso che il M5s fa parte di un «campo progressista e civico alternativo alla destra». Fatte le dovute proporzioni, la strategia che il PD sta portando avanti al Parlamento Europeo è la stessa che in Italia sta dietro alla decisione di fare un governo col M5S nato per durare.

Il Movimento 5 Stelle non sembra esattamente della stessa idea. Tiziana Beghin ha confermato che fra i due partiti c’è un meccanismo di «coordinamento» in cui «valutiamo insieme la posizione di governo, che poi non necessariamente dev’essere portata avanti, ci possono essere sfumature differenti». Nelle ultime settimane di lavoro al Parlamento Europeo il Movimento 5 Stelle ha votato contro una proposta per avviare una commissione d’inchiesta sulle ingerenze della Russia nei paesi europei, in linea con la sue posizioni precedenti e con la posizione della Lega. Proprio stamattina, inoltre, si sono astenuti su una risoluzione che chiedeva maggiore sostegno alle ong che lavorano nel Mediterraneo, a cui avevano proposto un emendamento che sembrava voler difendere i controversi “decreti sicurezza” del primo governo Conte.

Beghin ha sottolineato inoltre che i temi con cui si «coordina» col PD sono «gli stessi su cui avevamo già convergenze in passato»: «è chiaro che l’esperienza di governo di oggi permette di portare avanti alcuni punti e magari non altri che con la Lega si potevano portare avanti». La posizione del M5S, insomma, è che il programma è talmente ampio che si possono diversi trovare punti in comune sia col PD sia con la Lega, e solo una scelta politica decisa a Roma ha portato a un avvicinamento al PD anche in sede europea.

Beghin spiega che per esempio sull’ambiente e i diritti civili il Movimento 5 Stelle e il PD sono «molto vicini», eppure anche con la Lega c’erano diversi punti di contatto. «Noi abbiamo sempre lavorato bene con la Lega, soprattutto a livello europeo», racconta Beghin: «ci sono stati tanti colleghi coi quali abbiamo sempre lavorato molto bene, con cui so che si può avere un confronto – anche con idee differenti – ma molto produttivo».

Fra i parlamentari leghisti che Beghin pone in questo gruppo c’è anche Marco Zanni, che ha una storia particolare. Eletto nel 2014 in Lombardia col Movimento 5 Stelle, nel 2017 era passato alla Lega, con cui è stato rieletto nel 2019. La sua carriera è stata talmente rapida che oggi è il capogruppo di Identità e Democrazia, il gruppo parlamentare che tiene insieme la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen. Zanni, però, ha un’idea molto diversa da Beghin su come siano andate le cose fra Movimento 5 Stelle e PD.

«Era qualcosa che già intravedevo quando lasciai il Movimento 5 Stelle», racconta Zanni. «A gennaio scrissi sul mio blog che vedevo molto probabile in un futuro non troppo lontano un’alleanza fra M5S e PD, proprio perché in Europa vedevo qualcosa che allora non era ancora chiaro». Confermando la versione di Benifei, Zanni ricostruisce che nel corso della scorsa legislatura ci fu un progressivo avvicinamento col PD su vari temi, «dall’economia alla sicurezza», tanto che racconta di essersi stupito quando nell’estate del 2018 il Movimento 5 Stelle scelse di allearsi con la Lega.

Zanni si è spiegato questo avvicinamento citando le radici politiche progressiste di molti eletti nel M5S, oltre a una volontà di «entrare nei circoli che contano», di contare di più rispetto al passato. Nella scorsa legislatura il gruppo parlamentare fra il M5S e lo UKIP, in effetti, fu escluso dalla maggioranza parlamentare ed ebbe scarsa influenza sulla maggior parte delle leggi approvate dal Parlamento. Secondo Zanni, la prova più evidente di questa nuova ambizione è stata l’appoggio del M5S alla candidatura di Ursula von der Leyen, che proviene dal partito di Angela Merkel, a nuova presidente della Commissione Europea (il M5S ha ricordato che inizialmente anche Salvini fu d’accordo sulla sua nomina).

Per Zanni è la dimostrazione che il Movimento 5 Stelle ha compiuto una «svolta moderata» e ha progressivamente scelto di abbandonare alcune sue battaglie e posizioni storiche: «Sia Gianroberto Casaleggio sia suo figlio hanno sempre spinto affinché il Movimento non andasse troppo a sinistra, e furono loro i fautori dell’alleanza con Farage qui al Parlamento Europeo. Ricordo ancora le prime riunioni post-elezione del 2014 alla Casaleggio Associati, in cui Gianroberto pungolava l’allora direttorio su un’eventuale alleanza con la Lega, ed era un’idea che esisteva proprio per l’estrazione e la storia di Casaleggio». Secondo Zanni oggi le cose sono andate in un’altra direzione, tanto che durante i mesi del governo Conte la Lega e il M5S provarono a mettere in piedi una «maggiore coordinazione» ma senza successo.

Zanni non è il solo ad avere osservato una «svolta» nelle scelte del Movimento 5 Stelle. Alberto Alemanno, attivista e professore di diritto europeo, ne aveva parlato per la prima volta in un editoriale pubblicato da Politico all’inizio del 2018. Oggi ha detto che l’alleanza al governo «non potrà che accelerare la normalizzazione del Movimento in seno al PD», ma ha avvertito che in questo momento «non è soltanto il PD ad influenzare il Movimento, ma anche il contrario». Beghin lo rivendica esplicitamente, spiegando per esempio che in Italia il Movimento è riuscito a convincere il PD a votare il taglio del numero dei parlamentari: «ma non è che il PD deve avvicinarsi alle sensibilità del Movimento, credo che sia un avvicinamento doveroso per i cittadini che dimostrano costantemente di soffrire molto l’enorme differenza anche sociale che c’è fra il cittadino e il parlamentare».

Più in generale, c’è chi dubita che la «svolta» del Movimento 5 Stelle possa avere effetti duraturi. Gli osservatori delle dinamiche del partito hanno spesso notato che le sue posizioni hanno attraversato diverse fasi, da una iniziale vicinanza col PD all’alleanza con Farage, seguita dal governo con la Lega e oggi col PD, restando peraltro fra i partiti più votati a tutte le elezioni.

Al Parlamento Europeo, inoltre, la scelta del Movimento 5 Stelle di «coordinarsi» col PD e appoggiare la nuova Commissione Europea potrebbe fare parte di una strategia a lungo termine il cui primo passo sarà farsi accettare dai gruppi parlamentari tradizionali – e in questo l’alleanza col PD aiuta assai – mentre il secondo, da compiere nelle prossime legislature, sarà farsi contendere fra i vari gruppi e diventare davvero l’ago della bilancia del Parlamento, come peraltro aveva auspicato Luigi Di Maio prima delle elezioni europee.

Beghin lo lascia intuire quando spiega che non se la sente di giudicare «migliore» il rapporto che il Movimento 5 Stelle ha col PD rispetto a quello che aveva con la Lega, e che in generale ci sono una serie di «priorità-paese estranee ai programmi elettorali» su cui tutti i partiti dovrebbero impegnarsi, anche prima delle elezioni, al Parlamento Europeo.

Benifei, invece, auspica che il rapporto del suo partito col Movimento 5 Stelle continui a svilupparsi, fino a «cercare un accordo anche quando c’è divergenza». Una specie di alleanza, insomma, che però diventerebbe più complessa se il M5S decidesse per esempio di unirsi a un gruppo come i Liberali. «L’approdo al gruppo Liberale potrebbe mantenere o addirittura accentuare il loro carattere un po’ trasformista, perché è un gruppo che gioca su tanti tavoli».