Due dati notevoli sulle elezioni regionali in Basilicata

I voti del Movimento 5 Stelle nella regione si sono ridotti di due terzi rispetto al 2019; le liste di Renzi e Calenda invece sono state decisive per la vittoria del centrodestra

Il leader di Azione Carlo Calenda ospite della trasmissione "Porta a porta", con Giuseppe Conte sullo schermo, il 29 marzo 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il leader di Azione Carlo Calenda ospite della trasmissione "Porta a porta", con Giuseppe Conte sullo schermo, il 29 marzo 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Alle elezioni regionali in Basilicata di domenica e lunedì, vinte dal presidente uscente di centrodestra Vito Bardi, il Movimento 5 Stelle è andato particolarmente male. Al tempo stesso le liste centriste riconducibili a Matteo Renzi e soprattutto a Carlo Calenda sono andate relativamente bene, e sono state decisive nel determinare la vittoria di Bardi. In entrambi i casi, alla base di questi risultati ci sono tendenze locali: ma come spesso accade, le elezioni regionali vengono utilizzate dai partiti politici anche per trarre conclusioni su scala più ampia (spesso esagerando).

Il M5S ha sempre sofferto molto le elezioni locali, amministrative e regionali, dimostrando invece più solidità nelle elezioni politiche nazionali. Tuttavia, il risultato ottenuto in Basilicata è rilevante non solo se lo si paragona con quello delle recenti politiche del settembre 2022, ma anche con quello delle regionali precedenti, del marzo 2019. A questo giro il M5S era in coalizione col Partito Democratico e sosteneva la candidatura dell’esponente del PD Piero Marrese: ha ottenuto il 7,7 per cento dei consensi, cioè 20mila voti, eleggendo così due consiglieri regionali. Un risultato che è meno di un terzo di quello ottenuto alle politiche di un anno e mezzo fa, quando il M5S prese il 25 per cento con oltre 61mila voti. Ma alle regionali del 2019 il M5S, che sosteneva la candidatura di Antonio Mattia, ottenne il 20,3 per cento, cioè 58.600 voti, portando tre suoi rappresentanti in Consiglio regionale.

Solo limitandosi al raffronto tra le due elezioni regionali, in cinque anni il M5S ha sostanzialmente ridotto di due terzi i consensi che ha in Basilicata.

Non è un caso isolato. Nelle recenti elezioni in Abruzzo di marzo il M5S, che era in coalizione col PD e gli altri partiti del cosiddetto “campo largo” di centrosinistra in sostegno della candidatura civica di Luciano D’Amico, ha raggiunto il 7 per cento dei consensi, con 40.600 voti, eleggendo due consiglieri. Alle politiche del 2022 in Abruzzo aveva preso il 18,4 per cento, con 115mila voti. Alle regionali del 2019, quando si era presentato da solo sostenendo la candidatura di Sara Marcozzi, aveva preso il 19,7 per cento e 118mila voti, con 7 consiglieri regionali eletti. Anche qui: in cinque anni i voti si sono ridotti di due terzi.

In Sardegna è andata un po’ meglio, ma non di molto. Alle regionali del 2019 il M5S sostenne da solo Francesco Desogus, ottenendo il 9,7 per cento con 69.500 voti. Alle politiche del 2022, il 21,8 per cento con 149mila voti. Alle regionali del 25 febbraio, nelle quali il M5S ha sostenuto insieme al PD la candidatura vincente di Alessandra Todde, prima presidente di regione del M5S, il partito di Conte ha ottenuto il 7,8 per cento con 53mila voti. In questo caso, rispetto alle regionali del 2019, la perdita è di circa un quarto dei voti.

Elly Schlein e Giuseppe Conte durante un convegno tenutosi alla Camera dei deputati, il 9 Aprile 2024 (foto Mauro Scrobogna/LaPresse)

Cinque anni sono un periodo lunghissimo in politica. Nella primavera del 2019 il Movimento governava l’Italia col presidente del Consiglio Giuseppe Conte e insieme alla Lega, e aveva quindi un ruolo nazionale rilevantissimo. Ma la cosa evidente, pur tenendo conto di questa premessa, è che il M5S nelle elezioni locali soffre in generale la convivenza con altri partiti: i risultati migliori li ha sempre ottenuti presentandosi da solo a favore di un proprio candidato. Questo isolamento escludeva a priori la possibilità di vittoria, visto che le altre coalizioni erano più ampie e raccoglievano il consenso di varie liste, ma allo stesso tempo era gradito dall’elettorato storico del Movimento, che ha sempre disprezzato o quantomeno guardato con sospetto gli altri partiti. In una certa misura questo spiega la riluttanza con cui Conte valuta l’ipotesi di un’alleanza strutturale col PD, tanto più in una situazione in cui il partito guidato da Elly Schlein è più forte in termini di consenso, e quindi in un’alleanza oscurerebbe il Movimento.

– Leggi anche: L’alleanza obbligata tra M5S e PD, nonostante tutto

L’altro dato notevole delle elezioni in Basilicata è l’ottima prestazione delle liste centriste, entrambe a sostegno di Bardi. Quella di Azione, il partito di Carlo Calenda guidato in Basilicata da Marcello Pittella, ha ottenuto il 7,5 per cento con 19.600 voti. Quella di Orgoglio Lucano, una lista civica nata su iniziativa di dirigenti locali di Italia Viva di Matteo Renzi, ha preso il 7 per cento, con 18.300 voti. Se anche solo una di queste due liste avesse sostenuto la coalizione di centrosinistra, il risultato delle regionali sarebbe stato molto meno netto e i due candidati, distanziati da meno di 40mila voti, si sarebbero sostanzialmente equivalsi. Se entrambe le liste di centro avessero sostenuto Marrese, molto probabilmente quest’ultimo avrebbe potuto battere Bardi.

Nelle ultime elezioni regionali i partiti di Renzi e Calenda hanno scelto da che parte stare caso per caso, seguendo una linea ambigua e muovendosi verso destra o verso sinistra a seconda delle convenienze del caso, o della sintonia coi candidati in competizione. In Sardegna Azione e Italia Viva hanno sostenuto un candidato centrista alternativo ai due schieramenti, Renato Soru; in Abruzzo, invece, erano insieme al PD e al M5S.

In Basilicata c’è stata a lungo incertezza sul loro collocamento. Italia Viva è stata la prima a prendere le distanze dal centrosinistra lucano, indotta a preferire Bardi anche per via della burrascosa confusione che ha portato PD e M5S a scegliere Marrese dopo aver proposto e bocciato altri due candidati (Angelo Chiorazzo e Domenico Lacerenza) nel giro di una settimana. Quanto ad Azione, invece, la decisione è stata più complicata: Pittella aveva ottimi contatti coi suoi ex colleghi del PD locale, e aveva a lungo lasciato intendere che la sua preferenza sarebbe stata convincere Calenda a stare nel centrosinistra. Ma il veto del Movimento nei confronti di Pittella stesso, alla fine, ha indotto Azione a scegliere il centrodestra e Bardi.

Il buon risultato di Orgoglio Lucano e Azione si spiega col radicamento territoriale dei loro candidati. Il principale responsabile di Orgoglio Lucano è il renziano Mario Polese, segretario regionale del PD dal 2017 al 2019, poi passato a Italia Viva. Polese è stato eletto al Consiglio regionale con quasi 3.500 preferenze personali.

Il riferimento di Azione in Basilicata, invece, è il figlio dell’ex senatore socialista Domenico Pittella e il fratello di Gianni Pittella, attuale sindaco di Lauria (Potenza), ex senatore e deputato e a lungo europarlamentare. La loro è una delle famiglie politiche più longeve e conosciute della regione, di cui peraltro Marcello Pittella è stato presidente dal 2013 al 2019. Lui e suo fratello sono stati a lungo i principali referenti del PD in Basilicata, fino a quando, nell’agosto del 2022, hanno aderito ad Azione. Alle ultime regionali Pittella è stato eletto con oltre 7.100 preferenze, il secondo più votato in assoluto. A Lauria (dove anche Marcello Pittella è stato sindaco prima del fratello, dal 2001 al 2005) la lista di Azione ha ottenuto il 31,5 per cento.