Alle elezioni in Sardegna il voto disgiunto ha avuto un ruolo importante

Alessandra Todde del M5S ha preso più voti di quelli delle sue liste, Paolo Truzzu di Fratelli d'Italia meno: c'entra lo scarso consenso che ha avuto lui da sindaco, tra le altre cose

I leader di destra Meloni, Salvini e Tajani, col candidato presidente in Sardegna Truzzu, durante il comizio conclusivo della campagna elettorale a Cagliari, il 21 febbraio 2024
(FILIPPO ATTILI/ANSA)
I leader di destra Meloni, Salvini e Tajani, col candidato presidente in Sardegna Truzzu, durante il comizio conclusivo della campagna elettorale a Cagliari, il 21 febbraio 2024 (FILIPPO ATTILI/ANSA)
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Nell’analisi del voto alle regionali della Sardegna in cui ha vinto la candidata di centrosinistra Alessandra Todde, i principali esponenti dei partiti di destra hanno motivato la loro sconfitta sulla base di questioni territoriali. “Ore 11”, il dispaccio con cui ogni giorno i dirigenti di Fratelli d’Italia forniscono spunti ai loro parlamentari per commentare fatti e notizie importanti, martedì mattina descriveva il voto sardo come una «competizione elettorale regionale persa per poche centinaia di voti e causata da dinamiche locali».

Poco dopo, all’ora di pranzo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha diffuso un comunicato congiunta scritto insieme ai suoi vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini, in cui i tre leader di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega si dicono «rammaricati per il fatto che l’ottimo risultato delle liste della coalizione di centrodestra, che sfiorano il 50 per cento dei voti, non si sia tramutato anche in una vittoria del candidato presidente».

In effetti lo scrutinio ha mostrato una situazione bizzarra anche se non del tutto inedita nelle elezioni locali: la coalizione che ha preso più voti non ha vinto le elezioni. Dal 1999, infatti, la legge prevede l’elezione diretta del presidente di regione, scelto non più dai componenti del Consiglio regionale in base ad accordi politici ma da cittadini e cittadine. Per questo oltre a votare per un partito, alle regionali si vota anche per il candidato o la candidata, e ciò che conta davvero sono appunto i voti che prendono i singoli candidati: chi tra loro ne ottiene di più, ha la garanzia di diventare presidente.

Di solito, però, i voti ottenuti da un candidato e la somma dei voti raccolti dai partiti e dai movimenti che lo sostengono coincidono in maniera più o meno sostanziale, o comunque differiscono di poco. In questo caso, invece, il candidato presidente della destra, Paolo Truzzu, ha ottenuto 328mila voti, quasi 6mila voti in meno delle liste che componevano l’alleanza di destra. Al contrario, Todde ha ottenuto 331mila voti come candidata presidente, circa 10mila in più di quelli delle liste a suo sostegno. Significa che molti elettori di Todde hanno scelto il cosiddetto “voto disgiunto”, cioè hanno votato lei come presidente e una lista di destra al consiglio regionale.

– Leggi anche: Cos’è il voto disgiunto

Tutto questo si spiega innanzitutto con lo scarso consenso personale che aveva Truzzu, militante storico dell’estrema destra e amico di lunga data di Meloni, sindaco di Cagliari dal 2019. Che non fosse granché amato dai suoi stessi concittadini, però, non era così difficile da comprendere. Le graduatorie di Governance Poll realizzate dal Sole 24 Ore tramite sondaggi per misurare la popolarità degli amministratori in questi anni lo hanno sempre visto in fondo alla classifica, tra gli ultimi cinque o sei sindaci italiani. Nel 2023, l’ultima disponibile, era all’84esimo posto, quartultimo tra i sindaci analizzati, con un consenso di appena il 43 per cento, 7 punti in meno rispetto a quelli con cui era stato eletto nel 2019.

Paolo Truzzu vota nel suo seggio elettorale di Cagliari, il 25 febbraio 2024 (Stefano Ambu/ANSA)

L’esperienza di Truzzu alla guida del comune di Cagliari è stata infatti travagliata, anche per via di costanti conflitti interni alla sua giunta e alla coalizione che lo sosteneva. Gli scontri peggiori erano stati coi dirigenti locali della Lega e del Partito Sardo d’Azione, un partito autonomista affiliato a quello di Salvini. Un ulteriore segnale delle sue difficoltà si vide a settembre del 2022, in occasione delle elezioni politiche nazionali in cui in gran parte d’Italia trionfò la coalizione di destra mentre a Cagliari, in una città amministrata dallo stesso partito di Meloni, andò meglio il centrosinistra.

Proprio a Cagliari Truzzu ha subito la sconfitta decisiva in queste regionali. Nella città più popolosa e importante, e capoluogo di regione, ha ottenuto 24mila voti contro i 38mila raccolti da Todde. È vero che la città di Cagliari già in passato aveva dimostrato un orientamento prevalentemente progressista, ma la sconfitta di Truzzu nella sua città è notevole anche se la si confronta con i precedenti. Nel 2019 il candidato di centrosinistra Massimo Zedda, che era a sua volta sindaco di Cagliari in carica, nella città risultò il più votato con poco più di 34mila preferenze; il candidato di centrodestra Christian Solinas fu sconfitto, ma prese comunque 31.500 voti. Non sono ancora disponibili analisi su questo specifico aspetto del voto, ma sembra evidente che qualche migliaio di cagliaritani che nel 2019 avevano votato per Solinas stavolta abbia preferito Todde. E considerando che in totale la differenza tra i due candidati domenica è stata di circa 3mila voti, si può dire che Cagliari abbia influito più di altre città.

L’immagine di Truzzu è arrivata indebolita al voto di domenica anche per via del lungo scontro tra Fratelli d’Italia e Lega, dopo il quale è stato scelto come candidato. Il presidente uscente, Christian Solinas, era il segretario del Partito Sardo d’Azione ed espressione di Salvini, che nel 2019 lo aveva scelto nel momento in cui i consensi della Lega erano intorno al 20 per cento e in grande ascesa. Ora che i rapporti di forza nella destra sono cambiati, e che Fratelli d’Italia è di gran lunga il partito egemone della coalizione, Meloni ha però voluto rivendicare questo primato imponendo un suo candidato. Lo stallo è durato a lungo e si è tramutato in certe fasi in litigio, cosa che non ha contribuito a rafforzare la candidatura di Truzzu una volta che poi è stato scelto (peraltro con grande ritardo, il 18 gennaio, a ridosso della scadenza per presentare le liste e quando Todde faceva campagna elettorale già da settimane).

Diversi quotidiani hanno raccontato nei giorni scorsi che Salvini e Solinas avrebbero suggerito ai propri elettori di fare voto disgiunto: votando cioè il proprio partito ma la candidata del centrosinistra Todde. Ma prove attendibili di questo atteggiamento non sono emerse al momento, ed è una tattica estremamente complicata e azzardata da mettere in pratica.

Il leader delle Lega Matteo Salvini con il presidente sardo uscente Christian Solinas, a Cagliari, il 27 dicembre 2023 (ANSA)

Abbiamo detto che Truzzu ha ottenuto 6mila voti in meno rispetto al totale dei voti delle sue liste: se questa tendenza fosse dovuta a una deliberata scelta della Lega, che ha preso 25mila voti di lista, bisogna assumere che quasi un elettore leghista sardo su quattro ha votato per Todde. Se a quelli della Lega si aggiungono i 37mila voti del Partito Sardo d’Azione, significa quasi un elettore su dieci che, su indicazione di Salvini e Solinas, avrebbe espresso una preferenza per la candidata di centrosinistra. Sono ipotesi non confermate e un po’ inverosimili.

Il voto disgiunto è molto difficile da organizzare su una scala così ampia, perché è un’azione non proprio banale, imporrebbe ai dirigenti locali di esporsi nel dare un’indicazione che potrebbe comprometterli col loro stesso elettorato («Ma come: facciamo il gioco dei nostri avversari?», potrebbe essere l’obiezione) ed eventualmente con gli alleati: chi vuole entrare in consiglio regionale ha tutto l’interesse a dare suggerimenti di voto chiari e facili ai propri elettori, anche se non ha in grande simpatia il candidato presidente della propria coalizione.

Più verosimilmente, Lega e Partito Sardo d’Azione sono rimasti freddi e non si sono spesi fino in fondo per Truzzu, e questo ha sicuramente condizionato anche i loro elettori. L’atteggiamento determinato di Meloni, che ha voluto imporre la sua volontà, ha irritato gli alleati, e il loro malumore si è molto probabilmente prima riverberato sui dirigenti locali e poi sui sostenitori di Salvini e Solinas.

A dimostrazione di tutto ciò c’è stata l’inconsueta fretta con cui alcuni dirigenti di Fratelli d’Italia, mentre lo spoglio era ancora in corso e il suo esito incerto, già lunedì mattina si sono mostrati nervosi. «Forse in cinque anni non abbiamo governato proprio brillantemente», ha detto per esempio il deputato Salvatore Deidda, uno dei dirigenti sardi di Fratelli d’Italia, evidentemente attribuendo la responsabilità della sconfitta a Solinas. Mercoledì, durante un evento pubblico a Pescara, Salvini ha commentato il voto sardo dicendo, al contrario, che quando non si riconferma un presidente uscente come candidato diventa complicato vincere.