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  • Mercoledì 29 luglio 2020

Il documentario sull’immigrazione che rischia di diventare un problema per Trump

Uscirà lunedì su Netflix: il governo lo aveva autorizzato, ma dopo averlo visto ci ha decisamente ripensato e ha fatto pressioni sui registi

Un ufficiale dell'agenzia ICE durante un'operazione a Escondido, in California, nel luglio 2019 (AP Photo/Gregory Bull, File)
Un ufficiale dell'agenzia ICE durante un'operazione a Escondido, in California, nel luglio 2019 (AP Photo/Gregory Bull, File)

«Dobbiamo trovarli e rimuoverli». Queste sono le parole pronunciate nel trailer del documentario Immigration Nation da un poliziotto della ICE, l’agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, e riferite alle persone entrate illegalmente negli Stati Uniti. Il documentario riguarda le operazioni della ICE degli ultimi tre anni circa: praticamente tutto il mandato di Donald Trump, che fin dall’inizio della sua presidenza aveva inasprito le norme sull’immigrazione, causando molte discussioni e proteste.

Immigration Nation uscirà su Netflix lunedì 3 agosto, dopo lunghi negoziati tra i registi e l’amministrazione Trump, che ha fatto pressione perché le parti più controverse del documentario venissero tagliate o per rimandare l’uscita del documentario a dopo le elezioni presidenziali del novembre 2020. Alla fine gli avvocati hanno risolto le questioni legali, anche perché il contratto permetteva al governo di mettere il veto solo sulle scene che mostrassero cose inesatte sul piano fattuale.

La serie di documentari, in sei puntate, è stata girata dai registi Christina Clusiau e Shaul Schwarz, lei photo editor statunitense e lui giornalista israeliano naturalizzato statunitense, sotto la supervisione – ma con la piena collaborazione – di un funzionario del settore media della ICE, di cui non hanno rivelato il nome per evitare conflitti con l’agenzia. Il documentario, insomma, era autorizzato: Clusiau e Schwarz avevano stipulato un contratto con la ICE, che aveva dato loro il permesso di filmare diverse operazioni – una cosa senza precedenti – ma soprattutto aveva concesso di intervistare alcuni migranti detenuti e raccogliere le loro testimonianze.

Se all’inizio per l’amministrazione Trump il documentario era una buona occasione per far vedere i dietro le quinte delle operazioni e, di riflesso, mettere in mostra il suo operato duro contro l’immigrazione, ha scritto il New York Times, le cose poi si sono messe diversamente: dal momento che nella serie vengono mostrati sia comportamenti scorretti da parte degli agenti, sia storie di abusi fisici e psicologici subiti dai detenuti, la ICE avrebbe fatto pressioni per rimuovere le scene più «sgradevoli» e avrebbe minacciato di avviare cause legali contro i registi –  non contro Netflix – qualora non avessero rispettato le loro indicazioni.

La ICE è un’agenzia fondata dal governo statunitense nel 2003 per contrastare l’immigrazione irregolare, il terrorismo e, più in generale, difendere i confini statunitensi. Durante l’amministrazione di Barack Obama, la ICE si occupava principalmente di individuare ed espellere gli immigrati irregolari che avevano commesso gravi reati; con Trump le indagini della ICE hanno iniziato a riguardare chiunque si trovasse negli Stati Uniti illegalmente.

Quando hanno mostrato la prima versione del documentario ai responsabili della ICE, i registi hanno incontrato forti resistenze: il funzionario che li aveva seguiti non solo ha minacciato la società di produzione di «pesanti conseguenze», ma ha anche specificato che l’irritazione per i contenuti del documentario proveniva «dai piani alti».

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Il documentario mostra infatti situazioni particolarmente delicate che potrebbero attirare moltissime critiche alla ICE e al governo, e che si inseriscono nell’ambito della strategia di “tolleranza zero” avviata dall’amministrazione Trump nel 2018 nei confronti dell’immigrazione irregolare. In particolare, fece molto discutere il fatto che in seguito alle politiche di “tolleranza zero” migliaia di bambini vennero separati forzatamente dalle loro famiglie e detenuti da soli.

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Tra le scene contestate per cui i registi avrebbero rischiato una causa legale, ha scritto il New York Times, c’è quella in cui si vede un agente della ICE scassinare la serratura di un palazzo dove abita un immigrato irregolare ricercato: se la scena fosse stata diffusa, ci sarebbe stata un’indagine interna e l’agente avrebbe rischiato il licenziamento.

Nel trailer, inoltre, si vede un altro agente ricevere via radio l’ordine di catturare «almeno due persone» a tutti i costi, mentre nel quinto episodio del documentario si vede una donna raccontare alla troupe di aver ricevuto forti pressioni affinché ritirasse la richiesta di asilo. La donna, che è stata detenuta per oltre 17 mesi in un centro di El Paso, in Texas, aveva richiesto asilo per fuggire alle minacce di morte ricevute dalla gang criminale MS13, perché aveva rifiutato di consegnare la nipote dodicenne che avrebbe dovuto sposarsi forzatamente.

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Immigration Nation poteva essere in parte censurato o non essere trasmesso del tutto, ma stando a quanto ha dichiarato l’avvocata dei due registi, Victoria S. Cook, le dispute sono state risolte con i legali della ICE. Il lancio del documentario è atteso regolarmente per lunedì 3 agosto, ma non è stato chiarito se ci saranno dei tagli.

Nel frattempo, un’altra inchiesta del New York Times realizzata in collaborazione con The Marshall Project, un’organizzazione non profit di giornalismo che si occupa di questioni relative alla giustizia negli Stati Uniti, aveva evidenziato criticità nel modo in cui la ICE ha gestito la pandemia da coronavirus. In particolare, oltre a continuare a ricercare, arrestare e spostare di centro in centro gli immigrati irregolari, la ICE ha espulso una persona che era risultata positiva al coronavirus e che al momento di essere imbarcata sull’aereo verso il suo paese mostrava ancora i sintomi della COVID-19.

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La ICE è diventata un simbolo delle politiche aggressive del governo Trump sul tema del controllo dell’immigrazione. Tra gli altri, Elizabeth Warren, senatrice ed ex candidata nelle primarie dei Democratici statunitensi per le presidenziali, aveva definito le scelte di Trump «crudeli» e «disumane» e proposto di rimpiazzare la ICE con un’organizzazione che rispecchiasse valori e modi di operare meno aggressivi.

Uno degli slogan che vengono utilizzati più spesso in opposizione alle politiche di Trump è appunto “Abolish ICE”: non solo diversi attivisti, ma anche politici progressisti e persino alcuni membri del dipartimento di Sicurezza ritengono che la struttura della ICE debba essere rivista affinché lo stesso dipartimento possa operare meglio.