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Cosa dice il Trattato tra Italia e Libia

Quali sono gli impegni che l'Italia ha preso nei confronti di Gheddafi con l'accordo del 2008

Da ieri il governo dice di considerare il trattato "sospeso", ma servirebbe l'accordo di entrambe le parti

di Francesco Costa

La violenta repressione delle rivolte in Libia e la grande amicizia del presidente del Consiglio italiano col dittatore libico Gheddafi ha fatto sì che in questi giorni centrodestra e centrosinistra si accusassero molto e reciprocamente di avere stretto rapporti eccessivamente vicini con il regime o di ipocrisia nel prenderne adesso le distanze. Le puntate di Ballarò e di Annozero che si sono occupate della questione sono diventate una specie di rissa dell’asilo: eri più amico tu, no eri più amico tu, guardate queste foto, guardate qui invece che sorrisi.

Per quanto nei rapporti bilaterali tra due governi lo stile conti molto, e lo stile degli incontri Berlusconi-Gheddafi non è paragonabile a nessun altro rapporto bilaterale intrattenuto dall’Italia negli ultimi anni, esiste un parametro più concreto che bisognerebbe analizzare e valutare per discutere dei rapporti tra Italia e Libia. È il cosiddetto Trattato di Bengasi, cioè il “trattato di amicizia e cooperazione” tra Italia e Libia sottoscritto da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto del 2008, ratificato dall’Italia il 6 febbraio del 2009. Ieri il ministro La Russa ha detto che il trattato è “di fatto sospeso” ma anche questa affermazione è poco chiara: il Trattato, infatti, può essere modificato solo “previo accordo delle Parti”.

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Un po’ di storia, prima
In poche righe, giusto per capire di cosa parliamo. Nel 1911, dopo una breve guerra contro l’impero ottomano, l’Italia prende il controllo della Tripolitania e della Cirenaica. Nel 1934 Tripolitania e Cirenaica sono unite e vengono chiamate Libia. Durante quegli anni, decine di migliaia di italiani vanno a vivere in Libia, aprono fabbriche e imprese, mettono radici. L’Italia perde il controllo del paese nel 1943 e vi rinuncia ufficialmente nel 1947: la Libia viene amministrata provvisoriamente dalla Gran Bretagna e dalla Francia, e conquista l’indipendenza nel 1951. La Libia diventa una monarchia, retta da re Idris, ma nel 1969 un golpe militare condotto da Muammar Gheddafi prende il controllo del paese. Tra le prime cose che fa, il regime nazionalizza i possedimenti italiani in Libia, confisca ogni bene ai 35 mila cittadini italo-libici – 400 miliardi di lire, al cambio attuale sarebbero tre miliardi di euro – e infine li espelle. La retorica anti-italiana è stata considerata un elemento cruciale usato da Gheddafi per aumentare la sua popolarità. Dal 1970 viene indetto il Giorno della vendetta, da celebrare ogni 7 ottobre, in ricordo della ritorsione antiitaliana. Il Giorno della vendetta smette di essere celebrato nel 2008, a seguito della firma del trattato di Bengasi.

I precedenti al Trattato
Negli anni il regime di Gheddafi ha avanzato numerose richieste e minacce verso l’Italia. Un risarcimento in denaro per danni provocati dalla colonizzazione. La costruzione di ospedali e infrastrutture. Lo sminamento di alcune zone in cui furono combattute delle guerre. Nessuno stato europeo ha mai pagato dei soldi per i danni derivati dal processo coloniale, ma l’Italia non ha mai del tutto chiuso la porta alle richieste di Gheddafi: un po’ per la minaccia esercitata da Gheddafi sul fronte geopolitico e il suo sostegno al terrorismo internazionale, un po’ per l’importanza delle operazioni di estrazione del petrolio condotte dall’ENI in Libia e un po’, dagli anni Ottanta in poi, per l’influenza potenziale del governo libico nell’ostacolare i flussi migratori diretti dal Nordafrica verso l’Italia. La prima bozza di accordo tra Italia e Libia è stata siglata nel 1998, durante il primo governo Prodi: è il cosiddetto Comunicato Congiunto. L’accordo prevede una serie di impegni per il governo italiano e la realizzazione di alcuni progetti in Libia da parte di una società a capitale misto. Gheddafi però vuole di più, l’accordo non viene ratificato dal Parlamento e si arriva alla conclusione che per placare le richieste libiche serva un “grande gesto”, un atto simbolico che eviti nuove minacce e chiuda la questione una volta per tutte.

Il Trattato di Bengasi
Il contenzioso si chiude una volta per tutte con il Trattato di Bengasi, siglato da Italia e Libia nel 2008 a Roma. È suddiviso in tre parti. La prima, quella sui principi generali, stabilisce alcune cose piuttosto importanti: per esempio l’impegno per Italia e Libia a “non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite”, l’impegno ad astenersi “da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato”. In una situazione delicata come quella di questi giorni, queste clausole possono aver condizionato l’atteggiamento del governo italiano (che però ora considera “sospeso” il trattato). Anche perché, dall’altro lato, la carta della NATO impegna l’Italia a schierarsi contro la Libia se questa dovesse attaccare un altro paese del Patto Atlantico. L’accordo impegna poi Italia e Libia ad agire “conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”.

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