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  • Giovedì 18 novembre 2010

Carboni e Lombardi restano in carcere, per ora

Il tribunale del riesame difende l'indagine sulla ghenga Carboni, criticata dalla Cassazione

Il tribunale del riesame di Roma ha diffuso ieri un’ordinanza allo scopo di difendere l’impianto accusatorio della procura nei confronti di Flavio Carboni e Pasquale Lombardi, i due promotori della lobby che tentava di influenzare a vari livelli giudici e politici.

Arrestati lo scorso 8 luglio, a settembre la Corte di Cassazione aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare, costringendo il tribunale del riesame a valutare nuovamente l’istruttoria e decidere se motivare nuovamente la loro detenzione o deciderne la scarcerazione. L’inchiesta è quella per violazione della legge Anselmi sulle società segrete, che vede indagati anche il senatore Marcello Dell’Utri, il coordinatore del PdL Denis Verdini e il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo. Secondo l’accusa, la ghenga di Carboni avrebbe lavorato, tra le altre cose, allo scopo di interferire nelle nomine di alcuni giudici e nella sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, avrebbe fabbricato un falso dossier su Caldoro per favorire Nicola Cosentino e avrebbe fatto pressioni sulla Corte d’appello di Milano perché la lista elettorale di Formigoni alle ultime elezioni regionali fosse riammessa e pilotato gli appalti sull’energia eolica in Sardegna.

Il principale problema sollevato dalla Cassazione, come si è letto poi a ottobre sulla sentenza, è l’utilizzo delle conversazioni degli indagati con dei parlamentari. Per intercettare un parlamentare, infatti, serve un’autorizzazione a procedere da parte della camera di appartenenza dell’indagato: la procura non ce l’aveva, e intanto intercettava decine di colloqui di Carbone, Lombardi e Martino con Dell’Utri, Cosentino, Caliendo, Lusetti. L’accusa sostiene che “non era prevedibile che gli indagati contattassero dei parlamentari” e che l’imbattersi degli investigatori in queste conversazioni è stato “casuale”: la difesa afferma che – appresa la regolarità dei contatti della ghenga con i parlamentari – la procura avrebbe dovuto fermarsi e chiedere l’autorizzazione al Parlamento. Secondo la Cassazione, davanti ai dubbi posti dagli avvocati degli imputati, il tribunale del Riesame aveva “ha eluso il tema posto dalla difesa, con una motivazione apparente, priva di specifici elementi”.

Come previsto, però, il tribunale del riesame ha confermato l’impianto dell’indagine. Le intercettazioni dei parlamentari, scrive, sono legittime e “pienamente utilizzabili”, e per quanto “numerose” sono nulla “all’enorme numero di conversazioni intercettate a carico degli indagati”. Inoltre, si legge nell’ordinanza, le intercettazioni non sono state disposte per captare le conversazioni di parlamentari – la tesi degli “ascolti casuali”, a suo tempo criticata da Carlo Bonini su Repubblica – e “non sono state utilizzate nei confronti degli onorevoli”. Anche se poi molti di questi sono indagati, vedi per esempio gli stessi Verdini e Dell’Utri.

A questo punto, Carboni e Lombardi faranno probabilmente un nuovo ricorso alla Corte di Cassazione. Che quindi, acquisita la nuova ordinanza del tribunale del riesame, dovrà entrare nel merito della questione e decidere una volta per tutte della legittimità o meno di quelle intercettazioni, e quindi anche dell’esistenza o meno del reato contestato, la violazione della legge sulle società segrete. Se, infatti, le telefonate intercettate con parlamentari non dovessero essere ritenute utilizzabili, l’inchiesta – nata per provare l’esistenza di un’associazione segreta che condizionava le istituzioni – finirebbe su un binario morto.

– Puntate precedenti: Tutti gli articoli del Post sulla ghenga di Flavio Carboni