Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 19 Dicembre 2021
Il Trentino Alto Adige ha una condizione unica e speciale dal punto di vista dell’informazione locale: tutte le sue maggiori testate in entrambe le lingue sono di proprietà dello stesso editore, la società Athesia posseduta da una ricca e potente famiglia altoatesina. Un anno fa l’editore ha chiuso uno dei suoi quotidiani, il Trentino: le organizzazioni dei giornalisti stanno da allora contestando quella scelta. Qualche mese fa hanno avuto una piccola vittoria giudiziaria; adesso stanno contestando il regime monopolistico della regione, e protestando contro le priorità dell’editore che ha appena acquistato un importante e lussuoso albergo sul lago di Garda.
domenica 19 Dicembre 2021
Il gruppo Athesis, che è l’editore dei quotidiani locali Giornale di Vicenza, BresciaOggi e Arena
domenica 19 Dicembre 2021
Il sito Professione Reporter riferisce che nel “patto per l’innovazione” concordato tra l’editore GEDI e la redazione di Repubblica sono definiti esattamente alcuni premi di fine anno per i giornalisti, legati ai risultati sugli abbonamenti ottenuti dal giornale.
“Infine, i “premi di risultato”. Se la media degli abbonati paganti al sito e alla versione digitale del quotidiano a dicembre 2022 sarà superiore del 30,3 per cento rispetto alla media degli abbonati paganti di novembre 2021, i giornalisti otterranno trecento euro (243 netti). Se risulterà superiore del 43 per cento, 600 euro (486 netti), se superiore del 62,9 per cento, 1000 euro (810 netti). A dicembre 2023, trecento euro se gli abbonati sono superiori dell’82,4 per cento rispetto a novembre 2021, seicento euro se risultano superiori del 95,4 per cento, mille euro se risultano superiori del 115 per cento”.
domenica 19 Dicembre 2021
Il sito NiemanLab, dedicato ai cambiamenti dell’informazione, ha pubblicato la sua raccolta di previsioni di fine anno sulle tendenze future immaginate da diversi addetti ai lavori: tra le molte interessanti, ce n’è una dedicata alla questione delle contiguità rischiose tra inserzioni pubblicitarie e temi delicati sui siti di news. È una questione diventata da diversi anni molto frequente, a causa della prevalenza dei banner “programmatic” sui siti di news, ovvero delle inserzioni pubblicitarie non gestite dal sito ma da una rete esterna (Google Ads per prima) che colloca le pubblicità nelle pagine con meccanismi automatici (ma il problema non riguarda solo il digitale: vedi l’incidente su Repubblica di questa settimana). Per attenuare guai e accostamenti indesiderati, molti algoritmi di pubblicazione dei banner prevedono una blacklist di parole chiave “delicate” a cui gli inserzionisti non vogliono essere associati. Ma sono criteri poco duttili e finiscono per escludere pagine e articolo di qualità dagli investimenti pubblicitari, mentre nel frattempo gli stessi investimenti spesso raggiungono siti di disinformazione e contenuti pericolosi. L’auspicio del capo di NewsGuard – una società che si occupa di verificare la credibilità dei siti di news – è che gli inserzionisti sostengano la buona informazione badando più alla qualità delle testate che sostengono che non agli argomenti dei singoli articoli.
domenica 19 Dicembre 2021
Malgrado le formule sulla “indipendenza dal potere” o sul “controllo del potere” dei giornali siano di solito retorica promozionale (il potere è sempre quello degli altri: i giornali sono in realtà un potere enorme a loro volta, spesso superiore a quelli più ufficiali), questa è una piccola vicenda di letterale e concreta “indipendenza da un potere”, oppure all’opposto di mancato rispetto delle esigenze di rettifica. La Corte Costituzionale ha diffuso un comunicato per smentire un articolo del quotidiano Libero, lamentandosi che Libero non ospitasse la sua richiesta di correzione.
“È quanto fa sapere l’Ufficio stampa della Corte costituzionale, anche per rettificare l’errata informazione pubblicata al riguardo dal quotidiano Libero, con un articolo di Antonio Mastrapasqua del 3 dicembre, dal titolo “Gli uffici dello Stato ostaggio degli emeriti”. Rettifica chiesta al Direttore responsabile di Libero il 3, il 7 e il 13 dicembre, senza mai aver avuto risposte di alcun tipo”.
domenica 19 Dicembre 2021
Dopo lo svelamento delle pratiche di corruzione di alcuni “influencer” da parte del regime dell’Arabia Saudita per ottenere promozione delle proprie iniziative, questa settimana un articolo del New York Times ha raccontato simili pratiche adottate dalla Cina. Non fidatevi dei video promozionali su come si viva bene in Cina e su come le accuse al regime comunista siano infondate, insomma.
domenica 19 Dicembre 2021
Il sito britannico sul business giornalistico PressGazette ha indagato sui tentativi di Google di introdurre il suo progetto “Showcase” anche negli Stati Uniti, e sulle difficoltà che sta incontrando. Showcase è il sistema inventato da Google per offrire dei compensi alle aziende giornalistiche purché queste non avanzino maggiori pretese sull’uso da parte di Google dei loro contenuti sui suoi motori di ricerca: nella pratica è uno spazio piuttosto insignificante all’interno di Google News in cui gli articoli dei siti coinvolti godono di una visibilità ulteriore; ma il suo senso è quello di far decidere a Google i termini di un accordo che altrimenti potrebbe essere più oneroso se i giornali proseguissero il lavoro di lobbying presso governi e parlamenti per stabilire regole sull’uso dei loro articoli. Il progetto finora ha funzionato in molti paesi (Italia compresa) in cui Google ha concluso accordi triennali di varie entità con i diversi editori di giornali: ma a quanto spiega PressGazette le testate americane (negli Stati Uniti Showcase dovrebbe essere introdotto l’anno prossimo, dopo un primo rinvio) non si stanno facendo convincere per niente, contestando la misura delle offerte economiche di Google, ritenendo di poter ottenere regolamentazioni più vantaggiose in futuro, e percependo l’irrilevanza di Showcase come strumento di promozione dei loro contenuti.
domenica 19 Dicembre 2021
I titoli degli articoli, o i loro equivalenti contemporanei, le “anteprime” sui social network (spesso coincidono), sono più che mai il principale formato di informazione delle persone sulle cose del mondo: ancora di più in questi anni di “bombardamento di informazioni” in cui è dimostrato che sempre più spesso leggiamo solo i titoli degli articoli (e spesso li commentiamo persino, senza leggere gli articoli, come ha notato Twitter), e anche che spesso le informazioni contenute nei titoli prevalgono su quelle contenute negli articoli, quando c’è una discrepanza.
La scrittura dei titoli, nelle redazioni, è affidata a giornalisti che si occupano della “macchina” del giornale, non a chi abbia scritto l’articolo: questo perché ci vuole una capacità speciale nel condensare in poco spazio due funzioni maggiori dei titoli, ovvero sintetizzare fedelmente la notizia o il tema maggiore dell’articolo, e farlo in maniera attraente perché il lettore sia motivato a leggerlo. Le esigenze dell’informazione digitale, e del passaggio dall’anteprima (sulle homepage, o sui social network, o su Google) alla pagina dell’articolo per ottenere ricavi pubblicitari, hanno sbilanciato le priorità verso la seconda: portare il lettore sull’articolo, anche sacrificando la fedeltà alla notizia (alle estreme conseguenze: il cosiddetto clickbait).
Alcune testate in tutto il mondo si fregiano di mantenere un rigore nella costruzione dei propri titoli, in modo che mantengano fedeltà e chiarezza, anche a scapito dell’originalità e dell’attrattiva (è una critica che ricevono alcuni titoli del Post, a volte didascalici fino al rischio della noia): questa settimana ne ha scritto la giornalista che svolge la funzione di “public editor” esterno di NPR, il sito della radio pubblica statunitense, citando alcuni esempi criticati dai lettori (è interessante per esempio il conflitto di scelte in un articolo intitolato “Negli Stati Uniti la democrazia è in declino, ma non ci sono solo cattive notizie, dice una ricerca”: privilegiare l’allarme sul declino di partecipazione democratica senza attenuarlo con la seconda frase, oppure offrire anche un dato meno pessimista aggiungendo la frase stessa?).
“Se siete dei consumatori di news su un apparecchio digitale, è probabile che siate stati attratti da un titolo ingannevole. Alcune testate giornalistiche ne hanno fatto un’arte. Tutte quante, a un certo punto, inciampano nel desiderio di attrarre attenzioni e producono un titolo bugiardo o due.
NPR, governata dalla sua missione di creare un pubblico più informato, è tra le redazioni meno suscettibili di impiegare queste pratiche truffaldine. E malgrado questo, non passa una settimana senza che riceviamo qualche tipo di lamentela su un titolo.
Immaginiamo che almeno una parte di coloro che scelgono di informarsi su NPR lo faccia perché ha delle aspettative alte. Alcune di queste aspettative possono essere incentivate dal fastidio che abbiamo vissuto tutti dopo aver dedicato il nostro tempo a un articolo su qualche altra testata che ci ha deluso”.
domenica 19 Dicembre 2021
Era stato il tema del “prologo” della prima edizione di Charlie, un anno e mezzo fa. Carla Craba, una studentessa del corso di Economia dei media all’Università di Bologna tenuto dal professor Lucio Picci che ha spesso usato questa newsletter durante le lezioni, ha usato le scorse 12 edizioni della newsletter stessa (che quindi non è esente, come variabile del risultato) per calcolare “il numero di uomini e di donne menzionati (tra i professionisti del settore coinvolti a vario titolo – giornalisti, editori, eccetera – ed escludendo gli altri – per esempio i politici talvolta citati, o gli industriali, se non anche editori)”. Tra gli stranieri il rapporto è di 21 uomini contro 13 donne; tra gli italiani è di 58 contro 5.
domenica 12 Dicembre 2021
Charlie andrà in vacanza per le feste e non arriverà domenica 26 dicembre e domenica 2 gennaio, ricordiamo.
domenica 12 Dicembre 2021
Venerdì è stato consegnato a Oslo il premio Nobel per la Pace a due giornalisti – una filippina e uno russo – per i loro impegni nell’informazione contro i governi autoritari dei loro rispettivi paesi: il settimanale americano New Yorker la settimana precedente aveva pubblicato un approfondito articolo che racconta il giornale del giornalista russo premiato, Novaya Gazeta (che era stato il giornale di Anna Politkovskaya, uccisa nel 2006).
domenica 12 Dicembre 2021
La società editrice americana Lee Enterprises – che pubblica molti quotidiani – ha deciso di respingere definendola del tutto inadeguata l’offerta di acquisto da parte del fondo Alden: l’offerta era diventata una notizia nel mondo dell’informazione americana perché il fondo Alden è diventato quest’anno il nemico pubblico numero uno dei giornali già in difficoltà, adottando pratiche di acquisizione e smembramento che hanno già fatto chiudere o ridimensionare molte testate di altri gruppi acquistati.
Il Washington Post ha comunque ricordato come la stessa Lee Enterprises sia stata responsabile di estesi tagli nelle testate di sua proprietà negli scorsi anni.
domenica 12 Dicembre 2021
E parlando ancora di screditati tabloid britannici, il quotidiano Sun – il maggior concorrente del Daily Mail, di proprietà di una società di Rupert Murdoch – risarcirà l’attrice Sienna Miller dopo una vicenda giudiziaria collegata al grande scandalo che portò persino alla chiusura del più senza scrupoli dei tabloid, News of the World, che ebbe al centro soprattutto sorveglianze telefoniche illecite di personaggi celebri e vittime di casi di cronaca da parte del giornale. Ma la stessa Sienna Miller – di cui il Sun raccontò vicende private legate alla sua gravidanza, ottenendo a suo dire informazioni riservate in modi illegali – ha detto fuori dal tribunale di essere stata costretta ad accettare il risarcimento e rinunciare a un processo contro l’editore del Sun, cosa che avrebbe preferito:
“Non ho scelto io di essere qui oggi: io volevo andare a processo. Volevo denunciare l’essenza criminale di questa azienda, dimostrata chiaramente e irrevocabilmente dalle prove che ho visto. Volevo rivelare i segreti del News Group come loro hanno rivelato i miei.
Purtroppo, questa strada giudiziaria non è accessibile per me o per chiunque non abbia milioni di sterline da spendere per ottenere giustizia. Funziona così. Finché qualcuno non potrà opporsi ai Murdoch con i loro stessi infiniti mezzi, ho solo queste parole. E sono la verità”.
domenica 12 Dicembre 2021
Circa quindici anni fa, in una fase iniziale dello sviluppo sul web dei giornali italiani, qualcuno creò l’espressione “boxino morboso” (con la variante “colonnino morboso”) per definire quello spazio che i siti dei suddetti giornali introdussero per ospitare contenuti di bassa qualità capaci di attrarre curiosità e click da parte degli utenti di passaggio sulle loro homepage: gossip, notizie a sfondo sessuale, goffaggini sportive, video di gattini, eccetera. Più tardi quel genere di contenuto traboccò in altre parti delle homepage – influenzando criteri e scelte delle redazioni – e il boxino morboso divenne meno un’eccezione definita.
Per curiosi e filologi anche nel Regno Unito quello spazio ha un nome: “la colonna della vergogna”, ed è associato espressamente al sito del Daily Mail.
domenica 12 Dicembre 2021
Non fossero bastate le altre vicissitudini del Daily Mail che avevano attratto le curiosità dei media britannici nelle scorse settimane (qui il riassunto), questa settimana si è dimesso Martin Clarke, responsabile da tredici anni del sito del giornale (MailOnline), ovvero di uno dei più grandi successi commerciali nell’informazione digitale mondiale: il sito del Daily Mail, con la sua ricchissima offerta di notizie di alterne qualità, di gossip sulle celebrities e sulla famiglia reale, di contenuti frivoli, scandalismo e caos grafico, ha trasformato la testata da un prodotto britannico a un leader internazionale in termini di traffico (“He took a small site that republished content from the Daily Mail and Mail on Sunday print newspapers and turned it into an aggressive global tabloid with an enormous audience attracted by tales of celebrity and scandal”, sintetizza il Guardian).
Le dimissioni di Clarke non hanno avuto finora una spiegazione chiara (le ipotesi maggiori sono che voglia capitalizzare meglio in proprio le sue competenze e i suoi successi), ma a quanto pare sono state in questo caso una sua scelta autonoma, a differenza dei cambiamenti che le avevano precedute. Il Daily Mail è tuttora controllato dagli eredi dei suoi fondatori, la potente e aristocratica famiglia Rothermere.
domenica 12 Dicembre 2021
In questi ultimi anni le difficoltà economiche dei giornali e il declino dei ricavi pubblicitari hanno reso i giornali molto più deboli nella loro autonomia ed è cresciuto così molto lo spazio dedicato alle “marchette”: le aziende desiderano comprensibilmente essere promosse sul giornale in modo credibile, e chiedono che la natura “promozionale” degli articoli non sia indicata, ottenendolo molto spesso. Ne ha parlato il direttore di Domani Stefano Feltri in un’intervista al sito Professione Reporter ricordando come l’Ordine dei Giornalisti proibisca teoricamente queste attività:
“Poi l’Ordine dovrebbe stigmatizzare le degenerazioni che sviliscono la professione per tutti. Per esempio, se l’Ordine dicesse: le pagine redazionali dei giornali che sono solo ignobili ‘marchette’ non le può firmare un iscritto all’Ordine dei giornalisti, ma lo fa un’altra figura, un responsabile del marketing, dell’azienda o altro. Secondo me andrebbe detto che questa cosa non sta bene, che un giornalista non fa certe cose, non firma la pubblicità. E se lo fa viene sospeso o gli viene fatto un richiamo. Non è proprio possibile che l’Ordine si occupi soltanto di Vittorio Feltri quando dice le parolacce, è una visione un po’ riduttiva”.
domenica 12 Dicembre 2021
È un termine ovviamente dispregiativo usato per definire certi contenuti dei giornali, ma la diffusione e articolazione di questi contenuti lo ha reso ormai anche una definizione tecnica neutra: che però spesso viene usata per indicare cose diverse che invece è utile distinguere.
– ci sono articoli concordati con aziende, pagati dalle aziende (direttamente o dentro un accordo di investimento pubblicitario più esteso) e pubblicati con un’indicazione chiara che si tratta di spazi a pagamento. Non sono “marchette”, sono contenuti promozionali al pari delle pagine pubblicitarie tradizionali, leciti e trasparenti fino a che non ci sia il rischio che i lettori li confondano con altro.
– ci sono articoli del genere di cui sopra in cui invece l’indicazione della loro genesi commerciale non è mostrata o è evasiva e oscura per i lettori. Si tratta di pubblicità, ma ingannevole e in violazione quotidiana delle regole che le stesse istituzioni giornalistiche e pubblicitarie si sono date. Il termine “marchette” viene usato per estensione della categoria seguente, perché compaiono come articoli identici a quelli ideati autonomamente dalla redazione, ma sono piuttosto pubblicità occulte.
– ci sono articoli pubblicati per accontentare i desideri di inserzionisti reali o potenziali, a volte richiesti esplicitamente dagli inserzionisti, a volte decisi dal giornale per attrarre gli stessi inserzionisti. Non vengono pagati direttamente, sono un “investimento” nel rapporto commerciale, o un contributo accessorio e parallelo all’accordo commerciale. Sono la cosa che più esattamente si chiama “marchetta”, un favore per ricevere benefici.
– ci sono infine, ma qui ci interessa meno, “marchette” prodotte non per accontentare direttamente un inserzionista e riceverne investimenti pubblicitari, ma per coltivare relazioni e interessi del giornale, e attrarre i favori di potenziali interlocutori preziosi per il giornale, per chi lo fa o lo pubblica, o per il lavoro del giornale stesso: persone e strutture di potere istituzionale, personaggi famosi, politici, uffici stampa, procure, banche, amici.
domenica 12 Dicembre 2021
Qualche settimana fa Daniela Santanchè – che oggi è senatrice del partito Fratelli d’Italia – ha dato le dimissioni da presidente del consiglio di amministrazione e amministratrice delegata di Visibilia Editore: che è una società editoriale di cui Santanchè resta tuttora azionista di maggioranza e che pubblica diverse riviste come Villegiardini, Ciak, Pc Professionale (fino al 2014 del Gruppo Mondadori). Le più note però sono probabilmente i settimanali scandalistici e di gossip Visto e Novella2000, che furono acquisiti nel 2015 dalla precedente società editoriale di cui Santanchè era azionista di maggioranza, Visibilia Magazine (entrambe le testate erano state nel grande gruppo RCS, quello che possiede il Corriere della Sera, fino al 2013). Nel 2017 Visibilia Magazine venne mandata in liquidazione e furono licenziati tutti i dipendenti di Visto e Novella2000 (14 tra giornalisti e impiegati). Contestualmente venne aperta una nuova società editoriale, Visibilia Editore appunto, che riprese a pubblicare tutte le testate di Visibilia Magazine, affidando però la realizzazione di Visto e Novella2000, a quel punto senza giornalisti, a dei “service” esterni (sono strutture editoriali create per produrre contenuti per altri). Dopo diverse proteste del Comitato di redazione dei due settimanali – che sosteneva che la liquidazione fosse stata usata in maniera strumentale per licenziare i dipendenti – e il giudizio di un tribunale, Visibilia Editore aveva dovuto riassumere giornalisti e impiegati di Visto e Novella2000.
Tutto questo contesto serve a capire meglio il rapido declino dei due settimanali negli ultimi anni. Negli anni Settanta Novella2000 comunicava una diffusione di oltre 700mila copie: Visto invece era nella sua massima diffusione ancora nel 2007, con oltre 200mila copie, quando Novella2000 era intorno alle 150mila. Quando li comprò Visibilia Magazine, nel novembre del 2015, erano già scesi rispettivamente intorno alle 40 e 50mila copie diffuse. Soltanto un mese più tardi, mentre Visto era rimasto più o meno stabile, Novella2000 aveva perso circa 10mila copie. A dicembre 2015 erano anche i due settimanali italiani con la maggiore percentuale di reso, cioè le copie invendute che finiscono al macero, oltre il 70 per cento (tra le molte accuse che il Cdr dei due giornali aveva rivolto all’editore nel 2017 c’era la «totale incapacità nel gestire la diffusione di Visto e Novella2000»). Da gennaio 2020 i due settimanali vengono venduti insieme: i dati sulla loro diffusione non sono più disponibili da alcuni anni perché non sono iscritti ad ADS, la società che li rileva, ma sul sito di Visibilia Editore c’è scritto che Visto raggiunge «una diffusione di circa 50mila copie, grazie anche all’abbinamento con altri settimanali» (Novella2000 sul sito non è menzionato). Nonostante possano essere venduti anche singolarmente, è verosimile che il dato sulla diffusione – seppure non del tutto sovrapponibile – sia valido per entrambe le testate, che in edicola si trovano impacchettate in coppia.
La società Visibilia Editore ha dichiarato perdite per 550mila euro nel primo semestre del 2021, e non ha mai avuto conti molto in salute. Il nuovo amministratore delegato sarà scelto questa settimana.
domenica 12 Dicembre 2021
La quotazione in borsa di Buzzfeed – uno dei progetti di informazione digitale di maggior successo e studio dello scorso ventennio, poi messo in difficoltà dal declino dei ricavi pubblicitari e dai cambiamenti negli algoritmi di Facebook – ha avuto una prima settimana deludente ancora più di quanto lo fosse stata la vigilia di cui avevamo detto la scorsa domenica. Secondo il Financial Times il declino immediato delle quotazioni sancisce un cambio di atteggiamento e fiducia del mondo finanziario nei confronti dei nuovi media digitali, e in particolare della capacità di Buzzfeed di inventare qualcosa che non abbia già inventato: “non è più una startup”.
domenica 12 Dicembre 2021
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a ottobre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
copie pagate, o scontate, o gratuite;
copie in abbonamento, o in vendita singola;
copie cartacee, o digitali;
copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui, da cui si vedono questo mese variazioni minime rispetto al mese precedente da parte di quasi tutti i quotidiani nazionali, con i miglioramenti più sensibili per il Sole 24 Ore e la Verità, e i cali maggiori al Fatto, al Giornale e ad Avvenire. Il mese scorso avevano raggiunto i loro minimi storici Repubblica e Stampa, i quotidiani maggiori del gruppo GEDI: a ottobre Repubblica recupera poche copie, mentre la Stampa cala ulteriormente, anche se di poco. La crescita della Verità prosegue in corrispondenza con le prese di posizione di Libero – che perde ancora copie – a favore di vaccino e Green pass, dei cui contestatori la Verità è rimasta il maggiore rappresentante, seguita da una più limitata critica ad alcuni obblighi di Green Pass che affiora spesso sul Fatto.
Più chiaro e omogeneo è il quadro se si guarda il confronto con l’anno precedente, che ancora una volta mostra solo perdite per quasi tutti, con la vistosissima eccezione della Verità che è cresciuta del 17% in un anno e quella più modesta del Messaggero, che guadagna il 2%. A perdere di più sono ancora i quotidiani GEDI, ma anche il Quotidiano Nazionale (la testata che ha le tre declinazioni locali della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno), e perde ben il 26% delle copie il Giornale.
Ma anche questo mese c’è un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e di quelle acquistate da “terzi”, per avere un dato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare il giornale. Con questo risultato:
Corriere della Sera 187.376
Repubblica 140.692
Stampa 90.669
Sole 24 Ore 68.289
Resto del Carlino 67.150
Messaggero 59.244
Fatto 48.403
Nazione 45.170
Gazzettino 40.293
Giornale 34.643
Altri giornali nazionali:
Verità 29.783
Libero 21.123
Avvenire 17.528
Manifesto 13.527
ItaliaOggi 11.293
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS)
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione” è interessante notare che:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie scontate oltre il 70%: 43mila e 34mila, dietro di loro c’è Repubblica con 11mila.
– il numero di copie cartacee vendute dal Fatto è per il secondo mese sceso sotto quello delle copie digitali (per queste ultime il Fatto è terzo dopo Corriere e Repubblica, se si tolgono quelle scontatissime).
– il Manifesto è ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport), pur essendo 46mo nel totale.
– Avvenire comunica ben 65mila copie “multiple pagate da terzi”, attribuibili in buona parte alla rete delle strutture cattoliche.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, quasi 18mila (4mila in più del mese scorso), in gran parte digitali.
– delle 23mila copie dichiarate da ItaliaOggi, più della metà sono copie “promozionali e omaggio” o con sconti superiori al 70%.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono ancora Avvenire, Messaggero, Sole 24 Ore e Gazzettino.
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” sono Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Avvenire.
(Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 12 Dicembre 2021
Lunedì Time – il settimanale americano – annuncerà con una diretta su YouTube la sua scelta per la “Persona dell’anno” del 2021: è un’iniziativa di comunicazione e brand tra le più riuscite della storia delle aziende giornalistiche, ma che da diversi anni si è indebolita tantissimo, assieme al declino della testata in questione e dei newsmagazines in generale. L’idea del “Man of the year” (divenne “person” solo nel 1999, benchè ci fossero state prima quattro “Woman of the year”, una “Machine of the year” e un “Planet of the year”) fu introdotta nel 1927: il gruppo di direzione del giornale da allora sceglie chi a suo giudizio abbia avuto il maggior impatto sulle vicende del mondo di quell’anno (con una visione a lungo molto statiuniticentrica del mondo), e quindi prescindendo in teoria da giudizi morali o di valore sull’opera del nominato: anche se nella pratica da molti anni il giornale ha rinunciato a rischiare dissensi e proteste con personaggi impopolari, e anzi ha introdotto anche una parallela votazione dei lettori (il giornale online Politico ha proposto di recuperare invece la vecchia neutralità e di scegliere il famigerato editore Rupert Murdoch).
Fino ancora all’inizio di questo secolo la scelta annuale è stata un successo di comunicazione e attenzioni, suppergiù equivalenti a quelle per i premiati col Nobel: ma il proliferare di nuove fonti di informazione online e di iniziative, liste, premi, istantanei e volatili, ha diluito anche il primato della “Person of the year”, insieme alla perdita di ruolo di Time nell’informazione internazionale. Lunedì ancora molti giornali segnaleranno la notizia, mostreranno la copertina, ma come si fa con i tori di Pamplona e il sangue di San Gennaro, e tutti ce ne dimenticheremo una settimana dopo.
domenica 12 Dicembre 2021
Un articolo del Sole 24 Ore completa le informazioni che avevamo dato la settimana scorsa sulla crescita degli investimenti pubblicitari sul digitale nel 2021 rispetto sia al 2020 che al 2019: aggiunge, cioè, la quota degli investimenti pubblicitari complessivi di cui sono beneficiari i cosiddetti “OTT” (“over the top”), termine un po’ desueto nato per indicare servizi digitali come quelli di Google, Facebook e Amazon in tempi in cui erano protagonisti nuovi del mercato. Quota che nel 2021 è rimasta invariata, avendo superato un terzo del totale l’anno precedente: 36,8%, ovvero ormai quasi quanto quelli destinati alla televisione (il Sole 24 Ore spiega che questo dato potrebbe essere però sottostimato).
domenica 12 Dicembre 2021
Qualche settimana fa avevamo raccontato del severo intervento della Federal Trade Commission americana contro le pratiche scorrette di molti giornali online americani per rendere difficili le cancellazioni degli abbonamenti (pratiche adottate anche da gran parte dei maggiori giornali italiani), e la richiesta che i sistemi siano adeguati perché cancellare diventi semplice quanto abbonarsi. Il sito NiemanLab – che con altri aveva annunciato l’intervento come potenzialmente sovversivo rispetto a quelle pratiche consolidate – ha constatato che le testate che le adottano lo hanno in sostanza ignorato, finora.
domenica 5 Dicembre 2021
Charlie andrà in vacanza per le feste e non arriverà domenica 26 dicembre e domenica 2 gennaio, cominciamo a ricordarlo.
domenica 5 Dicembre 2021
Il prossimo weekend la rassegna stampa pubblica “I giornali spiegati bene”, condotta da Luca Sofri e Francesco Costa, ha due appuntamenti: sabato al Circolo dei lettori di Torino, e domenica al Palazzo senza tempo a Peccioli (Pisa).
Oggi domenica 5 alle 19, invece, Luca Sofri presenterà a Roma insieme al direttore dell’Espresso Marco Damilano il libro dell’ex direttrice del New York Times Jill Abramson Mercanti di verità (Sellerio): lettura molto esauriente per capire cosa sia successo ai giornali in questi due decenni, e anche per verificare le grandi differenze di approcci tra le testate tradizionali americane e quelle italiane di cui parliamo più spesso su Charlie.
domenica 5 Dicembre 2021
L’Ordine dei giornalisti si fa spesso percepire all’esterno per le tensioni e i conflitti interni, e questa settimana l’insediamento del nuovo presidente Carlo Bartoli è stato contestato da un gruppo guidato dal suo predecessore (con cui le tensioni durano da un pezzo), persino con un “esposto al Ministero di Grazia e Giustizia”, nel giro di una giornata
domenica 5 Dicembre 2021
Il popolarissimo disegnatore e fumettista Zerocalcare ha raccontato in alcune vignette le conseguenze di una consuetudine quotidiana di molti giornali, quella di usare dei virgolettati estrapolati e fuori contesto in titoli ad effetto che fanno perdere alle cose dette tutta la loro misura e danno loro gravità nuove e sproporzionate. È una cosa che capita continuamente, e il racconto che traiamo da queste titolazioni è completamente diverso dalla realtà.
domenica 5 Dicembre 2021
Una delle pratiche principali adottate da alcuni tipi di quotidiani per aggregare lettori, compattare il sostegno di quelli esistenti, e distinguersi dal più convenzionale racconto delle notizie su cui le testate più grandi non hanno concorrenza, è quello di creare delle proprie “campagne” con metodi di comunicazione e promozione non dissimili da quelli di campagne pubblicitarie o politiche: raccolte di firme, insistenza su alcuni slogan, richieste chiare e definite, e tutto l’armamentario dell’attivismo. A volte ne sono stati attratti anche alcuni quotidiani maggiori (le “10 domande” a Berlusconi di Repubblica), a volte hanno scale piccole ed estemporanee (lo sta facendo spesso Domani, vedi per esempio la sbrigativa campagna di “boicottaggio” contro il professor Barbero).
Se a questa strategia frequente ne aggiungiamo un’altra diffusa presso lo stesso genere di quotidiani – quella di indicare un “nemico” ai propri lettori intorno al quale raccogliere indignazione e consenso per il giornale che lo attacca – abbiamo la spiegazione della scelta commerciale del Fatto di questa settimana, e della reazione omologa di Libero. Il Fatto ha dedicato prime pagine e forze a costruire una campagna e una protesta contro l’eventualità che Berlusconi venga eletto presidente della Repubblica (eventualità assai remota), e Libero ha dedicato prontamente un simmetrico impegno per una campagna e una protesta contro il Fatto e il preteso “furto di Quirinale” di cui lo accusa. Nessuna delle due iniziative ha rilevanza concreta, né politica né giornalistica, ed esistono soltanto tra le comunità di lettori dei due quotidiani: che però riescono a ottenere i risultati di cui sopra.
domenica 5 Dicembre 2021
Il quotidiano Domani è nato un anno fa dal desiderio di Carlo De Benedetti di recuperare i lettori che secondo lui stavano andando perduti da parte di Repubblica, il quotidiano di cui era stato per decenni editore e che con una serie di sviluppi degli ultimi anni è stato acquistato dalla famiglia Agnelli-Elkann e portato verso grosse trasformazioni: che secondo De Benedetti lo avrebbero snaturato. La contesa dell’editore di Domani col suo vecchio giornale e la sua attuale proprietà si è nutrita durante questo anno soprattutto dell’acquisizione da parte di Domani di alcuni ex giornalisti di Repubblica, e di alcune polemiche puntuali (per esempio sulla primogenitura delle rivelazioni delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere). Questo contesto è stato difficile da ignorare di fronte alla prima pagina di Domani di sabato, che ha chiesto le dimissioni del presidente della Juventus, Andrea Agnelli.
domenica 5 Dicembre 2021
Buzzfeed è uno dei prodotti digitali di informazione di maggior successo e più discussi di sempre: Jonah Peretti lo fondò nel 2006 (dopo aver creato lo Huffington Post insieme ad Arianna Huffington) come sito che sfruttasse contenuti virali e spesso frivoli: ma crebbe così tanto da permettersi di costruire una sezione più giornalistica, Buzzfeed News, che ha ottenuto successi e riconoscimenti. Poi il suo investimento sulle grandi quantità di traffico e sui ricavi pubblicitari ha iniziato a pagare meno, ma negli ultimi anni Peretti si è dedicato a nuovi rilanci, tra l’altro con l’acquisizione dello stesso Huffington Post.
Qualche settimana fa aveva annunciato la decisione di quotare Buzzfeed in borsa per raccogliere nuovi capitali (attraverso lo strumento dello SPAC), ma la vigilia della quotazione – che dovrebbe iniziare lunedì – è risultata più deludente delle aspettative, con molti degli investitori attesi che si sono ritirati. Contemporaneamente, 61 dipendenti di Buzzfeed News hanno organizzato una giornata di sciopero per protestare contro la resistenza dell’azienda a concedere loro migliori condizioni contrattuali, rivendicando che le iniziative finanziarie in corso e le loro fortune dipendano proprio dal loro lavoro.
domenica 5 Dicembre 2021
Tra gli articoli – soprattutto nelle pagine di economia – che riproducono senza nessun intervento o mediazione giornalistica gli interessi e i comunicati degli inserzionisti pubblicitari, questa è una piccola selezione di quello che si è notato di più questa settimana sui quotidiani maggiori:
– una comunicazione di Edison e Crédit Agricole di quattro righe con immagine e messaggio promozionale (su Repubblica).
– un box dedicato esclusivamente a un virgolettato di cinque righe – privo di qualunque contesto o mediazione del giornale – dell’amministratore delegato di una società che aveva comprato pagine di pubblicità pochi giorni prima (sul Corriere della Sera).
– un articolo sulle dichiarazioni dell’amministratore delegato di ENI, accanto a una pagina di pubblicità di ENI (sul Sole 24 Ore).
domenica 5 Dicembre 2021
L’asticella della separazione tra l’autonomia di scelta dei quotidiani italiani e gli interessi dell’editore ha subito forti abbassamenti in questi anni, e quello che dapprima era notato come una presenza anomala col tempo diventa una consuetudine e crea una tolleranza e un’abitudine digerita sia nelle redazioni che da parte dei lettori. Abbiamo scritto altre volte di come il presidente di Confindustria – editrice del Sole 24 Ore – goda addirittura di una sorta di suo spazio fisso nelle pagine di quel quotidiano, con tre o quattro occasioni settimanali in cui un articolo viene dedicato alle sue dichiarazioni. Ma anche gli editori degli altri tre quotidiani maggiori stanno seguendo strade simili, e questa settimana è stato vistoso il caso di Repubblica:
martedì: una foto dell’editore a illustrare un articolo su altro;
mercoledì: un articolo celebrativo dell’azienda dell’editore, con altra foto dell’editore;
di nuovo mercoledì: un articolo sull’editore che difende la squadra di calcio dell’editore;
giovedì: un articolo critico su un sindacato in una vertenza con l’azienda dell’editore;
venerdì: un articolo sulle dichiarazioni del CEO dell’altra azienda dell’editore.
domenica 5 Dicembre 2021
Il National Enquirer è un famigerato settimanale americano scandalistico e di gossip sulle celebrities, responsabile di condotte giornalistiche spregevoli nel corso della sua storia (ricca peraltro di “scoop” su questi temi), con frequenti conseguenze giudiziarie, e accusato tra l’altro di avere concordato alcune delle sue storie con lo staff di Donald Trump durante la campagna elettorale del 2016. Tanto che la sua stessa proprietà attuale ha cercato di liberarsene negli ultimi anni.
La ragione per cui se ne è parlato di nuovo internazionalmente negli scorsi anni è la divulgazione sul giornale di alcuni messaggi sessualmente espliciti scambiati tra Jeff Bezos – CEO di Amazon ed editore del Washington Post – e la sua amante Lauren Sanchez. Bezos aveva denunciato l’Enquirer sostenendo che il giornale lo avesse ricattato e che lo avesse minacciato di pubblicare delle foto sottratte dal suo smartphone insieme a quei messaggi: Bezos voleva che fosse confermata la sua accusa di una manovra che coinvolgeva il regime saudita e l’amministrazione Trump per screditarlo.
Ma a quanto riferisce il Wall Street Journal, le indagini sembrano orientate a concludere che la sola responsabilità del furto di dati sia stata del fratello di Lauren Sanchez, che li avrebbe passati all’Enquirer per soldi.
domenica 5 Dicembre 2021
Una delle occasioni in cui è più scivoloso e meno facile da giudicare il rapporto tra l’autonomia delle redazioni e gli interessi delle aziende, e più complicata la questione della trasparenza con i lettori, è quella dei viaggi promozionali offerti dalle aziende stesse in cambio di articoli dedicati alle loro attività. Nei fatti, si tratta di articoli che il giornale non avrebbe scelto di pubblicare, e sarebbe quindi corretto che i lettori conoscessero la genesi e la natura di quelle informazioni. È anche vero, però, che a volte il contenuto di quegli articoli può essere in effetti interessante e di valore informativo (nelle attività delle aziende c’è molto che racconta la realtà, l’attualità e il futuro), e che la proposta dell’azienda può aiutare la redazione a conoscerlo e divulgarlo.
Prendiamo un esempio di questa settimana, in cui diverse testate hanno scritto del completamento di una grande nave da crociera di una società italiana in un cantiere finlandese: il racconto della produzione di un mezzo di questa dimensione e impegno può essere potenzialmente interessante e attraente, “una storia”, come si dice.
Il problema è che i giornali ritengono – con buone ragioni – che i costi di produzione di un articolo di questo genere superino gli standard delle loro spese abituali rispetto al valore dell’articolo in questione, e quindi non spendono tutto quello che c’è da spendere per mandare un giornalista in Finlandia per alcuni giorni a lavorarci sopra.
Quello che invece avviene è che la società interessata “invita” alcuni giornali a mandare un loro giornalista a spese della società, garantendogli accesso alle informazioni necessarie. Il risultato però è che a quel punto l’articolo implicitamente concordato (di solito nessuno fa richieste preventive, ma vengono date per scontate; e gli uffici stampa telefonano molto al giornalista, al suo ritorno) non è mai un articolo che abbia in testa gli interessi dei lettori, ma è di fatto “dettato” dall’ufficio stampa di chi ha pagato il viaggio eccetera. È impensabile – sarebbe anche un po’ scorretto – che si torni da un simile viaggio e ospitalità parlando male del prodotto presentato, ma alla fine si rinuncia anche a qualunque tipo di approfondimento critico che vada oltre le comunicazioni ricevute, spesso aderendo del tutto alle enfasi promozionali. La soluzione “corretta” sarebbe quella per cui il giornale non accetta contributi dai soggetti di cui scriverà, ma è una soluzione che nel sistema italiano esistente esclude chi sceglie di adottarla da articoli costosi, oppure dall’accesso a informazioni e storie disponibili ad altri, oltre che da una posizione privilegiata nel ricevere investimenti pubblicitari accessori. Che di questi tempi è un guaio, soprattutto per le testate con economie più dipendenti dalla pubblicità.
domenica 5 Dicembre 2021
Il Sole 24 Ore è nelle difficoltà degli altri grandi quotidiani italiani, a cui si sono aggiunte nell’ultimo decennio delle gestioni controverse e con implicazioni di inchieste giudiziarie, interventi massicci di riduzione dei costi (ultimo e più vistoso il trasloco dalla prestigiosa sede progettata da Renzo Piano a quella in una più economica zona milanese: che però continua a essere disabitata per regole di pandemia), tensioni tra la redazione e l’azienda, e tra la redazione e la direzione.
Ora che si è concluso il mese di novembre, entro il quale erano stati offerti compensi equivalenti a due anni di stipendio a chi avesse scelto di lasciare il giornale, ci si aspettano ulteriori riduzioni del personale: ne ha scritto estesamente il Fatto giovedì.
“Il progetto prevede esuberi per almeno 50 giornalisti, di cui 26-28 al quotidiano e gli altri tra l’agenzia di stampa Radiocor, Radio24 e altre aree del gruppo. Un piano che punta a un taglio strutturale di almeno il 20% dei costi del personale, 79 milioni l’anno, pari cioè a 16 milioni di risparmi. Realizzato con lo strumento dei prepensionamenti per i nati prima del 1960 e con l’uso della cassa integrazione (uno-due giorni al mese) per l’intera redazione. Non basta: c’è anche la chiusura della stamperia di Carsoli (L’Aquila) e ci saranno 73 trasferimenti di grafici e poligrafici da Roma a Milano”.
domenica 5 Dicembre 2021
Il sito di “media e marketing” Prima Comunicazione ha messo in ordine i dati Audiweb sul traffico dei siti di informazione a settembre. Ricordiamo che non tutti i siti sono iscritti ad Audiweb (quello indicato come Libero è il portale con quel nome, non il giornale), che i dati sono elaborati con un sistema misto di rilevazioni e che sono spesso suscettibili di oscillazioni mensili piuttosto forti e occasionali (sul sistema di rilevazione ci sono tra l’altro investimenti economici straordinariamente più esigui di quelli che per esempio ci sono sulle rilevazioni televisive Auditel). Qui c’è una sintesi maggiore che comprende solo i primi venti siti di news generalisti.
domenica 5 Dicembre 2021
FCP, associazione delle concessionarie di pubblicità, ha comunicato i dati degli investimenti sui giornali di carta nei primi dieci mesi del 2021, che hanno avuto una piccola crescita rispetto allo stesso periodo del 2020 (5,1% sui quotidiani e 3,2% sui periodici): anno che però era stato piuttosto catastrofico per via della pandemia, recuperando un po’ solo negli ultimi mesi. E infatti, se si paragonano gli stessi dati con quelli del 2019, il risultato è una perdita rispettivamente del 14% e del 38% per quotidiani e periodici (perdita complessiva del 22%).
Quanto agli investimenti “sul digitale”, sono invece in crescita del 15% rispetto al 2019, ma sono quote assolute che sono tuttora più ridotte di quelle sulla carta, e i cui beneficiari non sono solo i giornali.
domenica 5 Dicembre 2021
Sono due modi di chiamare quelle che spesso sono la stessa cosa: la difesa della privacy di qualcuno spesso implica una limitazione dell’informazione pubblica su quella persona, e gli equilibri tra l’una e l’altra non sono definibili universalmente (pensate per esempio al diritto all’oblio cosiddetto).
Adesso la questione si sta ponendo di nuovo con le nuove politiche di Twitter per tutelare le persone i cui dati o le cui immagini vengono condivisi sul social network: apparentemente protettive, le scelte di Twitter sono state già contestate come una potenziale limitazione alla diffusione di informazioni di interesse pubblico e al lavoro giornalistico. E il Washington Post ha raccontato di come stiano già venendo sfruttate da estremisti violenti di destra per rimuovere le testimonianze e le denunce delle loro condotte.
domenica 28 Novembre 2021
Il secondo numero di Cose spiegate bene, la rivista/libro del Post che già dal primo numero aveva confermato la validità dell’esperimento non solo in termini di apprezzamenti, ma anche nel partecipare ai ricavi accessori della testata (ovvero quelli che ne compongono la terza parte, dopo gli abbonamenti e la pubblicità: eventi, affiliazioni, prodotti editoriali, formazione, e altro) e alla sua sostenibilità, è entrato al quinto posto, nella settimana della sua uscita, nella classifica dei libri più venduti nella sezione “saggistica”.
La prossima presentazione pubblica sarà a Roma sabato 4 dicembre nel corso della fiera “Più libri più liberi”.
domenica 28 Novembre 2021
Un articolo del Post ha raccontato nuove recenti polemiche intorno al settimanale che un tempo fu uno dei due più importanti newsmagazine del mondo, e oggi è in declini peggiori dell’altro.
“Negli ultimi anni Newsweek si è fatto notare per una ricerca aggressiva di titoli sensazionalistici ed estremi, per lo spazio concesso a opinionisti discussi e discutibili, per un uso continuo e disinvolto del clickbait nella sua edizione online, per l’abbandono dell’accuratezza, del fact-checking e delle posizioni liberal che lo contraddistinguevano. Tali scelte, prese dalle diverse proprietà che si sono succedute in questi anni alla ricerca di una risposta immediata alla crisi di ricavi e alla perdita di lettori, ne hanno determinato un ulteriore declino e hanno disperso il patrimonio di autorevolezza che il settimanale aveva costruito nel secolo scorso”.
domenica 28 Novembre 2021
La gran parte dei siti di news e giornali che offrono abbonamenti ai loro contenuti (che siano quelli del sito o dell’edizione digitale del giornale cartaceo) impone dei limiti al numero di apparecchi mobili che possono beneficiare dell’abbonamento che è stato pagato, per impedire che un account sia usato da più persone; oppure da troppe persone non paganti, quando l’abbonamento consente che un gruppo familiare usi lo stesso account. Di solito questo limite è tra i tre e i cinque “device”, ma ci sono abbonamenti aziendali che offrono limiti maggiori.
Ciò nonostante, esistono servizi online di condivisione di abbonamenti di ogni genere – streaming video e audio soprattutto, non solo – su cui vengono offerte anche le condivisioni di abbonamenti ai giornali entro questi limiti, chiedendo in cambio una quota dell’abbonamento, o comunque una cifra minore di quella che chiedono i siti relativi: in sostanza, chi paga un abbonamento lo mette a disposizione di altre persone chiedendo una quota del prezzo. La proposta viola quasi sempre le condizioni contrattuali, ma la dispersione di tante piccole violazioni e l’uso di una piattaforma intermedia rendono molto difficile perseguirla. Alcuni di questi servizi, tra l’altro, sono stati promossi in articoli sugli stessi giornali che vengono ingannati da queste offerte.
domenica 28 Novembre 2021
Questo è l’anno del bicentenario del Saturday Evening Post, di cui si può dire senza esagerazioni che sia stato un pezzo della storia degli Stati Uniti per buona parte della sua esistenza, prima di perdere rilievo negli ultimi decenni, come tutte le riviste. Il Post lo aveva raccontato nel 2013 nell’occasione di un suo restyling:
“Il Saturday Evening Post, che inizialmente era un quotidiano, ha avuto lo stesso nome e lo stesso stile grafico di copertina fin dal 1821, quando cominciò a uscire. Nel 1897 divenne un settimanale, mentre i primi racconti, anche di scrittori importanti come Francis Scott Fitzgerald, John Steinbeck e Agatha Christie, furono pubblicati negli anni Venti del secolo scorso. A rendere leggendaria la rivista sono state anche le copertine disegnate da Norman Rockwell – artista popolarissimo nel raccontare l’America quotidiana – che rappresentano ancora oggi un vero e proprio patrimonio per il giornale, dato che il gruppo ne possiede i diritti di riproduzione”.
Un articolo della Columbia Journalism Review questa settimana si è più lungamente dedicato alla storia della rivista e al ruolo di Norman Rockwell.
(non è vero, ci sono dei “Post” più antichi, tra i meno famosi 😉)
domenica 28 Novembre 2021
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è intervenuta su un piccolo caso esemplare italiano a proposito del cosiddetto “diritto all’oblio“, sancendo che il dovere di deindicizzazione di un articolo (ovvero di non farlo comparire sui motori di ricerca, Google per primo) non sia solo dei motori stessi, ma anche del sito che lo ha pubblicato. Decisione intuitivamente discutibile (in sostanza impone che se un sito – in questo caso Google – ne cita e linka un altro, a intervenire per evitarlo debba essere il sito linkato; e conferma un tempo definito di “diritto all’oblio”), ma sul tema c’è ormai un longevo dibattito e molta letteratura. Il caso in questione era stato raccontato dal Post due anni fa.
“Nel marzo del 2008 PrimaDaNoi aveva pubblicato un breve articolo sull’alterco tra due fratelli settantenni nel loro ristorante: la discussione si era fatta violenta e uno dei due aveva ferito l’altro con un coltello da pesce. Erano intervenute le forze dell’ordine, che avevano arrestato i due fratelli (che avevano ricevuto ferite non gravi) e alcuni altri membri della famiglia.
Nel 2010 uno dei due fratelli fece causa a PrimaDaNoi, sostenendo che in base al diritto all’oblio l’articolo su quel fatto di cronaca avvenuto appena due anni prima dovesse essere rimosso. Biancardi rifiutò, ritenendo di avere riportato accuratamente la notizia citando i rapporti di polizia. Il fratello contestatore sostenne comunque che l’articolo violasse la sua privacy, perché era facilmente reperibile online tramite i motori di ricerca. Inoltre, se si cercavano informazioni sul suo ristorante, tra i primi risultati offerti da Google c’erano notizie sulla violenta rissa con il fratello, cosa che avrebbe danneggiato gli affari della sua attività”.
domenica 28 Novembre 2021
Le storie sul fondo di investimenti accusato di acquistare giornali americani in difficoltà per svenderne i resti e sbriciolarli sembrano non finire mai (ne parliamo su Charlie da un anno, le aveva riassunte il Post due settimane fa, Internazionale le ha messe in copertina nel penultimo numero). Adesso il fondo Alden è intenzionato a comprare un’altra grande società di quotidiani locali, Lee Enterprises, che ha sede nello Iowa e pubblica quasi 90 testate tra cui il St. Louis Post-Dispatch, l’Arizona Daily Star e il Buffalo News. Il consiglio di amministrazione di Lee Enterprises ha deciso mercoledì di bloccare l’offerta ostile di Alden per un anno, dandosi questo tempo per prenderla in considerazione.
domenica 28 Novembre 2021
L’uso o meno degli articoli nell’indicare i nomi dei giornali internazionali è una vecchia sregolata questione dell’informazione italiana quando deve citarli: ovvero, non esistono regole del tutto universali ma piuttosto consuetudini, e non sempre condivise (va detto che c’è qualche ambiguità anche con gli articoli nei nomi dei giornali italiani: ci sono lettori che dicono di avere letto un articolo “sulla Repubblica di oggi” e altri per cui è “su Repubblica di oggi”).
Un po’ di esempi di come si citano nelle redazioni alcune testate: “Time” è la rivista americana mentre “il Times” è il quotidiano londinese (come nei nomi originali Time e the Times); l’articolo “the” si rimuove e si traduce sempre al maschile quando è presente nella testata, e quindi “il New York Times” e “il Guardian”; anche i periodici di solito mantengono la presenza dell’articolo o no rispettando la denominazione originale, “il New Yorker”, “Newsweek”, “l’Economist”, “l’Atlantic”, “Wired”, mentre c’è libertà sull’uso dell’articolo o no davanti a “National Geographic”.
Con i giornali tedeschi si mantiene il genere originale della testata, e quindi è “la Zeit” e “lo Spiegel” (un settimanale), ma anche “la Bild” e “la Frankfurter Allgemeine” (o “la FAZ”, sigla di quest’ultima) malgrado non abbiano l’articolo, perché la parola per quotidiano (Tageszeitung) in tedesco è femminile.
Invece con le testate francesi di solito non si traduce l’articolo, e si dice “ho letto su le Monde e su le Figaro”, ma qualche isolato dissidente dice “sul Monde” o “sul Figaro”: invece c’è consenso su “Libération” senza articolo. Una cosa simile avviene con le testate spagnole, per cui diciamo “El Pais” e “El Mundo”, ma “ABC”, anche qui rispettando la presenza o meno dell’articolo nell’originale e non traducendolo (“El Pais ha pubblicato…”), però invece adattandolo all’italiano quando usiamo preposizioni articolate (“un articolo del Pais…”), al contrario di quanto capita con le testate francesi (“un articolo di Le Monde…).
Ma, ripetiamo, sono soprattutto consuetudini, non regole tassative: come ogni cosa della lingua, certo.
domenica 28 Novembre 2021
Le Figaro è il più antico quotidiano francese, e il secondo per diffusione: si è conteso il primo posto per anni con Le Monde, ma quest’ultimo ha avuto una grande crescita nei due anni della pandemia e ha guadagnato un grosso vantaggio. I due giornali si spartiscono anche il grosso dei due maggiori orientamenti politici: Le Figaro è lo storico quotidiano di centrodestra. Nel 2004 è stato acquistato dal potente e ricco gruppo Dassault, che ha molte attività ma la principale è la produzione di aerei, ed è posseduto dalla famiglia fondatrice che ha in questi decenni partecipato molto attivamente alle scelte del giornale: i cui conflitti di interessi economici e politici sono molto frequenti.
Adesso il giornale, che è stato protagonista di precoci e lungimiranti investimenti sul digitale e sul video, interessa secondo Le Monde a due possibili acquirenti altrettanto importanti. Uno è Vincent Bolloré con la sua multinazionale delle comunicazioni Vivendi (quella di cui in Italia si parla soprattutto per la sua partecipazione in Mediaset e in TIM), che negli ultimi tempi ha aggiunto alle sue proprietà diverse acquisizioni nell’informazione. L’altro è Bernard Arnault, proprietario di LVMH, il gruppo che possiede tantissimi grandi brand di moda ma anche molte altre attività “del lusso”. Malgrado si sia parlato di trattative, Laurent Dassault ha pubblicamente dichiarato di non voler vendere: ma le ipotesi sono più credibili dopo che la primavera scorsa era morto in un incidente di elicottero Olivier Dassault, che tra i fratelli eredi delle società paterne era quello più interessato ai giornali.
domenica 28 Novembre 2021
È diventata ufficiale la vendita della Nuova Sardegna, quotidiano sassarese noto ai suoi lettori e dipendenti come “la Nuova”. Apparteneva al gruppo GEDI, come si chiama da quattro anni quello che fu il gruppo Espresso, che nel tempo aveva aggregato – insieme alle sue testate maggiori, Repubblica ed Espresso – una estesa rete di quotidiani locali. Negli ultimi anni, insieme all’acquisizione della Stampa e al passaggio di proprietà dalla famiglia De Benedetti alla famiglia Agnelli-Elkann, GEDI ha deciso di ridimensionare le attività sulla stampa locale, concentrandole sulle testate del Nord Italia, e ha venduto i giornali di Pescara, Salerno, Livorno, Reggio Emilia, Ferrara e Modena, e adesso di Sassari. Gli acquirenti sono gli stessi della precedente cessione, il gruppo che si chiama SAE (negli ultimi cinque anni la Nuova Sardegna era stata affidata in gestione da GEDI a un altro editore).
Qui ci sono i comunicati delle aziende coinvolte e quelli del Comitato di redazione e della Federazione della stampa, questi ultimi coi consueti toni che cercano di mostrarsi un po’ minacciosi e preoccupati senza presentarsi come pregiudizialmente ostili: ma ancora di più in anni di difficoltà economiche, gli investimenti dei giornali li decideranno gli editori.
Nel frattempo, le associazioni di giornalisti delle regioni coinvolte si sono dette preoccupate, con un comunicato, delle ipotesi che SAE possa acquistare anche le edizioni toscane del quotidiano Corriere dell’Umbria, che si chiamano Corriere di Arezzo e Corriere di Siena: e che oggi sono di proprietà della famiglia Angelucci, che possiede anche i quotidiani Libero e il Tempo.
domenica 28 Novembre 2021
La rete televisiva americana CNN ha avuto nell’ultimo decennio rilevanti evoluzioni e trasformazioni nei suoi approcci all’informazione e nella sua immagine pubblica, benché da noi sia tuttora ricordata e citata come un’autorevole e distaccata testata giornalistica dedicata ai fatti, come nella sua identità iniziale (CNN nacque nel 1980).
Questa settimana ha ricevuto critiche sia sulle sue derive “tabloid” (da parte della Columbia Journalism Review) evidenziate dall’attenzione morbosa verso alcune storie di cronaca e dallo scarso rispetto delle persone coinvolte, sia sulla sua elusiva e insoddisfacente reazione alle rivelazioni sulle falsità del “dossier Steele”, che CNN aveva a suo tempo concorso a promuovere (qui le critiche vengono dal Washington Post, che ha invece ammesso e corretto i suoi più limitati errori sulla stessa storia).
domenica 28 Novembre 2021
L’editore Mondadori ha confermato questa settimana la vendita delle riviste Donna Moderna e Casa Facile al gruppo editoriale creato da Maurizio Belpietro intorno al suo quotidiano la Verità, che già aveva acquisito da Mondadori il settimanale Panorama e altri periodici. La notizia del progetto era nota già dall’inizio dell’autunno, ne avevamo scritto:
“L’operazione va nel senso che Mondadori ha comunicato spesso negli ultimi anni, di voler investire soprattutto nel suo business dei libri e nelle attività digitali dismettendo progressivamente l’impegno sui giornali: se si concludesse questa cessione le sue riviste rimarrebbero Chi (che è ritenuto un asset di relazioni e interessi che va oltre il suo valore commerciale), Sorrisi e Canzoni (che continua a essere il settimanale più venduto in Italia con gran distacco, e una diffusione di oltre 400mila copie) e Grazia e Interni, su cui da tempo circolano ipotesi di cessioni ad altri editori.
Donna Moderna ha tuttora una diffusione di 165mila copie, Casa Facile di 123mila. Le testate acquisite finora dal gruppo La Verità hanno dei bilanci generalmente soddisfacenti, grazie alle drastiche ma efficaci riduzioni dei costi, soprattutto del personale: il lavoro fatto in quel gruppo sembra voler essere più in quella direzione che in progetti di ideazione o rinnovo di opportunità che non siano quelle dei ricavi pubblicitari su carta”.
L’accordo ora prevede il passaggio al nuovo editore di 36 giornalisti e giornaliste. Hanno protestato il Comitato di redazione di Mondadori e la redazione di Donna Moderna – che ancora una decina d’anni fa era uno dei maggiori successi commerciali tra i periodici italiani – in una lettera all’editrice Marina Berlusconi.
“Vorremmo qui riaffermare con orgoglio che il nostro giornale non può essere solo un conto in rosso e che l’anima di una testata storica, unica, mai di fatto copiabile, è fatta sì dai giornalisti – che la creano – e dai lettori – che la comprano – ma soprattutto da un proprietario forte che la sostiene e che ha l’autorevolezza e l’orgoglio di editarlo, di difenderne qualità, voce e indipendenza. Editore che proprio di recente ha riaffermato la forza e la vitalità della sua azienda, dimostrando con nuove acquisizioni la volontà di continua espansione, e la fiducia nella ripresa del Paese. Scindere Donna Moderna dalla sua casa editrice storica, la Mondadori, rischia di snaturare l’essenza stessa della testata, che è e rimane un patrimonio di tutti. Una garanzia e una tutela per migliaia di donne, lavoratrici, madri, figlie, ragazze, studentesse che ancora hanno bisogno di informarsi e affidarsi a un giornale femminile che parla con onestà il linguaggio delle donne”.