Israele ha messo in crisi l’eccezionale capacità diplomatica del Qatar
Il bombardamento contro Hamas a Doha ha violato una regola non scritta della politica internazionale: il Qatar non si tocca

Nell’ultimo anno Israele ha bombardato cinque paesi del Medio Oriente, oltre agli attacchi e ai massacri commessi nella Striscia di Gaza: Iran, Libano, Yemen, Siria e questa settimana il Qatar. Ciascuno di questi attacchi ha la sua gravità, ma quello più recente contro il Qatar è stato particolare. Anche media solitamente abbastanza comprensivi con le ragioni di Israele l’hanno criticato duramente. L’Economist, per esempio, lo ha definito con un gioco di parole “un errore Qatarstrofico”.
In primo luogo perché l’obiettivo del bombardamento erano alcuni dirigenti di Hamas che si erano incontrati per discutere di una proposta di cessate il fuoco a Gaza avanzata dagli Stati Uniti: bombardando i negoziatori, Israele ha deliberatamente danneggiato la possibilità di trovare un accordo di pace (non si sa ancora se i membri di Hamas siano stati uccisi o meno). Ma soprattutto perché il Qatar ha un ruolo particolare. Da tempo è uno dei paesi più coinvolti nella mediazione di guerre e conflitti in tutto il mondo, e Doha è ritenuta una delle capitali globali della diplomazia.
Il Qatar sta svolgendo questo ruolo anche rispetto alla guerra a Gaza. Molti dei negoziati si sono tenuti proprio nella capitale Doha, compresi quelli che avevano portato all’ultimo cessate il fuoco di gennaio. Ma oltre a Gaza il Qatar ha contribuito o sta contribuendo a decine di negoziati importanti in tutto il mondo: tra Stati Uniti e talebani in Afghanistan; tra Russia e Ucraina per il ritorno degli ostaggi; tra le fazioni politiche del Libano; tra il governo dello Yemen e il gruppo degli Houthi; tra il governo del Sudan e i gruppi armati in Darfur; tra il governo del Ciad e vari gruppi ribelli; tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo; tra Stati Uniti e Venezuela; tra Etiopia ed Eritrea, e potremmo andare avanti.
Questa attività ha dato al Qatar uno status speciale in Medio Oriente e non solo, simile a quello di altri paesi noti per ospitare negoziati importanti, come la Svizzera e la Norvegia: quello di un paese neutrale e dedito al negoziato, dove le parti in conflitto si incontrano sapendo di trovarsi in un luogo protetto in cui poter discutere in sicurezza. Per questo il bombardamento di Israele sui negoziatori di Hamas è stato visto come un affronto e come una violazione di una regola internazionale non scritta.

La visita in Qatar del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, maggio 2025 (Win McNamee/Getty Images)
Il Qatar ha impiegato decenni e investito enormi risorse per ottenere questo ruolo conveniente. Il paese divenne indipendente dal protettorato del Regno Unito nel 1971 e inizialmente era visto come uno dei luoghi meno rilevanti della regione, schiacciato tra paesi molto più grandi e influenti come l’Arabia Saudita e l’Iran. La monarchia regnante appartenente alla famiglia degli al Thani (il Qatar è di fatto una monarchia assoluta) era ritenuta poco influente.
Poi negli anni Novanta il Qatar scoprì uno dei maggiori giacimenti di gas naturale al mondo, e le cose cominciarono a cambiare. Nel 1996 nacque Al Jazeera, il network televisivo che è diventato il più importante del mondo arabo e uno strumento fondamentale dell’influenza del Qatar all’estero.
Dapprima l’emiro Hamad bin Khalifa al Thani (salito al potere nel 1995 dopo aver detronizzato suo padre) e poi soprattutto suo figlio Tamim bin Hamad al Thani (salito al potere nel 2013) svilupparono una strategia per rendere il Qatar più importante nel mondo, descritta da Hamad al Thani in un’intervista del 2021. Secondo l’emiro, il Qatar aveva due ruoli nel mondo: quello di «fornitore di energia», cioè di esportatore di gas naturale, e quello di «facilitatore di pace», cioè negoziatore. Se il primo ruolo è stato reso possibile grazie alla ricchezza naturale di idrocarburi, il secondo è stato creato praticamente da zero, attraverso anni di paziente costruzione di legami.
Ci sono tre cose che rendono il Qatar un mediatore efficace.
Primo, la sua posizione in buona parte neutrale. Il Qatar è per esempio un alleato degli Stati Uniti e ospita la più grande base militare americana in Medio Oriente, ma ha buoni rapporti anche con il loro principale nemico mediorientale, l’Iran, con cui deve condividere la gestione del grande giacimento di gas naturale al largo del Golfo persico.
Secondo, il fatto che il team negoziale del Qatar è estremamente ristretto e di altissimo livello. L’emiro in persona ne fa parte, e utilizza la sua influenza da capo di stato per gestire le relazioni più importanti. Altri membri del team sono Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al Thani, che è sia primo ministro sia ministro degli Esteri, e Mohammed bin Abdulaziz al Khulaifi, che è il capo dei negoziatori del paese. Di fatto tutti i negoziati più importanti passano da questi tre, con pochissima burocrazia di mezzo, e questo garantisce rapidità, affidabilità e segretezza.
Terzo, l’enorme ricchezza del paese. È più facile convincere due contendenti ad avviare negoziati quando è possibile promettere centinaia di milioni di dollari in investimenti o in aiuti per la ricostruzione dopo una guerra.
La neutralità e la dedizione al negoziato del Qatar non sono ovviamente disinteressati, e anzi in più di un occasione il paese ha approfittato della sua posizione per perseguire i propri interessi. Durante le primavere arabe (un movimento di proteste popolari che a partire dal 2011 cercò di rovesciare molti governi del Medio Oriente) il Qatar sostenne apertamente le rivolte dando loro sostegno politico e visibilità tramite al Jazeera, con l’obiettivo di indebolire governi percepiti come rivali. Quando le primavere arabe fallirono, come ritorsione l’Arabia Saudita e altri tre paesi arabi imposero contro il Qatar un embargo commerciale e diplomatico che durò mesi.
In altri casi il Qatar è stato accusato di dare legittimità a gruppi islamisti o terroristici, come i talebani in Afghanistan (di cui il Qatar è considerato un interlocutore privilegiato), Hamas (che il Qatar ha finanziato per anni con il consenso di Israele), o perfino al Qaida.
Ad ogni modo, questa strategia diplomatica ha generalmente funzionato e ha raggiunto l’obiettivo soprattutto nell’ultimo decennio di rendere il Qatar un paese irrinunciabile per la diplomazia mondiale, e quindi meno vulnerabile. L’idea era che per un paese molto piccolo e poco popoloso come il Qatar (che ha 3 milioni di abitanti, di cui soltanto il 13 per cento sono qatarioti e gli altri immigrati) l’unico modo per difendersi fosse quello di continuare a parlare con tutti e proporsi come mediatore dei conflitti.
Tra le altre cose, il Qatar è forse l’unico paese al mondo ad avere la mediazione inserita in Costituzione. Il testo dice che la politica estera del paese «è basata sul principio di rafforzare la pace e la sicurezza internazionali incoraggiando la risoluzione pacifica delle dispute internazionali». Anche per questo il bombardamento di Israele è visto in Qatar non soltanto come un attacco isolato, ma come una minaccia di lungo periodo, che rischia di indebolire il ruolo del paese come mediatore mondiale.



