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  • Giovedì 17 dicembre 2020

La morte che diede inizio alla primavera araba

Dieci anni fa Mohamed Bouazizi, un fruttivendolo tunisino, si diede fuoco per protestare contro la corruzione locale: le conseguenze furono enormi

(AP Photo/Giorgos Moutafis)
(AP Photo/Giorgos Moutafis)

Il 17 dicembre 2010, dieci anni fa, un fruttivendolo tunisino di 26 anni, Mohamed Bouazizi, si diede fuoco nella piazza centrale di un piccolo paese dell’entroterra della Tunisia. Poche ore prima era stato maltrattato dalla polizia – che lo taglieggiava da mesi – perché non aveva una licenza adatta per vendere la sua merce al mercato. Bouazizi morì pochi giorni dopo a causa delle ustioni. La sua morte fu la proverbiale palla di neve che nei giorni e nelle settimane successive diventò una valanga, causando la caduta di regimi decennali – come quello tunisino di Ben Ali – e guerre civili che proseguono ancora oggi, e più in generale i fatti che vengono riuniti sotto all’etichetta di primavera araba.

Bouazizi era nato il 29 marzo del 1984 da una famiglia molto povera nel paesino di Sidi Bouzid. Suo padre lavorava in Libia come muratore e morì per un infarto quando Bouazizi aveva tre anni. La madre Manoubia si sposò tempo dopo con un fratello del marito, con cui ebbe altri sei figli. Bouazizi iniziò a fare lavoretti dall’età di dieci anni per aiutare lo zio – che aveva problemi di salute – a portare a casa qualche soldo in più. Da ragazzino abbandonò la scuola e iniziò a lavorare a tempo pieno come venditore ambulante di frutta e verdura: manteneva la madre, lo zio, i fratellastri più piccoli e pagava gli studi universitari di una sorella.

«Da giovane era un ragazzo divertente, che rideva un sacco», ha raccontato di recente suo cugino Ali Bouazizi ad al Jazeera: «ma negli ultimi anni della sua vita aveva perso il senso dell’umorismo per via dello stress che subiva ogni giorno». Ali Bouazizi ha raccontato che suo cugino passava le sue giornate al lavoro, da mezzanotte al pomeriggio successivo, per guadagnare abbastanza soldi per mantenere la sua famiglia. Il fruttivendolo però era esasperato dai continui abusi e dalla corruzione della polizia locale, che ogni giorno chiedeva tangenti a tutti i venditori ambulanti per lasciarli fare il proprio lavoro.

In un articolo del 2011 il Washington Post ha raccontato che la sera del 16 dicembre 2010 Bouazizi era molto soddisfatto dei datteri, delle mele e delle arance che aveva comprato: era convinto che fossero le più belle che avesse mai visto, che avrebbe fatto buoni affari e che avrebbe potuto comprare qualche regalo per sua mamma. Il giorno dopo due poliziotti lo fermarono mentre stava arrivando al mercato col suo carretto. Suo zio se ne lamentò col comandante della polizia locale, che ordinò ai poliziotti di lasciare che Bouazizi passasse.

Una dei due poliziotti, seccata per l’ordine del comandante, andò da Bouazizi e pretese di ottenere due cassette di mele: una specie di piccola tangente. Bouazizi si rifiutò, e la poliziotta lo prese a schiaffi e manganellate davanti agli altri venditori ambulanti. Bouazizi, umiliato, cercò di raccontare quanto era accaduto al governatore locale, ma non lo trovò nel suo ufficio. Poco dopo si cosparse di benzina e si diede fuoco.

Il 18 dicembre un centinaio di persone si radunò davanti al municipio per protestare contro il maltrattamento di Bouazizi e le angherie della polizia. La cosa sarebbe forse passata inosservata, se un cugino del ragazzo non avesse filmato la manifestazione con il cellulare e non l’avesse diffusa su Internet: da lì diventò virale su Facebook e finì su al Jazeera, che ne parlò in tutto il mondo arabo.

Bouazizi morì il 4 gennaio, proprio mentre stava montando la prima fase delle proteste, che nei mesi successivi si sarebbero allargate a manifestazioni contro la corruzione e a favore della democrazia in quasi tutto il mondo arabo, e che fra le altre cose avrebbero dato origine alla guerra civile in Siria e alla caduta del regime libico di Muammar Gheddafi. Il dittatore tunisino Ben Ali andò a trovare Bouazizi in ospedale e promise delle riforme, ma venne costretto alle dimissioni e a metà gennaio scappò in Arabia Saudita, dove morì nel 2019. Non tornò mai più in Tunisia.

Proprio la Tunisia è stato l’unico paese ad emergere dal periodo delle primavere arabe con un governo democratico, e per questo portata a esempio in tutto il mondo. Negli anni successivi alla sua morte anche Bouazizi ricevette moltissime celebrazioni: gli fu assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero, fu scelto come persona dell’anno dal quotidiano britannico Times, e a Sidi Bouzid gli furono intitolate una targa e un murale.

Oggi però, paradossalmente, rimangono pochissime tracce della sua presenza e di tutto quello che successe dopo. Sidi Bouzid continua ad essere un piccolo e povero paese dell’entroterra, le cui condizioni sono state aggravate dalla pandemia e dalla crisi economica che il governo democratico non riesce a risolvere. In tutta la Tunisia la crescita economica si è dimezzata rispetto al 2010, e la disoccupazione è un problema gigantesco soprattutto fra i più giovani. «Abbiamo visto un sacco di investitori stranieri rivolgersi altrove», ha raccontato al Guardian Youssef Cherif, direttore di un presidio della Columbia University di New York a Tunisi: «in posti come il Marocco o l’Egitto, dove i governi autoritari possono offrire la stessa forza lavoro ma con meno problemi, meno richieste dal punto di vista sociale».

Una donna che di recente camminava lungo la via principale di Sidi Bouzid ha raccontato al Guardian che quando passa davanti al murale di Bouazizi lo maledice: «è lui che ci ha rovinato», dice. La poliziotta che picchiò Bouazizi lavora ancora a Sidi Bouzid, nelle stesse strade che frequentava dieci anni fa. Nessuno della famiglia Bouazizi vive più a Sidi Bouzid: la madre e la sorella di Bouazizi si sono trasferite in Canada, e i suoi fratellastri vivono fra Sfax e Tunisi. Dopo la morte di Bouazizi avevano ricevuto piccole somme di denaro da persone che gli erano state vicine e dal governo, ma questo aveva causato delle tensioni con gli altri abitanti di Sidi Bouzid. «Ora hanno tutti una vita migliore», ha raccontato ad al Jazeera il cugino di Bouazizi.

Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico Italia allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.

Puoi anche chiamare i Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.