Ma il Qatar, lo finanzia davvero il terrorismo?
Non c'è una risposta semplice, anche perché non c'è accordo su cosa sia il terrorismo: di certo non è proprio come la raccontano l'Arabia Saudita e i suoi alleati
di Elena Zacchetti – @elenazacchetti
Da più di una settimana il Golfo Persico è parecchio in subbuglio. Alcuni paesi arabi sunniti, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, hanno isolato il Qatar, accusandolo di sostenere il terrorismo. La crisi che ne è nata è stata definita come la peggiore della regione dal 1990, anno in cui l’Iraq di Saddam Hussein invase il vicino Kuwait. Negli ultimi sette giorni è successo un po’ di tutto – per esempio sono finiti nel calderone anche Turchia e Stati Uniti – ma per ora non si è risolto nulla. C’è però una domanda a cui non si è dedicata abbastanza attenzione: ma alla fine, il Qatar, lo appoggia davvero il terrorismo?
I giocatori della nazionale di calcio del Qatar indossano una maglietta con il ritratto dell’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al Thani, prima di una partita di qualificazione ai Mondiali giocata contro la Corea del Sud. Doha, 13 giugno (KARIM JAAFAR/AFP/Getty Images)
Mettiamoci d’accordo su cos’è terrorismo, intanto
Non è per niente facile accordarsi su cosa sia o non sia il terrorismo. Dalla fine degli anni Novanta la comunità internazionale sta cercando di trovare una definizione condivisa di terrorismo, per poterlo prevenire, individuare e punire, ma finora non c’è riuscita. Il problema non sembra tanto essere la definizione in sé, che all’incirca è stata trovata: in sintesi, è terrorismo se una persona causa illegalmente e intenzionalmente la morte o il ferimento di altre persone, se danneggia gravemente proprietà pubbliche o private (un edificio del governo, un autobus, ecc), o se agisce con l’intenzione di causare gravi perdite economiche intimidendo e terrorizzando una comunità. Il problema, dicevamo, non è tanto la definizione quanto piuttosto il suo campo di applicazione: valgono terrorismo anche gli atti di cui sopra compiuti da un esercito regolare o da movimenti di autodeterminazione? Combattere contro un regime autoritario può essere terrorismo? Ci può essere terrorismo compiuto da uno stato?
La comunità internazionale non ha ancora trovato una risposta condivisa, lasciando quindi ampi margini di interpretazione sui criteri da usare. Il risultato è che quello che è terrorismo per uno spesso non lo è per molti altri, come dimostrano alcuni casi in cui è coinvolto anche il Qatar, tra cui quello emblematico dei Fratelli Musulmani.
Il caso dei Fratelli Musulmani in Egitto
I Fratelli Musulmani sono un movimento politico-religioso islamista sunnita presente in diversi paesi del Medio Oriente e Nord Africa che da diverso tempo non ha più un braccio armato attivo. Vengono considerati dai regimi autoritari sunniti come un gruppo terroristico con ambizioni di governo, mentre sono visti dall’Occidente come una forza politica legittima. Negli ultimi anni il Qatar, a differenza degli altri paesi sunniti del Golfo Persico, si è schierato con il secondo gruppo.
Mohammed Morsi in una cella all’accademia di polizia del Cairo, durante il processo in cui è accusato di avere svolto attività di spionaggio per il Qatar. Morsi è stato arrestato dal regime di Abdel Fattah al Sisi, l’ex generale responsabile di avere guidato il colpo di stato contro il leader dei Fratelli Musulmani (KHALED DESOUKI/AFP/Getty Images)
Il paese in cui si è vista di più la rottura tra il primo e il secondo gruppo è stato l’Egitto. Nel 2011 le proteste della cosiddetta “primavera araba” portarono alla caduta del regime di Hosni Mubarak e all’ascesa progressiva dei Fratelli Musulmani. Uno dei leader del gruppo, Mohammed Morsi, fu eletto presidente – e fu eletto democraticamente – nel giugno 2012: Morsi fu particolarmente osteggiato dalle monarchie del Golfo, preoccupate che una cosa simile potesse succedere anche a casa loro, mentre fu appoggiato dal Qatar, che vide nel nuovo governo egiziano una possibilità di sviluppare una politica estera indipendente e sganciarsi dalla pesante influenza del suo vicino più potente e importante, l’Arabia Saudita. Le primavere arabe furono viste in generale con grande favore anche dall’Occidente, che le considerò come un momento di nuova democrazia. La presidenza di Morsi non durò molto, comunque: poco più di un anno dopo, nel luglio 2013, Morsi fu deposto da un colpo di stato organizzato dal generale Abdel Fattah al Sisi, oggi presidente dell’Egitto. Dopo avere preso il potere, Sisi cominciò a far arrestare tutti i leader dei Fratelli Musulmani e mise fuori legge l’organizzazione. Misure simili furono adottate dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, che accusarono il Qatar di dare rifugio nel proprio territorio a importanti politici islamisti di opposizione sauditi ed emiratini.
Si può dire quindi che il Qatar abbia appoggiato il terrorismo perché ha sostenuto il governo dei Fratelli Musulmani in Egitto? Verrebbe da dire di no. Ci sono però altre accuse controverse.
Il caso di Hamas, che mostra come sia tutto un casino
Il Qatar è stato accusato di appoggiare e finanziare altri gruppi, per esempio i palestinesi di Hamas, che a differenza dei Fratelli Musulmani continuano a essere responsabili di attacchi contro civili e militari. In questo senso, Hamas è molto più vicino alla definizione di terrorismo trovata dalla comunità internazionale di quanto non lo siano i Fratelli Musulmani.
Yahya Sinwar (a sinistra), nuovo leader di Hamas nella Striscia di Gaza, e Ismail Haniyeh assistono al discorso di Khaled Meshal, il capo di Hamas in esilio in Qatar. Meshal, che è in Qatar dal 2012, e intervenuto in video conferenza, mentre la fotografia è stata scattata a Gaza (AP Photo/Adel Hana)
Hamas, la fazione palestinese che governa la Striscia di Gaza, è considerata un’organizzazione terroristica da Israele e dai suoi alleati occidentali, ma allo stesso tempo è vista da molti arabi come una forza di resistenza armata contro l’occupazione israeliana nei territori palestinesi. Quello di Hamas è un caso particolare che aiuta a capire la complessità della crisi che si è sviluppata attorno al Qatar. I sauditi non sono nemici di Hamas e per lungo tempo tra le due parti ci sono state delle relazioni amichevoli. Il governo saudita ha continuato a finanziare Hamas nel corso degli anni, anche quando, a metà degli anni Duemila, Hamas cominciò a dipendere sempre di più dagli aiuti dell’Iran, paese a maggioranza sciita e nemico giurato dell’Arabia Saudita. Quando nel 2012 l’allora leader politico di Hamas ruppe i rapporti con il regime siriano di Bashar al Assad, stretto alleato dell’Iran, il sostegno iraniano ad Hamas cominciò a ridursi parecchio, lasciando spazio ai nuovi ingenti finanziamenti del Qatar e della Turchia (che hanno posizioni molto simili riguardo ai gruppi da appoggiare e finanziare). Da allora ci sono state diverse occasioni di tensione tra Hamas e l’Arabia Saudita, condizionate anche dal tentativo dell’Iran di riprendere gli spazi perduti. I rapporti, comunque, non si sono mai chiusi del tutto.
Quindi perché oggi l’Arabia Saudita sta chiedendo al Qatar di rompere i rapporti con Hamas, che definisce un gruppo terroristico? È vero che negli ultimi anni i sauditi si sono progressivamente allontanati da Hamas, ma l’impressione è che la risposta sia da cercare nell’inimicizia dell’Arabia Saudita verso Iran e Qatar, più che in una reale convinzione che i miliziani palestinesi siano diventati terroristi praticamente da un giorno all’altro.
Il Qatar finanzia al Qaida e lo Stato Islamico?
L’Arabia Saudita e i suoi alleati hanno accusato il governo del Qatar di appoggiare le due organizzazioni terroristiche più potenti al mondo e tra loro nemiche: al Qaida e lo Stato Islamico. È così?
Non è facile rispondere con assoluta certezza a questa domanda – i gruppi terroristici non vengono finanziati normalmente tramite canali aperti e trasparenti – però qualcosa si può dire. Le norme nazionali e internazionali per impedire il trasferimento di soldi ai gruppi terroristici sono diventate molto più stringenti negli ultimi sedici anni, cioè dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York e Washington. Le limitazioni introdotte hanno costretto i terroristi a trovare nuove forme di autofinanziamento, come i rapimenti-riscatti e le estorsioni nei territori controllati. Le donazioni di privati cittadini, soprattutto provenienti dai ricchi paesi del Golfo, non sono però scomparse. Nel rapporto annuale sul terrorismo pubblicato dal dipartimento di Stato americano e riferito al 2015, si legge, in riferimento alle misure prese dal Qatar per limitare i finanziamenti a gruppi terroristici:
«Nonostante questi sforzi, entità ed individui in Qatar continuano a essere una fonte di sostegno finanziario per il terrorismo e i gruppi estremisti e violenti, in particolare gli affiliati di al Qaida nella regione, come il Fronte al Nusra [oggi il Fronte al Nusra, gruppo che combatte il regime siriano di Bashar al Assad, ha cambiato nome: si chiama Tahrir al Sham e formalmente non è più legato ad al Qaida]»
Nel 2016 Adam Szubin, sottosegretario al dipartimento del Tesoro americano e responsabile di eliminare le linee di finanziamento ai gruppi terroristici, ha detto che il Qatar non aveva mostrato fino a quel momento «la volontà politica necessaria e la capacità di rafforzare le sue leggi finanziarie antiterrorismo». Secondo Hassan Hassan, analista esperto di Siria e Iraq, il Qatar non ha mai sostenuto direttamente lo Stato Islamico e al Qaida, anche se una legislazione non troppo rigida potrebbe avere facilitato i trasferimenti di denaro; ha appoggiato però altri gruppi di ribelli siriani islamisti ed estremisti, come ad esempio Ahrar al Sham, i cui fondatori erano legati ad al Qaida.
Uno degli episodi più ripresi negli ultimi giorni che sembra dimostrare la facilità con cui il Qatar abbia in passato stretto accordi con gruppi considerati terroristici è la faccenda della liberazione di 26 membri della famiglia reale qatariota rapiti da una milizia sciita nel sud dell’Iraq nel dicembre 2015. Secondo quanto ricostruito dal Financial Times, il rapimento sarebbe avvenuto perché l’Iran e il gruppo libanese sciita Hezbollah, suo alleato, volevano costringere il Qatar a intervenire in un’altra questione, che riguardava una cosa successa in Siria: volevano che il Qatar negoziasse la liberazione di alcuni combattenti sciiti che erano stati rapiti in Siria da Tahrir al Sham, il gruppo che fino allo scorso anno era affiliato ad al Qaida. Il Qatar fece quello che gli fu chiesto: pagò un miliardo di dollari di riscatto per la liberazione degli ostaggi, dando soldi anche a Tahrir al Sham e ad alcune milizie sciite appoggiate dall’Iran, e mediò l’evacuazione di quattro città siriane, due circondate dalle forze jihadiste e due assediate dalle milizie sciite. Fu un accordo articolato e complesso, insomma. Secondo alcune testimonianze raccolte dal Financial Times, non era la prima volta che il Qatar era coinvolto in un sistema di riscatto che portava al finanziamento dei jihadisti in Siria.
C’è comunque da tenere a mente un paio di cose, per capire meglio il contesto: il Qatar non è stato l’unico paese del Golfo a sostenere e finanziare i ribelli siriani radicali, anche se secondo diversi analisti in anni recenti altri stati, come l’Arabia Saudita, hanno introdotto dei controlli più rigidi per controllare i flussi di denaro potenzialmente diretti a gruppi terroristici. Inoltre la fluidità delle alleanze in Siria, soprattutto i moltissimi gruppi che includiamo nell’ampio schieramento dei “ribelli”, rende difficile dire con certezza a chi finiscano i finanziamenti provenienti dall’estero, se a gruppi jihadisti o no.
E poi ci sono gli sciiti
Nonostante alcune delle accuse che vengono fatte verso il Qatar siano senza dubbio vere – per esempio la mancanza di una legislazione adeguata per bloccare i finanziamenti ai gruppi terroristici, l’appoggio a gruppi di ribelli molto radicali in Siria e l’atteggiamento controverso nei confronti della divisione siriana di al Qaida – rimane il dubbio che la rottura dei rapporti diplomatici e commerciali con il governo qatariota sia stata giustificata soprattutto da altro. L’impressione è che in tutto questo c’entri soprattutto l’Iran: o meglio, l’approccio non antagonista che il governo del Qatar continua ad avere nei confronti dell’Iran e delle milizie sciite sue alleate, rompendo di fatto quello che i sauditi vorrebbero fosse un fronte compatto di paesi arabi sunniti.
Se non c’è dubbio che il Qatar continui a mantenere dei rapporti non ostili con l’Iran – ma questo non significa di per sé appoggiare il terrorismo –, alcune delle accuse che sono state rivolte ai qatarioti nell’ultima settimana sembrano difficili da verificare.
Da sinistra a destra: Sheik Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe di Abu Dhabi; Salman bin Hamad Al-Khalif, principe del Bahrain; Sayyid Fahad Bin Mahmood Al Said, viceprimo ministro dell’Oman; Sheikh Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah, emiro del Kuwait; Sheik Tamim bin Hamad Al-Thani, emiro del Qatar; Barack Obama, presidente degli Stati Uniti; Mohammed bin Nayef, principe dell’Arabia Saudita; e Abdul Latif Bin Rashid Al Zayani, del Bahrein, Segretario generale del Consiglio di Cooperazione del Golfo. La foto è stata scattata a Camp David, in Maryland, il 14 maggio 2015 (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
Per esempio l’Arabia Saudita ha accusato il Qatar di appoggiare i ribelli sciiti Houthi in Yemen, sostenuti dall’Iran. Dal marzo 2015 gli Houthi combattono una guerra contro il presidente yemenita Abed Rabbo Mansour Hadi, sostenuto da una coalizione di stati sunniti che comprende anche Arabia Saudita ed Egitto. Le accuse saudite, che non sono mai state confermate, sembrano per lo meno eccessive se si considera che il Qatar fino a una settimana fa è stato un membro della coalizione anti-Houthi, prima di essere espulso, dopo l’inizio della crisi. Associated Press ha scritto che probabilmente queste accuse sono legate al fatto che nel 2012 Arabia Saudita e Qatar si trovarono in disaccordo su come completare la transizione del potere in Yemen, dopo la destituzione dell’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh causata dalle cosiddetta “primavera araba”. I sauditi accusarono i qatarioti di voler sabotare il loro piano, lavorando invece per promuovere gli interessi dei ribelli Houthi.
Arabia Saudita e Bahrein hanno accusato inoltre il Qatar di avere appoggiato le comunità sciite dei loro paesi, che non sono però legate al terrorismo. Negli anni passati in Bahrein si è sviluppato un forte movimento di protesta, una specie di “primavera araba” fatta principalmente dalla maggioranza sciita, che però è stata repressa con la violenza dalla monarchia sunnita. In Arabia Saudita gli sciiti sono una minoranza: sono concentrati nella provincia orientale e da tempo sono diventati l’obiettivo di alcuni degli attentati dello Stato Islamico. Non è chiaro quanto il Qatar abbia sviluppato legami con queste due comunità, ma di certo ha cercato in più di un’occasione di porsi come mediatore, assumendo un ruolo abbastanza ambiguo. Anche in questo caso, tuttavia, è difficile legare le sue politiche al terrorismo.
Cosa ci dice tutta questa storia?
Il Qatar da anni porta avanti una politica estera molto spericolata, ritenendo probabilmente che sia l’unico modo per poter contare qualcosa nel Golfo Persico e nel mondo. Il problema dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti, dell’Egitto e di tutti gli altri è proprio questo: che perseguendo i suoi obiettivi nazionali, il Qatar ha messo loro i bastoni tra le ruote. Più che il sostegno indiretto a gruppi considerati terroristici – e come detto, ci sono da fare molti distinguo – il Qatar è stato isolato per avere sostenuto movimenti che minacciano la stabilità dei regimi e delle monarchie sunnite, come i Fratelli Musulmani o le minoranze sciite, e per avere intrattenuto rapporti con il peggior nemico del fronte guidato dall’Arabia Saudita, cioè l’Iran. Sono tutte cose che si dovrebbero ricordare, quando ci si chiede: ma il Qatar, lo finanzia davvero il terrorismo?