L’accordo sui dazi tra Stati Uniti e Unione Europea è una vittoria per Trump
Lo scenario peggiore è stato evitato, ma prevede condizioni sfavorevoli e molto asimmetriche

L’accordo sui dazi tra Stati Uniti e Unione Europea annunciato domenica è stato interpretato da molti come una vittoria per Donald Trump e un risultato deludente per l’Unione. In un’analisi molto critica il Financial Times ha scritto che l’Unione «si è arresa» alle richieste di Trump, e anche il New York Times ha scritto che l’accordo «sembra dare a Trump molto di quello che voleva».
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L’accordo è stato concluso dopo mesi di negoziati. L’Unione – rappresentata dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – è riuscita a evitare lo scenario peggiore, cioè il proseguire della guerra commerciale e l’imposizione di dazi insostenibili minacciati più volte da Trump. Allo stesso tempo ha accettato comunque un accordo molto penalizzante e asimmetrico, che prevede per l’Unione condizioni molto diverse che per gli Stati Uniti.
I termini dell’accordo sono stati annunciati durante un incontro tra Trump e von der Leyen a Turnberry, in Scozia, dopo che Trump aveva passato la giornata a giocare a golf in un centro di sua proprietà. Prevede che gli Stati Uniti impongano dazi del 15 per cento sulla maggior parte delle importazioni dall’Unione Europea. Questa soglia si applicherà anche ai prodotti dell’industria farmaceutica, ai semiconduttori e alle auto, su cui c’era molta attenzione perché sono fondamentali per le economie di vari paesi (le auto per la Germania, ad esempio).
Il dazio del 15 per cento non si applicherà invece alle importazioni di acciaio e alluminio, sui quali rimarranno in vigore dazi del 50 per cento. Von der Leyen ha detto che verrà concordato un sistema di “quote” per questi materiali (ossia con vari livelli soggetti a tasse via via crescenti) su cui per ora non ci sono informazioni.

Trump e von der Leyen a Turnberry, in Scozia, durante l’annuncio dell’accordo sui dazi (AP Photo/Jacquelyn Martin)
Allo stesso tempo, l’Unione Europea non imporrà dazi sulle importazioni di merci statunitensi: è una concessione importante, anche perché gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale dell’Unione Europea. L’Unione si è anche impegnata ad acquistare prodotti energetici statunitensi per 750 miliardi di dollari (circa 639 miliardi di euro) e a investire 600 miliardi di dollari (oltre 500 miliardi di euro) nel paese.
I tempi e altri dettagli di questi investimenti non sono ancora chiari. È evidente però che l’accordo sia asimmetrico, sbilanciato a favore degli Stati Uniti: non solo per la differenza tra i dazi (15 per cento per le aziende europee, zero per le aziende statunitensi), ma anche per le promesse di acquisti (che peraltro riguarderanno petrolio, gas e armi, andando in direzione opposta rispetto agli obiettivi politici europei) e perché arriva dopo altre grandi concessioni ottenute dagli Stati Uniti negli scorsi mesi anche dai paesi europei, come l’impegno ad alzare al 5 per cento del PIL la spesa militare dei paesi NATO e l’esenzione delle aziende statunitensi dalla nuova tassa globale sulle multinazionali.
Al di là dei dettagli più tecnici, anche il solo fatto di aver annunciato un accordo commerciale con l’Unione Europea è una vittoria politica per Trump, che aveva promesso di fare «90 accordi in 90 giorni» e finora, superata quella scadenza di molte settimane, ne ha conclusi meno di dieci, nella maggior parte dei casi con paesi asiatici.
Von der Leyen ha detto che la soglia del 15 per cento «non è da sottovalutare, ma è il meglio che potevamo ottenere». È un livello in effetti inferiore a quanto minacciato da Trump negli ultimi mesi: a fine maggio aveva promesso dazi del 50 per cento su tutti i prodotti europei, e poi qualche settimana fa del 30 per cento. Entrambi questi scenari avrebbero messo in enorme difficoltà l’economia europea. Il 15 per cento è anche una soglia simile a quella concordata con altri paesi, come il Giappone, le Filippine e l’Indonesia, su cui sono stati annunciati dazi tra il 15 e il 20 per cento (anche se gli accordi rimangono piuttosto vaghi, e i dettagli devono ancora essere definiti).
Il 15 per cento è anche inferiore, seppure non di molto, all’iniziale 20 per cento annunciato da Trump per l’Unione Europea ad aprile, con l’ormai nota tabella che aveva fatto partire la guerra commerciale, causato enorme caos e fatto crollare i mercati finanziari. Trump aveva poi sospeso i dazi per 90 giorni, quindi fino al 9 luglio, e poi ha allungato la sospensione fino al prossimo 1° agosto.

La “tabella” con cui Trump ha annunciato i dazi altissimi che hanno dato il via alla guerra commerciale, il 2 aprile scorso (AP Photo/Mark Schiefelbein)
In questi mesi l’Unione Europea ha provato a rispondere con qualche minaccia, senza mai risultare troppo convincente. Qualche giorno fa per esempio aveva annunciato che se non si fosse trovato un accordo avrebbe imposto dazi su merci statunitensi dal valore complessivo di 93 miliardi di dollari, una mossa tardiva e poco incisiva. A marzo aveva annunciato dazi in risposta a quelli statunitensi su acciaio e alluminio, ma ha poi rinviato la loro entrata in vigore sperando di raggiungere in tempi brevi un accordo.
Il Financial Times ha scritto che il commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič, è stato a Washington sette volte negli ultimi mesi per discutere dei dazi, e ha passato oltre 100 ore a parlare con le sue controparti statunitensi.
Uno dei problemi principali che hanno inficiato i negoziati è la frammentazione interna dell’Unione e la difficoltà di trovare una linea comune tra 27 paesi con economie anche molto diverse. Mentre alcuni governi chiedevano di adottare un approccio più duro contro Trump, come la Francia, altri come la Germania (dove le esportazioni verso gli Stati Uniti pesano parecchio sull’economia nazionale) chiedevano più cautela per evitare di fare troppi danni. L’Italia ha mantenuto un approccio cauto: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha provato anche a sfruttare i suoi buoni rapporti con Trump per ottenere un abbassamento dei dazi, senza riuscirci.
La differenza si è vista soprattutto con l’approccio della Cina, contro cui Trump sta invece perdendo la sua guerra commerciale. La Cina è sempre stata il paese contro cui Trump ha imposto i dazi più alti, che a un certo punto erano arrivati al 145 per cento, un livello esorbitante che rendeva di fatto impossibili i commerci tra i due paesi. In questo modo il presidente statunitense sperava di spingerla a negoziare e possibilmente piegarsi alle sue richieste, ma le cose sono andate diversamente: i negoziati sono a lungo rimasti fermi, e con il passare del tempo Trump ha dovuto fare concessioni senza ottenere nulla in cambio. La Cina ha quindi adottato un approccio più duro, accettando di sopportarne le eventuali conseguenze. L’Unione Europea invece ha preferito non rischiare troppo; oppure non era proprio in grado di deciderlo.



