Gli enormi dazi annunciati da Trump

Sono i più alti da quasi un secolo e potrebbero mettere in grave difficoltà i commerci globali

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante l'evento in cui ha dato l'annuncio, il 2 aprile del 2025, alla Casa Bianca (AP Photo/Mark Schiefelbein)
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante l'evento in cui ha dato l'annuncio, il 2 aprile del 2025, alla Casa Bianca (AP Photo/Mark Schiefelbein)
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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato mercoledì sera il più grande e ampio aumento dei dazi sulle merci straniere da quasi un secolo. I nuovi dazi riguardano tutte le merci importate negli Stati Uniti da un determinato paese o gruppo di paesi, senza eccezioni. Tra gli altri, l’Unione Europea (quindi anche l’Italia) subirà dazi del 20%; il Regno Unito del 10%; il Giappone del 24% e la Cina del 54% (erano già al 20%). Sono esclusi Canada e Messico, già interessati però da dazi del 25% su determinati prodotti. Molti dei paesi coinvolti, tra cui l’Unione Europea e la Cina, hanno già annunciato che risponderanno a loro volta con dazi contro gli Stati Uniti.

Donald Trump durante l’annuncio dei dazi al Rose Garden della Casa Bianca a Washington, mercoledì 2 aprile 2025 (AP Photo/Mark Schiefelbein)

I dazi sono di fatto una tassa sulle merci in arrivo da un paese straniero: significa che se un’azienda americana importa un prodotto dall’Italia per poi rivenderlo, con il nuovo regime di Trump dovrà pagare al fisco statunitense una tassa del 20 per cento sul suo valore. L’importatore americano che paga la tassa (cioè il dazio) può decidere di sostenerne il costo, oppure di scaricarlo sui consumatori, alzando i prezzi. A volte anche l’esportatore, vedendo che a causa dei dazi i suoi ordini calano, decide di abbassare i propri prezzi, contribuendo di fatto a sostenere il costo del dazio.

Per calcolare i propri dazi da imporre, che variano notevolmente da paese a paese (Vietnam 46%, Svizzera 31%, India 26%, e così via), l’amministrazione Trump ha usato una formula peculiare: ha imposto su tutti i paesi un dazio di base del 10%, a cui ha poi aggiunto quelli che ha definito «dazi reciproci», cioè dazi aggiuntivi calcolati a seconda di quanto gli altri paesi «trattano male» gli Stati Uniti. In teoria questi «dazi reciproci» dovrebbero essere commisurati alle barriere commerciali che gli altri paesi impongono contro gli Stati Uniti, ma ci sono molti dubbi sulla correttezza economica di questa formula.

L’annuncio di Trump non ha chiarito del tutto quando entreranno in vigore i nuovi dazi, ma secondo i documenti della Casa Bianca i dazi base del 10 per cento verso tutti i paesi entreranno in vigore il 5 aprile, mentre quelli «reciproci» entreranno in vigore il 9. Dalla mezzanotte di giovedì invece come previsto entreranno in vigore quelli del 25 per cento sulle auto importate, che erano stati annunciati in precedenza. I dazi già attivi, come quelli sulle automobili, non si andranno a sommare ai dazi annunciati mercoledì.

I dazi dovrebbero servire per difendere l’industria nazionale dalla concorrenza straniera. Nella pratica Trump li usa però come strumento politico per ottenere quello che vuole dai paesi che li subiscono, e che avrebbero molto da perdere in una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Per questo spesso si è limitato a minacciarli, senza poi davvero introdurli o facendolo solo in parte. È successo per esempio con Canada e Messico: a inizio febbraio Trump aveva annunciato dei dazi, per poi posticiparli dopo aver ottenuto dai due paesi alcune garanzie e impegni sulla gestione dei flussi migratori.

Non è da escludere che succeda qualcosa di simile anche questa volta: i dazi spropositati annunciati da Trump mercoledì potrebbero essere una mossa negoziale, e potrebbero essere mantenuti, ridotti o eliminati a seconda della risposta degli altri paesi coinvolti.

Una postazione della borsa di Francoforte, in Germania, il 2 aprile 2025 (AP Photo/Michael Probst)

Il caos degli ultimi mesi ha comunque avuto grosse conseguenze economiche. Da mesi ci sono in borsa cali ampi e generalizzati nel valore delle azioni delle società più esposte al commercio con gli Stati Uniti, che si sono amplificati giovedì, all’apertura delle borse asiatiche. Quella che ne ha risentito di più è stata però proprio la borsa statunitense, dato che la prima conseguenza concreta dei dazi è un aumento dei prezzi per consumatori e imprese locali, che devono sobbarcarsi il sovrapprezzo dei dazi. Non a caso Trump ha dato l’annuncio a mercati chiusi.

Negli scorsi mesi poi sono aumentate molto le importazioni degli Stati Uniti, per effetto del cosiddetto front loading: le aziende statunitensi si sono affrettate a comprare più merce possibile prima dell’entrata in vigore dei dazi. Col risultato che i porti sono intasati, le spedizioni costano sempre di più, e alcune materie prime richiestissime – come il rame – costano molto più di prima.

– Leggi anche: Come funzionano i dazi, spiegato