Quali sono i paesi che hanno più da perdere con i dazi di Trump
Messico, Canada e Cina sono i primi tre partner commerciali degli Stati Uniti, ma anche molti paesi europei hanno rapporti solidi

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non aveva mai nascosto la sua volontà di imporre nuovi dazi sulle importazioni di merce straniera, come strumento per difendere l’industria nazionale, ma anche (e soprattutto) come strumento politico per ottenere qualcosa nelle negoziazioni internazionali. Nel fine settimana ha annunciato che dal prossimo 4 febbraio (domani) gli Stati Uniti imporranno dazi sulle importazioni di praticamente tutte le merci provenienti da Cina, Canada e Messico, e ha fatto capire che non finisce qui: ne seguiranno con ogni probabilità altri nei confronti di diversi paesi, tra cui quelli dell’Unione Europea.
Il 3 febbraio, sia il Canada che il Messico hanno trovato un accordo con gli Stati Uniti per rimandare di un mese l’entrata in vigore dei dazi.
A prescindere dalle motivazioni, questo tipo di dazi sono allo stesso tempo discriminatori, perché colpiscono solo specifici paesi, e indiscriminati, perché colpiscono tutte le loro merci. Sono dunque per loro natura distorsivi e lesivi, e il loro impatto è tanto più ampio quanto più è profondo il legame commerciale dei paesi colpiti verso gli Stati Uniti.
Messico, Canada e Cina sono i primi tre partner commerciali degli Stati Uniti, e per questo anche quelli che hanno più da perdere dall’imposizione dei dazi. Rischiano molto anche alcuni paesi asiatici e quelli europei, su tutti Germania, Francia e Italia. E ovviamente rischiano gli Stati Uniti stessi, un paese che importa buona parte delle merci che consuma.
I dazi funzionano come imposta sulle importazioni di merce straniera: semplificando un po’, rendono la merce più costosa per gli acquirenti statunitensi e penalizzano le aziende straniere che le vendono poiché è possibile che ne venderanno sempre meno. Sono dunque un danno per i consumatori e le aziende statunitensi che devono sopportare l’aumento dei prezzi d’acquisto, e un rischio per le aziende cinesi, canadesi e messicane che le vendono e il cui giro di affari potrebbe ridursi.
Se poi i paesi colpiti dovessero decidere di imporre a loro volta dazi agli Stati Uniti come ritorsione – come peraltro Canada, Messico e Cina hanno già detto di voler fare – il danno raddoppierebbe e si riverserebbe anche su consumatori e aziende di questi paesi: non passerebbe cioè solo dal canale delle esportazioni verso gli Stati Uniti, ma anche da quello delle importazioni. Gli Stati Uniti sono peraltro tra i più grandi esportatori di energia, per esempio, ma anche di macchinari industriali, aerei, strumenti tecnologici, chip e prodotti farmaceutici.
Dunque per capire quali paesi hanno più da perdere dalle politiche protezionistiche di Trump non basta vedere quali paesi esportano di più negli Stati Uniti, ma serve valutare anche il livello delle loro importazioni dagli Stati Uniti. Si usa cioè l’interscambio commerciale, la somma di esportazioni e importazioni tra due paesi.
Il Messico è il primo paese per interscambio commerciale: nel 2023 ha scambiato quasi 800 miliardi di dollari di merce, il 16 per cento di tutto l’interscambio commerciale statunitense. Di questi, oltre 300 miliardi sono le esportazioni degli Stati Uniti in Messico, mentre 485 quelle del Messico negli Stati Uniti: il commercio è dunque sbilanciato a favore del Messico, che negli Stati Uniti vende di più di quello che compra. Per esempio è il secondo fornitore di petrolio greggio agli Stati Uniti, nonché il primo paese di destinazione per le esportazioni statunitensi di idrocarburi.
Il secondo paese per interscambio commerciale è il Canada, che con gli Stati Uniti ha scambiato 774 miliardi di dollari di merci: la relazione commerciale è in questo caso più bilanciata, sebbene leggermente a favore del Canada, che comunque vende di più agli Stati Uniti di quanto importa, soprattutto petrolio non raffinato di cui è il primo fornitore. Il terzo paese più esposto è la Cina, con cui gli Stati Uniti hanno scambiato 575 miliardi di prodotti, di cui quasi l’80 per cento è rappresentato da esportazioni cinesi: in questo caso il rapporto commerciale è fortemente e storicamente sbilanciato a favore della Cina.
Messico, Canada e Cina rappresentano quasi la metà di tutto l’interscambio commerciale degli Stati Uniti: alcuni settori statunitensi saranno colpiti in modo particolarmente duro dai dazi, come quello automobilistico, alimentare ed energetico. Dal Canada e dal Messico arriva oltre il 70 per cento delle importazioni di petrolio greggio destinato alle raffinerie statunitensi, il che farà aumentare il costo dei carburanti. Sono a rischio anche il settore della produzione di auto e altri veicoli, poiché gli Stati Uniti importano quasi la metà delle componenti per le auto proprio da Messico e Canada.
In ogni caso gran parte degli economisti è concorde nel dire che, nonostante siano attesi degli effetti negativi per l’economia statunitense, i danni più grossi di questi dazi saranno a carico di Messico e Canada, che hanno un’economia molto più dipendente dagli scambi internazionali: verso gli Stati Uniti sono diretti rispettivamente l’80 e il 78 per cento delle loro esportazioni totali. Al contrario dal commercio internazionale dipende “solo” un quarto del Prodotto Interno Lordo statunitense, distribuito tra diversi partner commerciali.

Fonte: Council on Foreign Relations
La Cina, al contrario, ha da tempo allentato la sua relazione commerciale con gli Stati Uniti, anche e perlopiù a causa di Donald Trump: negli ultimi anni ha privilegiato il commercio con altri paesi, come la Russia, il Vietnam e la Corea del Nord. Tra gli altri paesi asiatici esposti agli Stati Uniti ci sono anche Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Vietnam e India, rispettivamente il quinto, il sesto, l’ottavo, il nono e il decimo paese per interscambio commerciale degli Stati Uniti, legati a questi paesi sia per il settore tecnologico – Taiwan è il primo sviluppatore e produttore di chip al mondo – sia per la manifattura.
Gli altri paesi più a rischio sono quelli europei. I 27 paesi dell’Unione Europea nel loro complesso sono il primo partner commerciale degli Stati Uniti. Considerarli insieme ha un suo senso, poiché l’Unione Europea è anche un’unione doganale: significa non solo che tra i paesi al suo interno non ci sono dazi o vincoli al commercio, ma anche che con gli altri paesi si relaziona come un’entità unica. Tutti i paesi dell’Unione applicano e sono sottoposti agli stessi dazi: l’Italia non può imporre di sua spontanea volontà un dazio sul formaggio prodotto negli Stati Uniti, solo l’Unione Europea può farlo, così come gli Stati Uniti non possono imporre dazi sul formaggio proveniente dall’Italia, ma solo da quello proveniente dall’Unione.

Barre in acciaio in un impianto manifatturiero in Texas, nel 2018 (AP Photo/David J. Phillip)
L’Unione Europea è molto esposta al commercio con gli Stati Uniti soprattutto sul fronte dell’energia: dall’inizio della guerra in Ucraina gli Stati Uniti sono diventati tra i primi fornitori di gas in sostituzione della Russia, e il primo paese di destinazione per il loro gas. Qualora Trump decida di imporre dazi sui prodotti europei, l’Unione avrebbe dunque molto da perdere in eventuali ritorsioni, poiché in ballo c’è la sicurezza energetica del continente.
Da settimane si parla infatti della possibilità che l’Unione Europea stia pensando di impegnarsi in acquisti superiori di energia proprio per tentare di compiacere gli Stati Uniti e cercare di evitare dazi: allo stesso tempo avrebbe già preparato una lista di prodotti statunitensi da sottoporre a dazi, come le moto Harley Davidson, alcuni prodotti agroalimentari, il bourbon e il whiskey.
Il senso di considerare i paesi europei come un’entità unitaria finisce però qui. Ogni paese ha un suo legame con gli Stati Uniti, così come una diversa esposizione commerciale: e dunque una diversa esposizione ai dazi minacciati da Trump. Il paese europeo più esposto è la Germania, uno stato storicamente esportatore e in una grave crisi economica. La Germania è il quarto paese per interscambio commerciale per gli Stati Uniti, che a loro volta sono il primo partner per la Germania. Verso gli Stati Uniti esporta quasi 160 miliardi di dollari di merci, circa il doppio di quanti ne importa: sono perlopiù prodotti chimici, macchinari, componenti e prodotti farmaceutici.
Tra i paesi europei sono poi molto esposti Paesi Bassi, Francia e anche l’Italia, rispettivamente l’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo partner commerciale degli Stati Uniti. L’Italia scambia con gli Stati Uniti oltre 100 miliardi di dollari di merce, circa 92 miliardi di euro: 67 miliardi di euro sono le esportazioni italiane negli Stati Uniti, e 25 miliardi le importazioni dagli Stati Uniti. Esporta perlopiù macchinari, articoli farmaceutici e mezzi di trasporto, mentre importa farmaci, prodotti dell’estrazione di minerali e materie prime.
Gli Stati Uniti sono il terzo paese di destinazione delle merci italiane, e le regioni più esposte sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Veneto e il Piemonte, che insieme esportano più di due terzi delle esportazioni complessive negli Stati Uniti.
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