La mozione di sfiducia contro von der Leyen è stata respinta

Come previsto, ma ha comunque mostrato le difficoltà politiche della presidente della Commissione Europea

Ursula von der Leyen al Parlamento Europeo l'8 luglio
Ursula von der Leyen al Parlamento Europeo l'8 luglio (AP Photo/Pascal Bastien)
Caricamento player

Giovedì il Parlamento Europeo ha bocciato la mozione di sfiducia nei confronti della Commissione Europea e della sua presidente Ursula von der Leyen. Era ampiamente previsto che non venisse approvata: serviva infatti una maggioranza di due terzi (quindi almeno 480 europarlamentari su 719) che non c’era e prima del voto si era diviso anche il gruppo di destra che l’aveva presentata, i Conservatori e Riformisti (ECR). Alla fine, su 553 europarlamentari presenti, 360 hanno votato contro, 175 a favore e solo 18 si sono astenuti.

L'esito della votazione

L’esito della votazione (EBS)

Il voto aveva comunque un grosso valore politico, perché aveva portato allo scoperto le tensioni nella maggioranza europeista che aveva consentito la rielezione di von der Leyen e che è delusa da alcune decisioni del suo gruppo, il Partito Popolare Europeo (PPE, di centrodestra). Durante la votazione, peraltro, von der Leyen non era in aula a Strasburgo, ma a Roma per la conferenza sulla ripresa dell’Ucraina, organizzata dal governo italiano. Ha ringraziato con un messaggio sui social presentandola come una vittoria contro «le forze esterne che provano a destabilizzarci e dividerci».

Come ci siamo arrivati
Era dal 2014 che non veniva votata una mozione di censura, ossia di sfiducia, contro la Commissione Europea. L’ha presentata l’europarlamentare romeno Gheorghe Piperea, del partito di estrema destra Alleanza per l’unità dei romeni (AUR), che fa parte di ECR. Già il fatto che la mozione avesse raggiunto il numero di firme necessario a essere discussa – almeno 72 – era stato considerato un brutto segnale per von der Leyen. Oltre a europarlamentari di ECR, l’hanno sostenuta gli altri gruppi di estrema destra: i Patrioti per l’Europa ed Europe of Sovereign Nations.

– Leggi anche: Cos’è il “Pfizergate”

La mozione riguardava il cosiddetto “Pfizergate”, un caso legato a come nel 2021 von der Leyen negoziò direttamente con l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla, anche scambiandosi sms con lui, la fornitura di circa 1,8 miliardi di dosi di vaccino contro il Covid-19. I messaggi divennero oggetto di interesse giornalistico e diverse testate chiesero di vederli, ma la Commissione si rifiutò di renderli pubblici dicendo che erano irreperibili, senza specificare in che modo fossero spariti. Il New York Times fece causa e a maggio di quest’anno il Tribunale dell’Unione europea (uno dei due tribunali che compongono il sistema giudiziario europeo) ha dato ragione alla testata. Per i gruppi di estrema destra, strumentalizzare il “Pfizergate” è anche un modo per dare contro alla Commissione.

L’antefatto del voto
La mozione votata oggi era già stata discussa lunedì. Il dibattito era stato notevole, anche se von der Leyen non aveva dato nuovi dettagli sul “Pfizergate”. La presidente si era limitata a difendere il suo operato con toni molto duri e attacchi agli avversari, inusuali per il suo stile politico piuttosto compassato: aveva accusato Piperea di essere un «estremista» e chi appoggiava la mozione di fare il gioco del presidente russo Vladimir Putin. Soprattutto, la discussione era diventata una specie di resa dei conti tra il PPE e gli altri due gruppi che sostengono la presidente: i Socialisti e Democratici (S&D, di centrosinistra) e i liberali di Renew Europe.

– Leggi anche: Il Green Deal europeo non è più quello di una volta

Entrambi questi gruppi sono indispettiti dalle concessioni che von der Leyen ha fatto negli ultimi mesi al PPE, soprattutto annacquando varie misure per la tutela dell’ambiente. In varie occasioni il PPE ha votato insieme ai gruppi di estrema destra, di fatto costruendo una maggioranza alternativa. Lunedì le leadership sia di S&D sia di Renew avevano in pratica chiesto al PPE di scegliere da che parte stare, minacciando un voto di astensione, che poi non c’è stato. Molte astensioni nella maggioranza, che peraltro è quella con il margine più ridotto dal 1993, avrebbero segnalato un indebolimento politico ancora più significativo per von der Leyen. È rilevante, comunque, che diversi deputati di S&D, di Renew e dei Verdi abbiano deciso di non partecipare alla votazione.

Ursula von der Leyen durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo, l'8 luglio a Strasburgo

Ursula von der Leyen durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo, l’8 luglio a Strasburgo (Philipp von Ditfurth/dpa)

Cosa c’entra Giorgia Meloni 
La mozione di sfiducia ha spaccato i Conservatori e Riformisti, il gruppo che l’aveva proposta. Una delle principali ragioni è che ne fa parte Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, che con von der Leyen ha un buon rapporto. I sostenitori della mozione sono però alleati piuttosto stretti di Meloni, come AUR e il partito sovranista polacco Diritto e Giustizia, e questo le ha creato un grosso problema politico.

Durante il dibattito Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia, il co-presidente di ECR, aveva rimproverato i suoi alleati definendo la mozione un’iniziativa perdente e che favorisce i gruppi europeisti, dando loro l’occasione di ricompattarsi. Procaccini ha sostenuto, non a torto, che l’attuale Commissione sia molto più a destra della precedente, e che quindi al suo gruppo non conveniva sfiduciarla. Anche i partiti della coalizione di Meloni hanno votato in modo discordante tra loro, come accade spesso sulle questioni europee: Forza Italia (che fa parte del PPE) ha votato contro, mentre la Lega (nei Patrioti) a favore. Fratelli d’Italia alla fine non ha partecipato alla votazione, dopo che aveva inizialmente annunciato che avrebbe votato contro.

Mediazioni più o meno riuscite
Soprattutto i Socialisti hanno visto nella mozione di sfiducia l’occasione per dimostrare a von der Leyen il loro disappunto e spingerla a fare concessioni (sono il secondo gruppo per numero di seggi dopo il PPE, ma nella Commissione sono in netta minoranza ed esprimono solo quattro commissari, su 27 totali). Von der Leyen ha accolto la principale delle loro richieste per il prossimo budget pluriennale 2021-2027, che sarà presentato mercoledì prossimo: non tagliare i fondi per i programmi sociali, come invece von der Leyen stava valutando di fare in favore dell’industria e della spesa militare. Alla fine, si sono accontentati di un impegno per votare contro. Renew ha fatto lo stesso, spiegando di non voler favorire l’estrema destra.

In questi giorni, proprio mentre von der Leyen si mostrava più disponibile con Socialisti e Renew, il suo gruppo frustrava nuovamente le loro aspettative – loro e dei Verdi, che a inizio legislatura si erano candidati a entrare nella maggioranza. Grazie ai voti del PPE, infatti, martedì l’incarico di negoziare per conto del Parlamento Europeo sugli obiettivi ambientali dell’Unione entro il 2040 è stato assegnato ai Patrioti, cioè a un gruppo di estrema destra che chiedeva di smantellare il Green Deal. Mercoledì sempre il PPE ha sventato un tentativo dei gruppi progressisti di limitare l’influenza dei Patrioti, bocciando una mozione che avrebbe ridotto i margini d’intervento del relatore dei provvedimenti (cioè l’incarico dato martedì).

Questo ultimo caso è emblematico delle tensioni che restano nella maggioranza, e che si ripresenteranno nei prossimi mesi.

– Leggi anche: Per Meloni la mozione di sfiducia contro la Commissione Europea è una bella grana