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  • Martedì 24 giugno 2025

L’avevamo trovato, un modo per risolvere pacificamente la questione del nucleare iraniano

Accadde dieci anni fa, e fu Trump a far saltare tutto

Barack Obama e Nancy Pelosi con una copia del testo dell'accordo sul nucleare iraniano (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
Barack Obama e Nancy Pelosi con una copia del testo dell'accordo sul nucleare iraniano (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
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La guerra fra Iran e Israele, e in generale l’aumento delle violenze e dei combattimenti in tutto il Medio Oriente, sono strettamente legati a quello che accadde a un accordo sullo sviluppo del nucleare iraniano che venne firmato nel 2015 dopo un’enorme sforzo diplomatico, e poi di fatto smantellato da Donald Trump durante il suo primo mandato da presidente degli Stati Uniti.

In questi giorni si sta molto parlando dell’accordo del 2015 come di un bivio significativo: se gli Stati Uniti non lo avessero cancellato, forse, non sarebbe avvenuta una guerra aerea nella quale sono state uccise centinaia di persone, con il rischio di un ulteriore allargamento ad altri paesi. Non abbiamo argomenti per poterlo sostenere: sappiamo però che uscendo dall’accordo si sono realizzate esattamente le condizioni che i critici dell’accordo temevano di più.

Da dove arrivava l’accordo
Dopo anni di isolamento internazionale, nel 2013 in Iran venne eletto presidente Hassan Rouhani, uno dei leader politici più moderati mai espressi dal regime. L’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama colse l’occasione e spinse per avviare dei negoziati la cui base fosse questa: i paesi occidentali si sarebbero impegnati a ridurre le sanzioni economiche nei confronti dell’Iran in cambio di un monitoraggio indipendente del suo programma nucleare.

– Leggi anche: Cosa significa essere “moderati” o “riformisti” in Iran

Prima di allora l’Iran aveva sempre sostenuto che lo scopo del programma fosse sviluppare delle centrali nucleari per scopi civili, ossia generare energia nucleare. Il resto del mondo temeva però che un regime fondamentalmente illiberale e legato a gruppi armati in giro per il Medio Oriente – su tutti Hezbollah e Hamas, oltre all’esercito regolare del regime siriano di Bashar al Assad – stesse cercando un modo per dotarsi della bomba atomica.

I negoziati iniziarono alla fine del 2013 e durarono quasi due anni. Oltre all’Iran partecipava un gruppo di paesi denominati “5+1”, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania. La fase finale delle trattative iniziò nel marzo del 2015 a Losanna, in Svizzera: prima della firma furono necessarie quasi 48 ore di riunioni ininterrotte. L’accordo fu firmato infine il 2 aprile. Si intitolava: Parametri di un piano di azione comprensivo congiunto riguardo al programma nucleare della Repubblica islamica dell’Iran, abbreviato nella sigla JCPOA.

L’allora segretario di Stato statunitense John Kerry e il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif (AP Photo/Craig Ruttle, File)

Cosa prevedeva l’accordo, in breve
L’Iran accettava di limitare il suo programma nucleare a un livello compatibile con l’uso esclusivamente civile, e di permettere regolari ispezioni delle sue centrali da parte dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Accettò di non arricchire l’uranio al di là della soglia del 3,67 per cento per almeno 15 anni (la soglia sopra la quale tradizionalmente lo si considera destinato a uso militare è del 5 per cento). Il sito nucleare di Fordo, il più importante e protetto perché scavato dentro a una montagna, sarebbe stato riconvertito a centro di ricerca sul nucleare per fini pacifici.

L’Occidente si impegnò a rimuovere progressivamente le sanzioni, di pari passo con le ispezioni della AIEA. L’accordo entrò ufficialmente in vigore il 1° gennaio del 2016.

– Ascolta: La puntata di Wilson di Francesco Costa sull’accordo sul nucleare iraniano

Rischi e dubbi
I critici dell’accordo, soprattutto negli Stati Uniti, sostenevano che l’Iran avrebbe approfittato della sospensione delle sanzioni per sviluppare in segreto la bomba atomica e per armare milizie in tutto il Medio Oriente, legittimando la sua posizione di forza. Altri facevano notare poi che l’accordo non chiedeva all’Iran impegni che andassero oltre alla questione nucleare: e quindi, senza le sanzioni, il regime avrebbe potuto dedicare ancora più risorse e denaro a destabilizzare il Medio Oriente, a sostenere Hamas ed Hezbollah e a rafforzare il proprio arsenale di missili balistici, mantenendo la propria capacità di usare la forza per minacciare Israele e perseguire i suoi obiettivi.

Marco Rubio, oggi segretario di Stato ma che nel 2015 si era appena candidato alle primarie dei Repubblicani per le imminenti elezioni presidenziali, in una lunga conversazione con l’Atlantic criticò duramente Obama per aver sostenuto l’accordo. Rubio disse che l’Iran sarebbe riuscito comunque a sviluppare una bomba atomica, e che avrebbe sfruttato la crescita economica per finanziare diversi gruppi radicali. «Non credo li useranno per costruire strade e ospedali», disse. «Se la storia ci insegna qualcosa li useranno per ampliare il loro raggio d’azione, e quindi appoggiare Assad, Hezbollah, i movimenti radicali in Bahrain, gli Houthi nello Yemen, e molti altri».

L’Iran lo rispettò?
In un primo momento sì, a parte qualche limitata violazione, peraltro comunicata all’AIEA: l’arricchimento dell’uranio fu di fatto interrotto. I paesi occidentali rimossero le sanzioni fra cui in particolare quelle sulle esportazioni di petrolio, che aumentarono rapidamente. Gli Stati Uniti e diversi paesi europei sbloccarono beni iraniani che si trovavano all’estero per un valore di circa 100 miliardi di dollari. Per il 2017 ci si aspettava che il PIL iraniano sarebbe cresciuto del 4,6 per cento. Poi cambiò tutto.

La decisione di Trump
Fin dall’inizio della sua candidatura alle primarie Repubblicane del 2015, Trump criticò moltissimo l’accordo sul nucleare iraniano, spiegando che se fosse stato eletto avrebbe fatto in modo che gli Stati Uniti ne uscissero.

Le ragioni per cui Trump prese questa posizione furono soprattutto quattro: la notevole impopolarità dell’accordo nell’elettorato statunitense, soprattutto in quello Repubblicano; la necessità perlopiù elettorale di opporsi a parole a tutte le principali misure approvate nei due mandati dell’amministrazione Obama; la volontà di Trump di legittimarsi nell’ala più radicale del partito, molto legata a Israele e al governo nazionalista guidato da Benjamin Netanyahu; e una percezione trasversale che gli statunitensi volessero disimpegnarsi dal Medio Oriente, dopo le invasioni in Afghanistan e Iraq.

Trump vinse le elezioni presidenziali del 2016 e nel 2018 annunciò il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo.

Cos’è successo in seguito
I paesi europei si dichiararono disponibili a mantenere in piedi l’accordo, ma senza la presenza degli Stati Uniti – che serviva anche come garanzia del fatto che Israele non avrebbe attaccato direttamente l’Iran, se fosse rimasto in piedi un accordo del genere – tutto crollò in breve tempo.

Nel 2021 alle elezioni iraniane fu eletto un esponente ultra-conservatore e molto ostile a nuovi accordi con gli Stati Uniti, Ebrahim Raisi.

Durante la sua presidenza Raisi rilanciò il programma nucleare e bloccò le ispezioni internazionali agli impianti. Contestualmente l’Iran continuò a finanziare e addestrare vari gruppi militari radicali per aumentare la propria influenza in Medio Oriente: come detto sono strettamente legate all’Iran soprattutto Hezbollah, gli Houthi e le milizie che tenevano in piedi Assad. In politica estera intensificò i rapporti commerciali e la collaborazione con Russia e Cina, allontanando quindi l’Iran dall’Occidente.

Le opinioni dei critici dell’accordo non erano infondate, ma dopo averlo stracciato successero proprio le cose che i critici dicevano di temere di più: un rapido sviluppo delle capacità iraniane di arricchimento dell’uranio, e un nuovo forte sostegno offerto dall’Iran a gruppi radicali in tutto il Medio Oriente.

Raisi è morto nel maggio del 2024 in un incidente in elicottero. Due mesi dopo le elezioni presidenziali sono state vinte dal candidato riformista Masoud Pezeshkian, che da subito si è detto disponibile ad avviare negoziati per un nuovo accordo sul nucleare.

Nel frattempo infatti l’economia iraniana è di nuovo peggiorata per via della ripresa delle sanzioni economiche, e la società civile è diventata assai frammentata a causa delle sempre più frequenti proteste contro il regime. Negli ultimi anni gli attacchi di Israele contro i suoi sistemi di difesa e contro tutti i suoi maggiori alleati nella regione hanno reso il regime sensibilmente più debole.

Un tentativo di riprendere i negoziati è stato portato avanti anche da Trump, di recente. Tra aprile e giugno i funzionari statunitensi e iraniani si sono parlati e incontrati per cercare un accordo. Poi però Israele ha iniziato a bombardare l’Iran causando danni ingenti ai suoi siti nucleari, oltre che la morte di centinaia di civili. Anche sfruttando questi successi Netanyahu è riuscito a convincere Trump del fatto che soltanto distruggendo il sito di Fordo l’Iran sarebbe stato sconfitto su tutta la linea e spinto a trattare, peraltro da una condizione di ulteriore debolezza.

Nelle prime ore di domenica gli Stati Uniti hanno bombardato la centrale di Fordo, oltre ad altri siti del nucleare iraniano, entrando di fatto in guerra contro l’Iran e a fianco di Israele.

Dall’uscita degli Stati Uniti dall’accordo originario l’Iran è andato più vicino alla realizzazione di un’arma atomica, i gruppi radicali che finanzia hanno alimentato violenze e tensioni in tutto il Medio Oriente, e ora gli Stati Uniti si trovano di nuovo coinvolti in una guerra nella regione.