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  • Venerdì 20 giugno 2025

I danni dei bombardamenti iraniani in Israele

Molti, seppure minori di quelli causati da Israele in Iran: oltre 5mila persone sfollate, 800 feriti, 24 morti e la costante ricerca di un rifugio antiaereo

Un appartamento distrutto a Ramat Gan (AP Photo/Oded Balilty)
Un appartamento distrutto a Ramat Gan (AP Photo/Oded Balilty)
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Dopo otto giorni di bombardamenti i missili iraniani lanciati su Israele hanno causato danni consistenti, seppur di gran lunga minori di quelli causati in Iran dai bombardamenti israeliani. Dal 13 giugno si stima che l’Iran abbia lanciato circa 400 missili contro il paese: più del 90 per cento è stato intercettato dalle difese aeree israeliane, fra le più avanzate ed efficaci al mondo. Ma un certo numero di missili è riuscito a superarle: 24 persone sono state uccise, più di 800 ferite e ci sono stati danni anche molto pesanti a edifici e infrastrutture.

In Iran i dati ufficiali sulle persone uccise sono fermi da domenica. Secondo i dati di una ong statunitense che si occupa di Iran, sono state uccise finora 657 persone e più di 2mila sono state ferite.

I missili iraniani hanno colpito principalmente la capitale israeliana Tel Aviv e le città dei sobborghi, ma ci sono stati attacchi anche su Haifa, a nord, e su Be’er Sheva, a sud, dove giovedì è stato colpito un grosso ospedale. I missili hanno colpito complessi industriali (in particolare uno petrolchimico ad Haifa), uffici, ma anche molte zone residenziali, distruggendo case, zone commerciali, una scuola religiosa a Bnei Brak e un centro di ricerca scientifico a Rehovot, entrambi a sud di Tel Aviv.

Secondo il ministero dell’Interno israeliano 5.110 persone sono sfollate e senza una casa a causa degli attacchi, di cui circa 900 a Tel Aviv.

L’ospedale Soroka di Be’er Sheva (AP Photo/Leo Correa)

Per molti altri cittadini israeliani gli allarmi aerei e la ricerca di un rifugio sono diventati la nuova normalità. Gli attacchi sono spesso notturni e gli allarmi arrivano sui telefoni dei cittadini israeliani circa 10 minuti prima dell’arrivo previsto del missile: bisogna quindi muoversi molto rapidamente per raggiungere i rifugi. Per gli edifici costruiti dopo il 1992 (circa la metà del totale) la legge israeliana impone la presenza di cosiddette mamads: stanze rinforzate con pareti in cemento armato, porte isolanti e finestre antiurto, progettate per offrire un livello minimo di sicurezza durante un attacco. Non sono però in grado di resistere all’impatto di un missile balistico, per il quale servirebbero dei bunker sotterranei.

Nei quartieri più popolati, popolari e con gli edifici più vecchi invece questi rifugi privati non esistono e le persone utilizzano i rifugi e i bunker pubblici, chiamati miklatim. Ce ne sono circa 12mila in Israele, ma negli ultimi decenni la loro manutenzione è stata spesso trascurata e circa la metà è inutilizzabile o in pessime condizioni.

Un parcheggio sotterraneo di Tel Aviv (AP Photo/Bernat Armangue)

In questi giorni nei quartieri di Tel Aviv più colpiti dagli attacchi gli abitanti hanno talvolta dormito in cantine, parcheggi o stazioni sotterranee. Il quotidiano israeliano Haaretz ha raccontato la riapertura di un grande rifugio antiaereo nella zona sud di Tel Aviv, quella dove i rifugi privati sono meno diffusi: è all’interno della stazione dei bus, un enorme complesso che negli ultimi anni ha vissuto un certo degrado e un utilizzo parziale. Era chiuso da decenni e può ospitare fino a 16mila persone, ma dietro una grande porta rossa ci sono principalmente stanzoni vuoti: chi vuole usarlo come rifugio deve portarsi tutto da casa.

Un stazione della metropolitana a Ramat Gan, vicino a Tel Aviv (AP Photo/Oded Balilty)

L’accesso ai rifugi è particolarmente complesso nelle città a maggioranza araba, la cui popolazione è sistematicamente discriminata dal governo israeliano del primo ministro Benjamin Netanyahu, di estrema destra. Fra le persone uccise nel paese, quattro facevano parte della stessa famiglia palestinese-israeliana che viveva in un complesso residenziale di Tamra, nel nord, colpito da un missile iraniano: non avevano ricevuto i consueti messaggi di allerta.

Da otto giorni il governo chiede ai cittadini israeliani di ridurre al minimo gli spostamenti e di non andare al lavoro: da mercoledì c’è stato un lieve allentamento di queste misure e ad alcune persone è stato permesso di tornare al lavoro, se gli edifici hanno adeguati rifugi antiaerei.

Dopo l’inizio della guerra è anche entrato in vigore un nuovo regolamento della censura militare israeliana che impone il controllo preventivo del materiale fotografico e video riguardante i siti colpiti dagli attacchi iraniani: prima della pubblicazione sui media ogni immagine deve essere approvata, per quelle che la direttiva definisce ragioni di “sicurezza nazionale”. Finora il regolamento non è stato interpretato in modo restrittivo, e foto e video sono stati perlopiù diffusi. Non si applica, in ogni caso, ai privati cittadini che caricano le immagini sui social media.

Una donna in una casa colpita da un missile a Holon (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

L’attacco iraniano che ha causato più vittime è quello compiuto domenica mattina su Bat Yam, a sud di Tel Aviv, nel quale sono state uccise dieci persone. Giovedì è stato bombardato l’ospedale Soroka di Be’er Sheva, nella parte centrale di Israele e a sud di Tel Aviv: non ci sono notizie di persone uccise, anche per via degli avvisi che hanno permesso alle persone di trovare riparo, ma i feriti sono stati più di 200 e la struttura è stata parecchio danneggiata.

I Guardiani della rivoluzione, il più potente corpo militare dell’Iran, attraverso l’agenzia di stampa Fars hanno detto che gli obiettivi dei bombardamenti erano strutture militari vicine all’ospedale, in particolare due basi dell’intelligence nel Gav-Yam Advanced Technologies Park. Da oltre un anno e mezzo Israele bombarda e attacca gli ospedali della Striscia di Gaza sostenendo che nascondano basi o strutture di Hamas, ma senza portare prove consistenti di queste accuse. La maggior parte degli ospedali della Striscia non è più operativa.

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