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  • Lunedì 16 giugno 2025

Per i palestinesi di Israele non ci sono abbastanza rifugi antiaerei

Scarseggiano nelle città a maggioranza araba, mentre sono presenti in modo capillare in quelle a maggioranza ebraica

L'edificio distrutto da un missile iraniano a Tamra, nel nord d'Israele (David Cohen/Ansa)
L'edificio distrutto da un missile iraniano a Tamra, nel nord d'Israele (David Cohen/Ansa)
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Nella notte tra sabato e domenica un missile balistico lanciato dall’Iran ha colpito un edificio di due piani a Tamra, una città a maggioranza palestinese che si trova a circa 20 chilometri da Haifa, nel nord d’Israele. Nell’attacco sono state uccise quattro persone: Manar Khatib, un’insegnante locale; sua cognata Manar Diab; e le sue due figlie, Shatha e Hala.

L’attacco ha evidenziato una condizione comune a molte città israeliane abitate in prevalenza da persone arabe e palestinesi: la mancanza di rifugi antiaerei in cui ripararsi in caso di bombardamenti. È una grossa differenza rispetto alle città a maggioranza ebraica, dove nel corso degli anni è stata costruita un’efficace rete di bunker e rifugi sotterranei finanziata dal governo.

In assenza di bunker, in caso di attacco l’unica opzione per gli abitanti è cercare protezione all’interno delle case. Per gli edifici costruiti dopo il 1992 la legge israeliana impone la costruzione delle cosiddette mamad: stanze rinforzate con pareti in cemento armato, porte isolanti e finestre antiurto, progettate per offrire un livello minimo di sicurezza durante un attacco. Tuttavia queste stanze non sono in grado di resistere all’impatto di un missile balistico, per il quale servirebbero appunto dei bunker sotterranei.

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L’edificio colpito a Tamra disponeva di due mamad: al momento dell’attacco, la famiglia Khatib si trovava in una di queste stanze. Il sindaco di Tamra Mussa Abu Rumi ha detto che solo il 40 per cento delle famiglie di Tamra dispone di una mamad, e che nonostante le molte sollecitazioni in città non è mai stato costruito un rifugio sotterraneo pubblico. Secondo un rapporto del 2020 del Revisore generale dello stato israeliano (una figura simile alla Corte dei conti italiana) solo 11 città a maggioranza palestinese su 71 dispongono di rifugi pubblici. In tre di queste è presente un solo rifugio per tutta la popolazione, e sono spesso in condizioni inadeguate all’uso.

Tamra dopo il bombardamento iraniano, il 15 giugno (David Cohen/Jini/Xinhua via ZUMA Press)

I palestinesi di Israele costituiscono circa il 20 per cento della popolazione, e pur essendo a tutti gli effetti cittadini israeliani sono da sempre soggetti a pesanti forme di discriminazione politica e sociale. Vivono per la maggior parte nelle zone più povere e meno sviluppate del paese, e hanno generalmente livelli di istruzione più bassi.

La comunità si formò in seguito alla Nakba, cioè l’esodo forzato e violento dei palestinesi dalle loro terre dopo la guerra del 1948 tra Israele e i paesi arabi e palestinesi. Dal 1966 i palestinesi di Israele hanno formalmente tutti i diritti e i doveri degli altri cittadini israeliani, tranne la leva obbligatoria (che per gli arabi è facoltativa), ma nella pratica hanno molte limitazioni nelle libertà civili, politiche e sociali.

Sono inoltre visti in modo ostile dalla destra ed estrema israeliane (che sostiene l’attuale governo di Benjamin Netanyahu) e degli ebrei ultraortodossi, che vedono nell’aumento della popolazione palestinese israeliana una minaccia al progetto politico di uno stato ebraico. Anche per questo negli anni è diventato sempre più complicato per i palestinesi ottenere la cittadinanza israeliana.