I nuovi guai per il complesso extralusso che Jared Kushner vuole costruire a Belgrado
E per il ruolo del governo serbo nella faccenda, che ha provato a ingraziarsi Trump aggirando diverse regole

Fin dal primo momento in cui è stato presentato, il progetto di un complesso extralusso voluto da Jared Kushner a Belgrado è stato problematico. Nelle ultime settimane contro l’iniziativa del genero di Donald Trump sono state presentate azioni legali, che si sono aggiunte alle critiche al governo nazionalista serbo accusato di aggirare la legge pur di ingraziarsi la famiglia Trump.
L’edificio in questione è il Generalštab, che fu la sede dello Stato maggiore generale (da qui il nome in serbo) prima della Jugoslavia e poi della Serbia. È considerato un capolavoro dell’architettura modernista, ma la ragione del suo valore storico, e quindi dei vincoli urbanistici a cui era sottoposto, è soprattutto un’altra. È diroccato da quando fu bombardato dalla NATO nel 1999. Anche se all’epoca era praticamente inutilizzato, il Generalštab divenne una specie di memoriale di quei bombardamenti e delle sofferenze che comportarono.
Per questo, è sempre stato funzionale alla narrazione nazionalista di stato, che ha strumentalizzato le rovine per presentare il paese come vittima di un ingiustificato attacco occidentale, tralasciando la pulizia etnica che l’esercito serbo stava facendo in Kosovo.

Il Generalštab danneggiato dai bombardamenti della NATO, il 30 aprile del 1999 (EPA)
Il progetto contestato prevede che la società di investimento di Kushner (Affinity Partners) costruisca al posto del Generalštab un hotel di lusso da 175 camere e un complesso residenziale da oltre 1.500 appartamenti. Il progetto prevede anche un museo, in una concessione al suo passato.
A maggio dell’anno scorso Kushner aveva trovato un accordo col governo serbo. Il testo prevedeva la cessione in comodato d’uso gratuito del complesso per 99 anni da parte della Serbia, che in cambio avrebbe ricevuto il 22 per cento dei ricavi. Il Generalštab però era vincolato: non poteva essere demolito, e ovviamente non poteva diventare una nuova Trump Tower come prospettato da Kushner.
Il governo nazionalista del presidente Aleksandar Vučić voleva fare di tutto per accontentare gli statunitensi, con l’obiettivo esplicito di ingraziarsi Trump. Questo nonostante le polemiche e le contestazioni, sia di una nutrita parte della popolazione sia della soprintendenza. Alla fine a novembre dell’anno scorso le tutele sul complesso erano state rimosse, una settimana dopo che Trump aveva vinto le presidenziali.
Per togliere il Generalštab dalla lista dei siti protetti, al governo occorreva l’assenso dell’istituto pubblico di soprintendenza (che si chiama Zavod za zaštitu spomenika kulture, “Istituto per la protezione dei monumenti culturali”). L’istituto, dove lavorano architetti e storici dell’arte, però si era detto subito contrario. Allora era intervenuto Sinisa Mali, il potente ministro delle Finanze serbo che tra l’altro è molto vicino a un fedelissimo di Trump: l’ex ambasciatore in Germania, Richard Grenell.

Richard Grenell riceve un’onorificenza dal presidente serbo Aleksandar Vučić, nell’ottobre del 2023 (EPA/DIMITRIJE GOLL/ SERBIAN PRESIDENCY/ HANDOUT)
A giugno del 2024 Mali aveva convocato l’allora direttrice dell’istituto, Dubravka Đukanović, e le aveva intimato di approvare la rimozione oppure di dimettersi. Đukanović si era dimessa. A quel punto il ministero della Cultura aveva nominato un nuovo direttore, Goran Vasić, che poi aveva accolto la richiesta. La maggioranza dei dipendenti dell’istituto si era opposta e, quando a novembre la revoca dello status era diventata ufficiale, aveva scritto una lettera in cui accusava il governo di aver violato la legge. Estela Radonjic Zivkov, all’epoca vicedirettrice, ha raccontato al New York Times che ricevette chiamate minacciose dei servizi segreti. Provarono a dissuaderla dall’inviare la lettera, invano.
Il personale dell’istituto aveva comunque provato a opporsi come poteva, anche se alla fine tutto dipendeva dal direttore. Quello nuovo, Vasić, era impermeabile alle loro obiezioni, condivise anche da Europa Nostra (una rete di associazioni di salvaguardia dei beni artistici e naturali) e da larga parte della scena culturale serba.

Un particolare della facciata del Generalštab oggi (foto di Europa Nostra su Flickr)
A gennaio i dipendenti avevano detto che si sarebbero rifiutati di cancellare il Generalštab dalla lista dei siti protetti, sostenendo che non erano stati rispettati i requisiti. Ad aprile avevano denunciato Vasić per aver violato la procedura: per non averli consultati prima della decisione sul Generalštab e per averla trasmessa al governo tenendo all’oscuro l’istituto senza ricorrere ai canali di comunicazione ufficiali.
A metà maggio Vasić è stato incriminato per abuso di potere, con l’accusa di aver falsificato un atto pubblico.
Non è chiaro quanto dureranno le indagini, né che impatto avranno sulla riqualificazione vista la volontà politica del governo di farla procedere. Il governo di Vučić ha minimizzato tutto, negando che fossero stati falsificati documenti. Il New York Times ha scritto che, subito dopo la notizia dell’incriminazione di Vasić, l’avvocato della società di Kushner è accorso a Belgrado in aereo e i suoi interlocutori nel governo serbo lo avrebbero rassicurato: non era nulla di grave, solo un piccolo problema amministrativo.
I rendering dei progetti di Kushner nei Balcani, diffusi da lui
Nel frattempo, la vicenda è diventata un problema anche per Vučić, che da mesi è contestato da vaste proteste antigovernative. Ce ne sono state anche sotto al Generalštab, sia studentesche sia per l’anniversario dei bombardamenti della NATO.
Trump si interessò al progetto a Belgrado una prima volta nel 2013, ma non se ne fece niente. L’idea riprese trazione dopo la fine del suo primo mandato, su iniziativa di Grenell. La società di Kushner ha risposto alle critiche su un possibile conflitto d’interessi sostenendo che, in questa ultima versione, era iniziato prima del ritorno alla Casa Bianca di Trump. Quelli a Belgrado, peraltro, non sono gli unici affari della famiglia Trump nei Balcani, che ha due grandi progetti per la costruzione di resort in Albania, anche quelli molto discussi per possibili favoritismi e conflitti di interesse.
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