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  • Lunedì 22 giugno 2020

Gli Stati Uniti si stanno mettendo sempre più in mezzo tra Kosovo e Serbia

Con le uscite a sorpresa di Richard Grenell, uno degli alleati più controversi di Trump, senza consultare i diplomatici europei, e schierandosi più con la Serbia

Richard Grenell, a sinistra, e il presidente serbo Aleksandar Vučić (AP Photo/Darko Vojinovic)
Richard Grenell, a sinistra, e il presidente serbo Aleksandar Vučić (AP Photo/Darko Vojinovic)

La settimana scorsa Richard Grenell, inviato del governo statunitense per i negoziati di pace tra Serbia e Kosovo, ha inaspettatamente annunciato su Twitter di aver organizzato un incontro a Washington il 27 giugno tra il presidente kosovaro Hashim Thaçi e quello serbo Aleksandar Vučić. L’annuncio è stato accolto con sorpresa e con parecchia diffidenza da diversi diplomatici europei che si occupano di Balcani, per due ragioni: perché è stato visto come un tentativo di mettere da parte l’Unione Europea nel processo di pace tra i due paesi, ignorando le preoccupazioni sul crescente autoritarismo di Vučić in Serbia; e perché è arrivato da Grenell, uno degli alleati più radicali e controversi del presidente statunitense Donald Trump.

https://twitter.com/RichardGrenell/status/1272566747183280129

I rapporti tra Serbia e Kosovo sono tesi da moltissimi anni. Fino a poco più di dieci anni fa, infatti, il Kosovo faceva parte della Serbia. Nel 1999 le forze NATO intervennero con una campagna militare aerea per proteggere la maggioranza della popolazione kosovara, musulmana, dallo sterminio e dalla pulizia etnica portata avanti dal governo serbo. Il Kosovo si autoproclamò indipendente dalla Serbia nel 2008, ma la sua sovranità ancora oggi non è riconosciuta internazionalmente, a causa soprattutto dell’opposizione della Russia, alleata della Serbia. Dalla fine della guerra ci sono stati molti tentativi di normalizzare i rapporti tra i due paesi, per lo più da parte dell’Unione Europea, che però finora non hanno portato a risultati definitivi.

Lo scorso ottobre, con una mossa poco convenzionale, il presidente statunitense Trump ha nominato Richard Grenell inviato speciale per i negoziati di pace tra Kosovo e Serbia. La nomina di Grenell, personaggio estremamente controverso e discusso, aveva fatto storcere il naso a diversi diplomatici europei: sia perché gli Stati Uniti avevano già un inviato speciale nei Balcani, sia perché Grenell si era fatto conoscere in Europa tramite il suo precedente ruolo di ambasciatore a Berlino, durante il quale era stato accusato di avere sviluppato legami controversi con la destra radicale locale e di essersi mosso in maniera tutt’altro che diplomatica, pur ottenendo qualche successo.

– Leggi anche: L’uomo di Trump a Berlino

All’inizio dell’anno Grenell era stato anche nominato da Trump direttore ad interim dell’Intelligence nazionale, cioè quell’organo del governo statunitense che coordina tutte le agenzie di intelligence federali, tra cui la CIA.

La nomina era stata decisa nonostante Grenell non avesse alcuna esperienza di rilievo nel campo dell’intelligence e avesse già una reputazione molto lontana da quella del funzionario super-partes, come richiederebbe quell’incarico. Da direttore dell’Intelligence nazionale, con una mossa molto inusuale, Grenell aveva autorizzato la desecretazione di alcuni documenti che erano poi diventati la base di una teoria complottista e infondata promossa da Trump e dalla destra radicale americana: il cosiddetto “Obamagate”, cioè l’idea che l’ex presidente Barack Obama e i suoi alleati nel dipartimento di Giustizia e nelle agenzie di intelligence statunitensi avessero usato in modo illecito il proprio potere per colpire Trump prima della sua elezione. La teoria dell'”Obamagate” non è stata confermata da alcuna prova solida, e secondo molti è una delle tante teorie cospirazioniste appoggiate da Trump per indebolire i Democratici in vista delle elezioni presidenziali di novembre.

– Leggi anche: Cos’è questo “Obamagate”

L’intervento sempre più incisivo di Grenell nella disputa tra Kosovo e Serbia, hanno scritto Patrick Kingsley e Kenneth Vogel sul New York Times, potrebbe avere in parte lo stesso obiettivo dell'”Obamagate”, cioè far ottenere a Trump una vittoria diplomatica nei Balcani prima delle elezioni di novembre. Il problema è che questa presunta vittoria, che in molti vedono comunque come poco probabile, potrebbe arrivare indebolendo le istituzioni democratiche di entrambi i paesi, già particolarmente sotto pressione per motivi diversi.

Il presidente kosovaro Hashim Thaçi, a sinistra, e quello serbo Aleksandar Vučić durante un incontro con Federica Mogherini a Tirana, Albania, il 9 maggio 2019 (AP Photo/Hektor Pustina)

Secondo i critici della strategia statunitense, Grenell starebbe tentando di ottenere la sua vittoria diplomatica chiedendo pochissimi sacrifici alla Serbia e aumentando le pressioni sul Kosovo, cioè adottando una strategia diversa da quella portata avanti dalla diplomazia europea finora. David Philipps, esperto di Balcani e consigliere del dipartimento di Stato americano durante la guerra in Kosovo, ha detto: «Ci siamo dimenticati chi sia il nostro cliente. Non è la Serbia, ma il Kosovo, un paese che abbiamo aiutato a far nascere, a gestire e a proteggere». Negli ultimi anni, inoltre, la Serbia è diventata sempre più autoritaria sotto la presidenza di Aleksandar Vučić, il cui partito ha stravinto le elezioni parlamentari che si sono tenute domenica anche a seguito del boicottaggio di diverse importanti forze di opposizione.

Grenell, che vorrebbe spingere i due presidenti a trovare un accordo di tipo economico, sta cercando di forzare la mano soprattutto sul Kosovo.

Per costringere il governo kosovaro ad abbassare i dazi sui beni serbi – dazi che la Serbia ha definito un ostacolo al dialogo – Grenell ha minacciato di ritirare il sostegno statunitense al Kosovo; a marzo gli Stati Uniti avevano bloccato 50 milioni di dollari di aiuti al Kosovo, e alcuni politici Repubblicani avevano suggerito di ritirare i soldati ancora presenti nel paese. Brikena Hoxha, direttrice della Kosovar Stability Initiative, gruppo di ricerca focalizzato sul Kosovo, ha detto: «Il Kosovo non ha mai visto un diplomatico come Grenell. Lo stile di Grenell è più simile al bullismo che alla negoziazione».

Finora Grenell non ha ottenuto granché. All’inizio dell’anno aveva annunciato una prima vittoria a seguito della firma di tre piccoli accordi che avrebbero dovuto ripristinare i collegamenti tra Kosovo e Serbia: in realtà – ha scritto il New York Times, che ha visto il testo degli accordi – i due paesi avevano firmato testi diversi, i quali peraltro non erano né nuovi né formali: erano stati copiati da accordi precedenti promossi dall’Unione Europea ed erano stati firmati da funzionari di basso livello.

Non è chiaro quali saranno le prossime mosse di Grenell, ma la preoccupazione di molti è che l’incontro a Washington tra i presidenti Thaçi e Vučić non porterà a nulla e non farà altro che indebolire l’azione diplomatica dell’Europa, lasciata completamente all’oscuro delle ultime decisioni americane.