La giunta militare del Myanmar ha dichiarato un cessate il fuoco temporaneo
Per facilitare i soccorsi dopo il disastroso terremoto della scorsa settimana

La giunta militare al governo in Myanmar ha dichiarato un cessate il fuoco temporaneo di 20 giorni, fino al 22 aprile, nella guerra civile che combatte contro vari gruppi ribelli. L’obiettivo è facilitare le operazioni di soccorso iniziate in seguito al disastroso terremoto di venerdì scorso, nel quale sono morte più di 3mila persone. La giunta militare ha detto che il cessate il fuoco servirà per permettere «operazioni di soccorso e riabilitazione efficaci», ma non è chiaro nella pratica come questo avverrà.
Il terremoto ha colpito varie parti del Myanmar, causando enormi danni. Il regime ha monopolizzato la gestione degli aiuti umanitari e dei soccorsi medici, bloccandoli o rallentandone l’arrivo nelle zone considerate centri della resistenza dei ribelli. È successo per esempio a Sagaing, la città più vicina all’epicentro e appunto uno dei centri della resistenza: la prima squadra di soccorsi internazionali è arrivata soltanto lunedì, tre giorni dopo il disastro, mentre quasi tutti i camion di aiuti continuavano a rimanere fermi ai posti di blocco.
Negli scorsi giorni sia il governo di unità nazionale, che rappresenta la vecchia amministrazione civile e guida la lotta armata in esilio, sia l’alleanza delle tre delle principali milizie ribelli avevano dichiarato dei cessate il fuoco unilaterali, proprio per facilitare la consegna degli aiuti. Avevano detto che non avrebbero iniziato nuovi attacchi, ma che avrebbero risposto comunque a quelli delle forze governative. Dopo il terremoto l’esercito aveva infatti continuato a condurre attacchi aerei sulle zone controllate dai ribelli: ora, in seguito al nuovo annuncio di cessate il fuoco da parte della giunta, questi dovrebbero essere sospesi.
Dal 2021 il Myanmar è governato da un regime militare: prese il potere con un colpo di stato, che bloccò i difficili processi di democratizzazione in corso nel paese. Ne emersero proteste pacifiche, che però nel giro di pochi mesi si trasformarono in resistenza armata. Da allora l’esercito combatte contro gruppi di diverse minoranze etniche, attivi soprattutto nelle zone più remote del paese, tutti contrari alla dittatura militare.
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