Hamas ha liberato altri sei ostaggi israeliani
In cambio Israele doveva liberare 620 detenuti palestinesi, ma la consegna è stata ritardata

Sabato mattina Hamas ha liberato sei ostaggi israeliani dalla Striscia di Gaza, in tre diversi momenti e in tre luoghi diversi. A Rafah sono stati liberati Avera Mengistu, che era trattenuto a Gaza da dieci anni, e Tal Shoham, che era ostaggio di Hamas dal 7 ottobre del 2023, dopo essere stato sequestrato nel kibbutz di Be’eri. A Nuseirat in seguito sono stati rilasciati Omer Shem-Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert, tutti rapiti durante gli attacchi del 7 ottobre, durante il festival musicale Supernova. Hisham al-Sayed, ostaggio da quasi un decennio, è stato consegnato in seguito, senza l’ormai classica “cerimonia” organizzata da Hamas.
In cambio dei sei ostaggi Israele doveva rilasciare 620 prigionieri palestinesi, ma al momento non è ancora chiaro quando saranno liberati: un’agenzia di stampa vicina ad Hamas ha detto che il rilascio è stato ritardato.
Come negli scambi precedenti, gli altri ostaggi rilasciati da Hamas sono stati costretti a salire prima su un palco insieme a miliziani di Hamas con il volto coperto e vestiti di nero, poi sono stati accompagnati verso le auto della Croce Rossa, che ha il compito di supervisionare il rilascio. La Croce Rossa li ha poi consegnati all’esercito israeliano. I tre ostaggi liberati a Nuseirat erano vestiti con delle uniformi che li facevano sembrare militari, nonostante non facessero parte dell’esercito quando sono stati rapiti.
Il caso di Avera Mengistu è particolare: nato in Etiopia, si era trasferito in Israele con la famiglia, di religione ebraica e di possibilità economiche limitate, quando aveva cinque anni. A partire dal 2011, dopo la morte di un fratello, aveva mostrato segni di problemi mentali, per cui era stato anche ricoverato. Nel 2014, a 28 anni, aveva scavalcato una recinzione ed era entrato a Gaza, dove era stato interrogato da Hamas e poi tenuto in ostaggio per oltre dieci anni. Anche Hisham al-Sayed è affetto da problemi mentali ed era entrato nella Striscia volontariamente nel 2015.

Miliziani di Hamas attendono il rilascio degli ostaggi a Nuseirat (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Nella prima fase dovevano essere liberati in tutto 33 ostaggi: 19 erano stati già liberati prima di sabato, e sia Hamas che Israele hanno confermato la morte dei restanti 8.
In cambio dei sei ostaggi Israele libererà nelle prossime ore 620 prigionieri palestinesi, che si aggiungeranno alle centinaia già liberate dal 19 gennaio. Sono cinquanta palestinesi condannati all’ergastolo, 60 con lunghe condanne, 41 che erano stati nuovamente arrestati dopo essere stati liberati nel 2011 in un precedente scambio (per un soldato israeliano) e 445 incarcerati dopo il 7 ottobre e non sottoposti a processo.
Si chiuderà così, dopo 42 giorni, la prima fase degli accordi per il cessate il fuoco, che ha retto nonostante alcuni problemi e molte polemiche.

Le auto della Croce Rossa a Nuseirat (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Da alcune settimane sono iniziate le discussioni per la fase successiva. L’accordo generale fornisce già alcune informazioni su quello che dovrebbe accadere nella seconda fase: Hamas dovrebbe rilasciare tutti gli ostaggi vivi ancora presenti nella Striscia, 24, in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Israele dovrebbe completare il ritiro di tutte le sue truppe dalla Striscia.
I negoziati per definire i dettagli e le modalità di attuazione di queste procedure sono però molto complessi: Israele si è più volte lamentata degli spettacoli allestiti da Hamas intorno al rilascio degli ostaggi e delle condizioni in cui almeno alcuni degli ostaggi sono stati liberati. L’errore di Hamas sulla riconsegna del corpo di Shiri Bibas, fra giovedì e venerdì, è stato un altro motivo di tensione. Hamas ha denunciato molte violazioni degli accordi da parte di Israele: dice che le operazioni militari sono parzialmente continuate, che l’esercito ritarda il ritiro e che l’ingresso degli aiuti è ritardato e ostacolato.
Il tutto è stato ulteriormente complicato dall’annuncio del piano del presidente statunitense Donald Trump, che prevede che gli Stati Uniti prendano il controllo della Striscia e tutti i residenti palestinesi vadano «a vivere altrove». La proposta è irrealizzabile e criticata praticamente da tutti (con l’eccezione di Netanyahu e dell’estrema destra israeliana) ma evidenzia la grande distanza fra le parti sul futuro della Striscia di Gaza, che dovrebbe essere oggetto di discussione nella terza e ultima fase del cessate il fuoco.



