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  • Domenica 24 marzo 2024

L’ISIS non fa distinzione tra Russia e Occidente

Quello al teatro a Mosca è il più recente di una serie di attacchi che prescindono dalle divisioni a cui siamo abituati, e che accrescono le preoccupazioni di analisti e agenzie di sicurezza

Una bandiera russa a mezz’asta vicino a una statua in cima a un edificio
Una bandiera russa a mezz’asta in cima al museo dell’Ermitage a San Pietroburgo, il 24 marzo 2024 (AP Photo/Dmitri Lovetsky)
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L’attentato di venerdì al teatro Crocus City Hall a Mosca, in cui sono state uccise almeno 137 persone, ha generato alcune discussioni sulle responsabilità. Sebbene l’ISIS non sia stato citato dal presidente russo Vladimir Putin nel discorso che ha rivolto sabato al paese, lo Stato Islamico aveva rivendicato l’attacco nella notte di venerdì tramite la sua agenzia di stampa “non ufficiale” al Amaq, che domenica ha anche pubblicato dei video realizzati dagli uomini armati mentre inseguono gli spettatori nel teatro. Alcuni funzionari statunitensi informati dall’intelligence avevano inoltre già attribuito l’attacco al gruppo terroristico ISIS-K (o ISKP, o Provincia del Khorasan dello Stato Islamico), affiliato all’ISIS e attivo principalmente in Afghanistan.

Una parte delle riflessioni sull’attentato si è concentrata quindi su un aspetto che le recenti tensioni tra i paesi occidentali da una parte e la Russia, la Cina e l’Iran dall’altra avevano fatto passare in secondo piano: per lo Stato Islamico, che combatte altre guerre, non sembra esserci molta differenza tra una parte e l’altra.

L’ultima volta in cui si era parlato dell’ISIS-K prima dell’attacco a Mosca era stato a gennaio, quando aveva compiuto la strage vicino alla tomba del generale Qassem Suleimani a Kerman, in Iran, in cui erano state uccise 84 persone e circa 300 erano state ferite. In Occidente il 2017 fu l’anno con più attacchi rivendicati dallo Stato Islamico: tra questi l’attentato al concerto della cantante statunitense Ariana Grande a Manchester, nel Regno Unito, in cui furono uccise 22 persone, e l’attacco sulla Rambla a Barcellona, in cui un uomo alla guida di un furgone investì la folla uccidendo 13 persone. Da allora lo Stato Islamico ha rivendicato altri attacchi mortali, perlopiù accoltellamenti e sparatorie, in Belgio, Francia e Austria.

A luglio 2023 un’operazione antiterrorismo guidata dalle agenzie di sicurezza in Germania, Belgio e Paesi Bassi aveva portato all’arresto di nove membri di una rete dell’ISIS-K, originari del Tagikistan, del Turkmenistan e del Kirghizistan, che stavano pianificando un attacco terroristico in Germania. Altri attacchi pianificati nei mesi scorsi dallo Stato Islamico, alcuni dei quali da parte di persone provenienti da paesi dell’Asia centrale, sono stati scoperti e sventati dalle agenzie di sicurezza.

Nel comunicato in cui rivendicava l’attacco a Mosca, l’agenzia al Amaq lo ha descritto come parte di una più estesa «guerra tra lo Stato Islamico e i paesi che combattono l’Islam». Secondo diversi analisti la strage nel teatro fornisce ulteriore sostegno a preoccupazioni che erano cresciute molto nelle ultime settimane, in merito alle capacità dello Stato Islamico di ricostituirsi come organizzazione terroristica influente in tutto il mondo, dopo un periodo di relativa debolezza, in un momento in cui attenzioni e risorse sono concentrate sulle guerre a Gaza e in Ucraina.

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«Anche se vediamo grandi divisioni tra Pechino, Mosca e Washington, loro ci guardano tutti come un bersaglio», ha detto al Wall Street Journal l’analista statunitense Colin Clarke, direttore della società di consulenza sulla sicurezza Soufan Center.

Anche la Russia è da anni l’obiettivo di attacchi dello Stato Islamico. Nel 2015 il gruppo rivendicò la responsabilità dell’esplosione di un aereo passeggeri russo partito dall’Egitto e precipitato nel deserto del Sinai. Nell’attentato tutte le 224 persone a bordo morirono. Nel 2022 un attacco all’ambasciata russa a Kabul uccise due diplomatici russi e quattro afgani.

Le ragioni della conflittualità islamista contro la Russia risalgono storicamente all’occupazione sovietica dell’Afghanistan negli anni Ottanta e alla repressione delle rivolte in Cecenia nei primi anni di governo di Putin. Tra il 1994 e il 2009 l’esercito russo combatté contro i separatisti, a maggioranza musulmani, che volevano l’indipendenza della regione del sud della Russia (attualmente governata da una leadership filorussa). Insieme all’Iran la Russia sostiene inoltre da anni il regime del presidente Bashar al Assad in Siria, dove combatté a lungo contro lo Stato Islamico attraverso i mercenari del gruppo paramilitare russo Wagner. Ha infine rafforzato in Afghanistan i legami con il governo dei talebani, al potere dal 2021 e da tempo rivali dell’ISIS.

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La “K” in “ISIS-K” sta per Khorasan, un termine che indica i territori dell’Afghanistan e dei paesi dell’Asia centrale che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica. Alcuni funzionari russi hanno detto che gli autori della strage nel teatro potrebbero essere originari del Tagikistan, lo Stato più povero dell’Asia centrale. È insieme all’Uzbekistan e al Kirghizistan uno dei paesi da cui provengono milioni di lavoratori in Russia, arrivati soprattutto negli ultimi due anni, a causa della carenza di manodopera dovuta agli arruolamenti dei giovani per la guerra in Ucraina.

Molti combattenti dell’Asia centrale catturati in Siria e Iraq durante il governo dello Stato Islamico dissero di essersi radicalizzati nei cantieri edili e nei dormitori dei lavoratori nelle città russe, ha scritto il Wall Street Journal. A rendere i lavoratori attualmente più influenzabili dai predicatori, secondo l’ex ambasciatore del Kirghizistan negli Stati Uniti Kadyr Toktogulov, contribuisce il fatto che in molti casi parlano poco o per niente il russo, e la polizia fa regolarmente irruzione nei loro dormitori e nei loro luoghi di lavoro per convincerli ad arruolarsi nell’esercito russo in Ucraina.

L’obiettivo dell’ISIS-K era fondare un califfato nell’Asia meridionale e centrale, su cui imporre un’interpretazione estremamente rigida della sharia, la “legge islamica”, così come aveva fatto il gruppo principale in Siria e in Iraq. Ormai allontanato da quei paesi, è attualmente una delle più importanti “province” dello Stato Islamico, insieme a una sezione nell’Africa occidentale che controlla territori di diversi paesi, come il Mali, in cui mercenari russi operano da anni dove i governi sono in difficoltà.

Dopo l’attentato di gennaio a Kerman, in Iran, lo Stato Islamico aveva diffuso un comunicato intitolato «Uccideteli ovunque li troviate» attraverso l’agenzia al Furqan, uno degli organi centrali della sua propaganda. Il comunicato si concentrava principalmente sulla guerra tra Gaza e Israele, ma riprendendo alcuni punti fermi delle battaglie del gruppo. Invocava una campagna militante mondiale contro ebrei, infedeli e «crociati occidentali», e attribuiva all’Iran – sostenitore di Hamas – un progetto di espansionismo sciita giudicato per l’Islam e i musulmani non meno pericoloso di Israele.

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