L’alleanza obbligata tra M5S e PD, nonostante tutto

Le elezioni regionali in Sardegna hanno mostrato che i due partiti insieme possono anche perdere, ma da soli è molto difficile che vincano

Conte e Schlein insieme a una conferenza in Senato, il 13 febbraio 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Conte e Schlein insieme a una conferenza in Senato, il 13 febbraio 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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La vittoria della candidata del centrosinistra Alessandra Todde alle elezioni regionali della Sardegna di domenica scorsa ha dato nuovo vigore alle tesi di chi, all’interno del Partito Democratico e del Movimento 5 stelle, ritiene imprescindibile la collaborazione dei due partiti per un’alleanza progressista che possa ambire a competere con la destra: alleanza che nel gergo politico e giornalistico è stata chiamata campo largo.

Tra i primi a fornire questa interpretazione del voto in Sardegna c’è stato l’influente senatore del PD Dario Franceschini, ex ministro della Cultura, che da anni si spende per consolidare l’alleanza. Propone un ragionamento simile Stefano Patuanelli, ex ministro dello Sviluppo economico e attuale capogruppo del M5S in Senato, anche lui da sempre convinto della necessità della coalizione. «Se il fronte progressista vuole davvero creare un’alternativa credibile alla destra, deve lavorare al campo giusto e non al campo largo», dice Patuanelli facendo una piccola distinzione lessicale. «È banale dire che il PD senza il Movimento non vince e viceversa: ciò che conta non è solo vincere, ma poter governare in modo credibile e con un progetto chiaro. La vittoria di Alessandra lo dimostra e ci indica una strada percorribile».

Anche se limitato geograficamente e prodotto da una serie di specificità locali, l’esito delle elezioni in Sardegna legittima in buona sostanza questa lettura, se si pensa che, come ha ricordato la segretaria del PD Elly Schlein, «è la prima volta dal 2015 che il centrosinistra strappa una regione alla destra». In quel caso fu la Campania, con la vittoria di Vincenzo De Luca che è tuttora in carica. E del resto già nel 2014, sull’onda del successo clamoroso alle elezioni europee di quell’anno, il PD guidato da Matteo Renzi aveva vinto in Piemonte, Abruzzo e Calabria, tre regioni fino a quel momento governate dal centrodestra (che all’epoca era meno sbilanciato verso destra). Anche il M5S può rivendicare una vittoria senza precedenti, visto che mai un suo esponente era stato eletto presidente di regione. Non era successo nemmeno quando era risultato nettamente il primo partito, come per esempio alle regionali in Sicilia del 2017 o a quelle in Molise del 2022, proprio a causa della mancanza di una coalizione.

Al tempo stesso, però, sarebbe ingenuo elevare il voto in Sardegna a paradigma nazionale. A determinare la vittoria di Todde hanno contribuito molti fattori specifici e locali: il profilo convincente della candidata, esponente del M5S ma espressione della fazione più moderata e meno ideologica del partito, radicata sul territorio e dunque rassicurante anche per un elettorato progressista moderato non necessariamente vicino a Giuseppe Conte; le divisioni all’interno dell’alleanza di destra, con polemiche che si sono protratte fino a poco prima delle elezioni; la scelta piuttosto infelice del candidato avversario, Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari ben poco amato anche nella sua città, dove ha infatti ottenuto un pessimo risultato.

Il risultato va comunque contestualizzato: nel complesso le liste della destra hanno ottenuto circa 6 punti in più di quelle del centrosinistra (48,8% contro 42,6%): Todde ha vinto perché anche alcuni elettori di destra hanno votato per lei come candidata, ricorrendo cioè al cosiddetto voto disgiunto. Tra i due candidati ci sono stati meno di tremila voti di differenza. Il risultato risicato ha fatto discutere sulla possibilità di allargare il perimetro dell’alleanza, includendovi anche i partiti centristi di Matteo Renzi e Carlo Calenda, che in questa occasione sostenevano Renato Soru, rimasto fuori dal consiglio regionale in virtù dell’8,6% ottenuto (serviva almeno il 10). È un’operazione che al momento non sembra percorribile: sia perché Renzi e Calenda escludono a priori qualsiasi collaborazione col M5S, sia perché loro stessi non accettano di collaborare tra sé in modo strutturale. Per le regionali in Abruzzo, dove si voterà il 10 marzo, l’alleanza comprenderà tutti: PD, M5S e i centristi. La vittoria però è tutt’altro che scontata, e anzi stando agli ultimi sondaggi appare piuttosto improbabile.

A questo proposito l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, del PD, dice che «non è detto affatto che col campo largo si vinca sempre, ma è evidente che senza campo largo vincere è piuttosto impossibile».

Un evento elettorale a Narni, in vista delle regionali umbre, il 25 ottobre del 2019: da sinistra, Roberto Speranza, Nicola Zingaretti, Vincenzo Bianconi, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte. A lungo ci si è riferiti all’esperimento di un’alleanza strutturale tra M5S e PD con l’espressione “foto di Narni“. (Stefano Cavicchi/LaPresse)

Non è del resto la prima volta che alle regionali PD e M5S si presentano alleati. Nei casi precedenti, in Umbria con Vincenzo Bianconi nell’ottobre del 2019 e in Liguria con Ferruccio Sansa nel settembre del 2020, si era arrivati alla definizione di un’alleanza in maniera piuttosto confusa, vincendo enormi resistenze in entrambi i partiti. Più che su reali convinzioni dei dirigenti locali, quelle scelte vennero fatte con l’intento principale di solidificare la fragile alleanza appena avviata a livello nazionale, inaugurata in modo rocambolesco dopo la crisi del primo governo di Giuseppe Conte (quello sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle). Si ottenne in verità l’effetto opposto: il risultato dei candidati fu piuttosto deludente, e le sconfitte finirono per evidenziare soprattutto i limiti di quegli esperimenti.

Stavolta, in Sardegna, l’alleanza è stata costruita in maniera più ragionevole, e in quest’ottica indubbiamente la segretaria Schlein può rivendicare dei meriti per aver accettato di sostenere una candidata che non era del PD. A livello nazionale invece anche l’avvicinarsi delle elezioni europee, dove ciascun partito compete in solitaria, in questi mesi ha esasperato le divergenze tra PD e M5S sulla politica estera, soprattutto su questioni europee e sul sostegno alla resistenza dell’Ucraina dall’invasione russa. A livello locale, a complicare le cose era stato Soru, ex presidente della Sardegna dal 2004 al 2009, che fu nel 2007 uno dei fondatori del PD e gode tuttora di un certo consenso personale sull’isola. Soru ha contestato la scelta di Todde, cercando di ottenere le primarie per la scelta del candidato di centrosinistra; non essendoci riuscito aveva deciso di candidarsi come indipendente e avevano deciso di sostenerlo i centristi di Azione e Italia Viva insieme ad altri partiti di estrema sinistra, come Rifondazione Comunista, che non si riconoscevano nella scelta di Todde.

Il merito di Schlein, anche grazie al sostegno di alcuni dirigenti sardi come Marco Meloni, uomo molto legato all’ex segretario del PD Enrico Letta, è stato quello di non cedere alle pressioni di chi, nel suo partito, suggeriva di proporre una terza candidatura che potesse mettere d’accordo sia Soru sia Todde. Fondamentale, in questo senso, è stato convincere Massimo Zedda, l’ex sindaco di Cagliari e punto di riferimento del centrosinistra sardo negli ultimi anni, a rinunciare a sostenere Soru e ad aderire al progetto del cosiddetto campo largo.

Il brindisi per la vittoria alle elezioni regionali in Sardegna tra Alessandra Todde e Giuseppe Conte a Cagliari (Fabio Murru/ANSA)

La costruzione di un’alleanza solida col M5S è uno dei fondamenti del programma con cui Schlein ha vinto il congresso del PD, proprio un anno fa. Da questo punto di vista, in attesa dell’esito del voto delle europee di giugno che sarà per lei decisivo, la sua leadership esce per ora rafforzata. Al tempo stesso, però, la costruzione del campo largo ha ancora grosse incognite. I più scettici, anche nel PD, fanno notare per esempio come Conte accetti di costruire alleanze nelle elezioni regionali solo se il candidato della coalizione è un esponente del M5S.

In effetti, negli ultimi tre anni il M5S non ha mai accettato di sostenere candidati del PD o altri indipendenti di centrosinistra nelle elezioni amministrative o regionali, anche a costo di rischiare di risultare decisivo nel determinare la vittoria della destra, come nelle regionali del Lazio del 2023. Tuttora, anche dopo avere ottenuto di indicare una propria candidata in Sardegna, il M5S sta mettendo per esempio un veto sulla scelta della vicepresidente del PD Chiara Gribaudo come candidata unitaria in Piemonte, dove si voterà a giugno.