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  • Martedì 20 febbraio 2024

Alle regionali in Sardegna il centrosinistra si è complicato la vita da solo

La candidatura dell'ex presidente Renato Soru sta intralciando i piani ad Alessandra Todde, sostenuta da PD e M5S, in teoria favorita dopo un'amministrazione deludente della destra

Renato Soru (Spada - LaPresse)
Renato Soru (Spada - LaPresse)
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Domenica 25 febbraio in Sardegna ci saranno le elezioni regionali per rinnovare i 60 seggi del consiglio regionale e scegliere il nuovo presidente. Christian Solinas, il presidente uscente, non si ricandida: la coalizione di destra che lo sosteneva ha scelto al suo posto Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, dopo una contesa durata diverse settimane tra Fratelli d’Italia e Lega, i due principali partiti nel governo nazionale. Fratelli d’Italia insisteva per Truzzu, un membro del partito, mentre la Lega avrebbe preferito Solinas, che è il leader del Partito Sardo d’Azione ma era stato eletto nel 2019 proprio grazie al sostegno della Lega.

Né Solinas né Truzzu in realtà sono particolarmente popolari in Sardegna, anzi: vengono entrambi da due esperienze di amministrazione locale giudicate da molti insufficienti, sono accusati di aver fatto poco in questi cinque anni rispetto a ciò che avevano promesso ed entrambi i mandati sono stati segnati da divisioni interne tra i partiti di maggioranza, dimissioni e rimpasti. Solinas è stato anche coinvolto in diverse inchieste giudiziarie, che hanno avuto un peso non indifferente sulla decisione di non ricandidarlo. Sono entrambi in fondo alle classifiche di gradimento degli amministratori locali e le elezioni politiche del 2022 hanno confermato questa perdita di consensi.

Vista la situazione, fino a pochi mesi fa giornali e commentatori politici sardi ritenevano che qualunque candidato fosse stato scelto in modo unitario dai partiti dell’area di centrosinistra sarebbe stato ampiamente favorito per queste elezioni. A novembre Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e altri movimenti più piccoli si erano accordati per sostenere Alessandra Todde, deputata e importante esponente del M5S, di cui è stata vicepresidente fino a prima della campagna elettorale per queste elezioni. Le cose però si sono subito complicate anche da questa parte, perché poco dopo ha annunciato la propria candidatura Renato Soru, imprenditore sardo molto noto e già presidente della regione dal 2004 al 2009, anche lui di centrosinistra.

Alessandra Todde insieme al leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte (ANSA/Vincenzo Garofalo)

Il ritorno di Soru rende l’esito delle elezioni assai più imprevedibile: i sondaggi finora diffusi, pochi, danno Truzzu e Todde molto vicini, entrambi tra il 42 e il 46 per cento. Alcuni danno più avanti il primo e altri la seconda. A Soru andrebbero le restanti preferenze, quindi intorno al 12 per cento: è verosimile credere che se non si fosse candidato parte di quei voti sarebbe finita al cosiddetto “campo largo”, come viene chiamata a volte l’alleanza tra PD e M5S, cioè a Todde. Non è scontato, naturalmente, ed è anche una tesi che PD e M5S stanno sfruttando politicamente e talvolta anche in modo strumentale per convincere gli elettori di Soru a votare per Todde.

Soru è sostenuto da un insieme di partiti e liste non proprio omogeneo, che comprende i centristi di Azione, Italia Viva e +Europa, Rifondazione comunista e il partito indipendentista sardo Liberu, di sinistra radicale, oltre ad altre piccole liste autonomiste. C’è anche una quarta candidata, Lucia Chessa, di sinistra, sostenuta dalla lista Sardegna R-Esiste e data intorno all’1 per cento. La legge elettorale sarda non prevede ballottaggi: viene eletto o eletta presidente chi prende più voti al primo turno.

Che la candidatura di Soru non dispiaccia alla destra lo si è visto anche dalle dichiarazioni dei suoi esponenti in questa campagna elettorale: qualche giorno fa durante un incontro a Cagliari il leader della Lega, Matteo Salvini, ha detto che «quella di Soru è una scelta coraggiosa, dignitosa, che ci dice che PD e M5S non sono gli unici padroni del voto e del pensiero a sinistra, gli faccio i complimenti».

Nonostante non sembri avere possibilità di vincere, il ritorno alla politica di Soru, che ha 66 anni, è stata la storia più discussa di questa campagna elettorale. La sua influenza si spiega con il fatto che Soru non è soltanto un candidato di centrosinistra con un buon seguito in Sardegna. Nel primo decennio del Duemila fu anche un politico molto noto a livello nazionale, soprattutto per la sua storia imprenditoriale. Nel 1998 aveva fondato la società di telecomunicazioni Tiscali, che contribuì enormemente alla diffusione di massa di Internet in Italia, promuovendo l’accesso gratuito alla rete al posto degli abbonamenti a canone fisso. Nel 2001 fu inserito nella lista delle persone più ricche al mondo della rivista Forbes, con un patrimonio stimato di 4 miliardi di dollari.

Dopo essere stato eletto presidente della Sardegna nel 2004, fu nel 2007 uno dei politici fondatori del Partito Democratico, con cui nel 2014 diventò europarlamentare. Alla fine di quel mandato, nel 2019, si allontanò dalla politica e proseguì il suo lavoro da imprenditore. La candidatura di Soru comunque non è arrivata in modo del tutto sorprendente, ma dopo mesi in cui diceva spesso, e durante incontri pubblici, di auspicare un netto cambiamento politico per la Sardegna. Vista la sua storia politica si aspettava il sostegno del PD, come ha fatto capire lui stesso. Per diverso tempo aveva chiesto che il partito scegliesse il candidato o la candidata da sostenere con le primarie, ma alla fine il PD aveva deciso di sostenere la candidata proposta dal M5S, Todde, senza passare da un voto.

La campagna elettorale si è così concentrata da subito sul sorprendente contrasto tra Soru e il centrosinistra, anche perché la sua candidatura è stata molto criticata persino dalla figlia, Camilla Soru, consigliera comunale a Cagliari e candidata per il PD al consiglio regionale: un fatto a cui è stato dato risalto e raccontato su diversi giornali con interviste a entrambi. Come altri esponenti del PD regionale, Camilla Soru ha descritto più volte la candidatura di suo padre come un favore alla destra.

Per tutta la campagna elettorale Todde ha trattato come il suo diretto avversario più Soru che Truzzu, e negli ultimi giorni sta insistendo sul cosiddetto “voto utile”: dice cioè che per un elettore di sinistra non ha senso votare Soru, perché non ha speranze di vincere, e preferendolo a lei si favorirebbe insomma una vittoria di Truzzu. Soru invece ha definito quella sul “voto utile” una «bugia stantia, per cercare di nascondere il progressivo crollo di consensi suo e della sua coalizione».

Fra i due, che almeno formalmente dovrebbero appartenere alla stessa area politica, i toni sono stati accesi: Todde ha ricordato quando Soru nel 2014 invitò gli elettori di centrosinistra a non votare Michela Murgia, la nota scrittrice e attivista sarda morta nel 2023, proprio in nome del “voto utile” (Murgia si candidò come indipendente ma faceva parte dell’area politica della sinistra, mentre il PD sosteneva Francesco Pigliaru, poi eletto in ogni caso). Soru ha risposto definendo Todde «una viceré inviata da Roma a mantenere mansueta e asservita la Sardegna» e pronta a tutto, «anche a scomodare una defunta che non può risponderle», in riferimento a Murgia.

Secondo alcune persone che lavorano con Soru alla campagna elettorale l’ex presidente in realtà sarebbe conscio delle sue scarse possibilità di vittoria, ma ne avrebbe fatto ormai una questione di principio. In Sardegna inoltre ci saranno altri due appuntamenti elettorali importanti, quest’anno: tra qualche mese ci saranno le comunali sia a Cagliari che a Sassari, le due città principali della regione, e Soru ha già detto che il suo nuovo progetto politico parteciperà anche a quelle elezioni (la data non è stata ancora fissata, ma potrebbe coincidere con quella delle elezioni europee di giugno).

Le discussioni tra i due candidati dell’area del centrosinistra hanno distolto l’attenzione dalla destra, che si presentava in realtà con molti problemi. Solo per citare l’esempio più vistoso, in cinque anni il governo nazionale ha impugnato 20 leggi approvate dalla giunta di Solinas, circa un sesto del totale, rimandandole nella maggior parte dei casi alla Corte Costituzionale per problemi di competenza (si occupavano cioè di materie giudicate al di fuori della giurisdizione della regione): è successo più volte anche da quando si è insediato il governo di destra di Giorgia Meloni, quindi della stessa parte politica. È stata impugnata in questo modo anche l’ultima legge di bilancio regionale, quella con cui la Sardegna ha deciso come spendere i propri fondi durante l’anno successivo.

– Leggi anche: I candidati di Lega e Fratelli d’Italia in Sardegna non piacciono granché ai sardi