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  • Domenica 23 luglio 2023

Il nuovo partito centrista che fa discutere la politica statunitense

I "No Labels" sostengono di lavorare per ridurre la polarizzazione politica, molti però li considerano una lobby un po' opaca

(AP Photo/Jacquelyn Martin, File)
(AP Photo/Jacquelyn Martin, File)
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Da qualche mese l’organizzazione politica centrista No Labels sta facendo parlare di sé negli Stati Uniti: organizza dibattiti e seminari, prende posizione su vari temi di attualità, e soprattutto sta valutando se presentare un proprio candidato alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2024.

Tentativi di questo genere sono spesso fallimentari nel sistema politico statunitense, strutturato in modo che sia dominato da due partiti principali, in questo caso da quello Repubblicano e quello Democratico. A questo giro però No Labels sta guadagnando una certa notorietà perché il gruppo è molto ben finanziato – tanto che viene spesso accusato di essere in realtà una lobby che favorisce gli interessi finanziari dei suoi importanti donatori – e perché il consenso personale dei leader di fatto dei due partiti, il presidente Joe Biden per i Democratici e l’ex presidente Donald Trump per i Repubblicani, è estremamente basso. Ormai da anni i Repubblicani si sono spostati molto più a destra, tanto che molte delle loro posizioni sono sovrapponibili a quelle dei partiti dell’estrema destra europea; quindi sempre più lontane da quelle dei Democratici, che a loro volta si sono spostati un po’ più a sinistra.

Qualcuno, insomma, ritiene che esista uno spazio politico per una eventuale candidatura indipendente e centrista.

Fondati nel 2010 dall’ex direttrice del team della raccolta fondi del Partito Democratico, Nancy Jacobson, e dall’ex senatore Democratico Joe Lieberman, oggi commentatore politico conservatore, i No Labels si presentano come un movimento che rappresenta persone «stanche degli estremismi di destra e di sinistra» e che promuove una «politica del buon senso». Qualche giorno fa hanno diffuso un programma politico di 63 pagine fatto soprattutto di posizioni generiche e poco circostanziate: sull’interruzione di gravidanza, uno dei temi più delicati del dibattito politico statunitense, scrivono per esempio che «è necessario trovare un equilibrio tra la tutela dei diritti delle donne a controllare la propria salute riproduttiva e la responsabilità della nostra società di proteggere la vita umana». Il programma è stato descritto dal New York Times come «troppo incentrato sull’identificazione dei problemi e troppo poco sulle soluzioni concrete», cioè quelle politicamente più delicate da spiegare.

Il più visibile fra i risultati dei No Labels finora è stata la creazione del Problem Solvers Caucus alla Camera dei Rappresentanti, un gruppo di circa 60 deputati divisi equamente fra Democratici e Repubblicani che ha l’obiettivo di promuovere la cooperazione su alcune questioni politiche e combattere la crescente polarizzazione della politica americana.

Già nel 2018 il deputato Democratico Mark Pocan era uscito dal Caucus dicendo che il gruppo sembrava più che altro «una corsia preferenziale per interessi privati e lobbisti» e bloccava tutte le iniziative dell’allora speaker Democratica della Camera Nancy Pelosi. Quando Pocan l’aveva chiesto, i No Labels si erano rifiutati di condividere con lui i nomi dei loro principali donatori e, nonostante sostenessero di dividere i fondi in parti uguali fra candidati dei due partiti Repubblicani e Democratici, l’organizzazione aveva speso quasi il doppio per aiutare l’elezione di candidati Repubblicani rispetto a quelli Democratici.

La questione dei donatori rimane aperta. Essendo registrata come una organizzazione no profit, No Labels non è tenuta a rendere pubblici i nomi di chi la finanzia, ma è una cosa che spesso viene fatta da organizzazioni simili per ragioni di trasparenza. Negli anni diverse inchieste giornalistiche hanno scoperto che il gruppo ha ricevuto alcuni finanziamenti da donatori dell’area progressista, ma che la maggior parte dei suoi fondi proviene da società finanziarie e figure piuttosto conservatrici. Di recente la rivista statunitense The New Republic ha dimostrato come un importante donatore di No Labels fra il 2019 e il 2021 sia stato il miliardario conservatore Harlan Crow, storico donatore del Partito Repubblicano e noto per le sue posizioni estremamente conservatrici.

Con l’avvicinarsi delle elezioni del 2024 i No Labels hanno detto esplicitamente che stavano valutando di presentare un proprio candidato presidente, oltre a quello del Partito Democratico e del Partito Repubblicano. Il momento non è casuale: salvo sorprese attualmente impronosticabili, il candidato dei Democratici sarà il presidente uscente Joe Biden, mentre quello dei Repubblicani l’ex presidente Donald Trump, di gran lunga favorito per vincere le primarie repubblicane, nonostante i numerosi processi e controversie pubbliche in cui è finito. Secondo sondaggi recenti, fra cui uno dell’emittente televisiva americana CNN, più del 30 per cento degli elettori non vorrebbe votare nessuno dei due candidati, un risultato che nello stesso sondaggio del 2020 era solo del 5 per cento.

La crescente polarizzazione della politica americana e l’obiettivo di superare le divisioni fra partiti è il motivo ufficiale per cui il gruppo sta pensando di presentare un candidato presidente a cui venga associato un vicepresidente che proviene dal partito avversario. I nomi circolati finora sono soprattutto quello del senatore Democratico del West Virginia Joe Manchin – il senatore Democratico più a destra del partito, considerato per questo uno dei politici più potenti di questi anni – e dell’ex governatore Repubblicano dello Utah ed ex ambasciatore statunitense in Russia durante la presidenza di Donald Trump, Jon Huntsman.

Negli ultimi mesi il gruppo ha iniziato una raccolta fondi con l’obiettivo di raccogliere 70 milioni di dollari per avviare i passaggi burocratici per partecipare alle elezioni del 2024, fra cui una raccolta firme a livello nazionale che permetta di inserire il nome del candidato indipendente nelle schede elettorali in tutti gli stati. In alcuni c’è già riuscito, creando qualche trambusto. In Arizona, dove Biden ha vinto nel 2020 per soli 10 mila voti, il Partito Democratico ha fatto causa a No Labels per essersi nuovamente rifiutato di rendere pubblici i nomi dei suoi donatori, nonostante nello stato fosse legalmente diventato un partito politico.

L’opacità dell’organizzazione sta portando diversi addetti ai lavori e politici Democratici a sostenere che il vero obiettivo di No Labels sia quello di togliere voti al Partito Democratico per avvantaggiare i Repubblicani.

È praticamente impossibile per un candidato indipendente vincere le elezioni presidenziali degli Stati Uniti: l’ultimo presidente che non proveniva né dal Partito Democratico né da quello Repubblicano fu eletto alla fine dell’Ottocento.

Il sistema elettorale delle elezioni presidenziali statunitensi avvantaggia strutturalmente i candidati dei grandi partiti: a ogni candidato è collegata una lista di 538 grandi elettori (persone scelte dai comitati elettorali) e in 48 stati su 50 i grandi elettori vengono eletti con sistema maggioritario: il candidato che prende un voto in più degli altri si porta a casa tutti i grandi elettori espressi dallo stato (cioè vengono eletti tutti quelli del suo listino, e nessuno degli altri). Significa che non c’è alcuna differenza tra vincere con il 30 per cento dei voti – supponiamo ci siano più candidati a dividersi i voti – o col 90 per cento dei voti: chi ne prende uno in più degli altri si porta a casa tutto. È un sistema che negli Stati Uniti come altrove avvantaggia i partiti più grandi, gli unici ad avere struttura e risorse per competere in un paese così grande come gli Stati Uniti.

In questo sistema un eventuale terzo candidato ha pochissime possibilità di vincere, e di solito finisce solo per togliere voti a uno dei due candidati principali. È già successo che a volte ne togliesse abbastanza da risultare decisivo nella vittoria di uno dei due avversari. È stato il caso del candidato indipendente Ross Perot: si pensa che nel 1992 tolse gran parte dei voti moderati al candidato Repubblicano George H. W. Bush, il presidente uscente, permettendo al Democratico Bill Clinton di vincere le elezioni con appena il 43 per cento del voto popolare.

Allo stesso modo alcuni sondaggi riportati dal New York Times suggeriscono che un candidato moderato come quello dei No Labels non avrebbe alcuna speranza di vincere le elezioni del 2024, ma potrebbe mettere a rischio la rielezione di Joe Biden, che è dato al momento come vincitore se il candidato repubblicano fosse Donald Trump. In una recente intervista con l’emittente televisiva americana NBC, la co-fondatrice e attuale direttrice di No Labels, Nancy Jacobson, ha detto che se davvero questa candidatura diventasse determinante per la vittoria di Trump contro Biden, lei la ritirerebbe, ma si è poi rifiutata di spiegare quale sarà il metro con cui la sua organizzazione prenderà questa decisione.