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  • Martedì 20 dicembre 2022

In Sicilia sta per finire l’era dei call center

La chiusura del numero di emergenza covid 1500 a cui lavoravano oltre 500 operatori è il segnale di una crisi che sembra irreversibile

di Isaia Invernizzi

Le postazioni vuote del call center del 1500 (il Post)
Le postazioni vuote del call center del 1500 (il Post)

Il 31 dicembre verranno chiuse tutte le linee telefoniche del 1500, il numero di pubblica utilità attivato nel marzo del 2020 per rispondere ai dubbi delle persone in merito all’emergenza coronavirus. Gli oltre 500 tra operatrici e operatori che negli ultimi due anni e mezzo hanno risposto a migliaia di chiamate rimarranno senza lavoro, se il governo non troverà una soluzione.

La maggior parte di loro lavora in Sicilia, la regione dove negli ultimi vent’anni si è sviluppato un notevole mercato dei call center. Qui, tra Palermo e Catania, grandi aziende italiane, multinazionali delle telecomunicazioni e compagnie aeree hanno costruito e migliorato il loro rapporto con i clienti. Anche molti ministeri e aziende pubbliche hanno affidato la gestione dei numeri di assistenza telefonica ai call center siciliani.

I sindacati stimano che in Sicilia, nel periodo di massima espansione, i lavoratori di questo settore fossero 18mila, quasi un quarto di tutti gli operatori italiani. Oggi ne sono rimasti meno di diecimila. In questo senso la vicenda del 1500 è piuttosto emblematica e mostra le scarse prospettive di questo mercato, stravolto dai rapidi cambiamenti e dallo sviluppo tecnologico: secondo lavoratori e sindacalisti, con la chiusura del 1500 sta per finire l’era dei call center in Sicilia.

Al terzo piano di un palazzo dalle facciate vetrate in via Filippo Cordova, a Palermo, c’è una delle sedi siciliane di Almaviva, che per anni è stata la più grande azienda italiana di call center. Gli uffici sono esattamente come li si immagina: grandi spazi aperti, decine di postazioni separate da pannelli divisori, cuffie con microfono appoggiate su ogni tavolo. Oggi poche persone lavorano qui. Un nastro bianco e rosso chiude uno dei corridoi principali perché i tecnici stanno portando via i server. La cassetta di metallo dove venivano raccolti i curriculum è vuota. Per Francesca Randazzo, operatrice del 1500 e sindacalista della Cisl, è l’ultimo giorno di presenza in questa sede. Fino al 31 dicembre sarà a casa, in smart working, come un altro centinaio di colleghi.

La cassetta dei curriculum nella sede di Almaviva (il Post)

Randazzo iniziò a lavorare per Almaviva nel 2003, quando aveva 21 anni, nella vecchia sede palermitana di via Marcellini, insieme ad altre tremila persone. Nel marzo 2020 venne spostata al servizio 1500, una sorta di numero verde che chiunque può chiamare a qualsiasi ora per chiedere informazioni relative alla pandemia.

Nel periodo delle restrizioni, dice Randazzo, le persone chiedevano se potevano andare a fare la spesa, incontrare parenti e amici, a che distanza da casa potevano arrivare camminando, se potevano andare all’estero o rientrare in Italia. Le chiamate erano tantissime, migliaia ogni giorno. Almaviva dedicò circa 520 tra operatrici e operatori a questo servizio: 220 nella sede di Palermo, 200 a Catania e altri tra Milano, Napoli e Rende, in provincia di Cosenza.

«Eravamo abituati a gestire clienti di compagnie telefoniche, ci siamo ritrovati a rispondere a persone che chiedevano aiuto e conforto», dice Randazzo, che tra le tante chiamate ne ricorda una ricevuta nel marzo 2020 da un uomo positivo al coronavirus. Dormiva in auto, nel parcheggio sotto casa, per non infettare la moglie e la figlia neonata: «non sapeva a chi rivolgersi e piangeva».

Dallo scorso anno, con la rimozione delle principali restrizioni, le persone hanno iniziato a chiedere informazioni sulla campagna vaccinale. Le chiamate sono via via diminuite. Da quando sono state tolte tutte le misure di prevenzione obbligatorie c’è pochissimo lavoro e per questo sono aumentati i giorni di cassa integrazione. Inizialmente la scadenza del contratto tra il ministero della Salute e Almaviva era stata fissata al 31 ottobre, poi il ministero ha comunicato una proroga fino al 31 dicembre. Ma nel frattempo nessuno si è preoccupato di trovare un’alternativa alla chiusura del servizio e quindi ai licenziamenti: alle proteste dei lavoratori e dei sindacati non sono seguite rassicurazioni decisive.

Almaviva fu tra le prime aziende ad aprire sedi in Sicilia, nei primi anni Duemila. La crescita significativa dei call center avvenne in modo particolare tra Palermo e Catania principalmente per due motivi: la Regione introdusse agevolazioni fiscali per l’assunzione delle persone con meno di 30 anni e soprattutto in Sicilia c’era molta più disponibilità di giovani lavoratori rispetto ad altre regioni.

Marcello Cardella, segretario generale della Slc Cgil di Palermo, il sindacato lavoratori della comunicazione, spiega che la crescita fu caotica, con poche regole e nessuna tutela per gli operatori: «Le aziende assumevano con contratti a due o tre mesi, senza nessuna certezza economica, e con una continua rotazione degli operatori». Ci furono molti casi di lavoro a cottimo, con compensi a chiamata e variabili di giorno in giorno a prescindere dalla durata della telefonata.

Uno dei corridoi del call center di Almaviva durante il trasloco dei server (il Post)

Nel 2006 le proteste dei sindacati e le iniquità evidenti convinsero l’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano ad approvare una circolare, nota come circolare 17, che impose alle aziende di assumere gli operatori dei cosiddetti call center inbound. I call center inbound sono strutture a cui il cliente si rivolge per ricevere informazioni oppure assistenza telefonica. I call center outbound, invece, sono strutture nelle quali l’operatore contatta i potenziali clienti per proporre prodotti o servizi da vendere. In seguito alla circolare, le aziende stabilizzarono 30mila operatori, di cui moltissimi siciliani.

La crisi dei call center iniziò nel momento in cui i committenti, quindi le grandi aziende e le compagnie telefoniche, cominciarono a pubblicare bandi di gara a costi molto ridotti. «Pur di mantenere il lavoro, i call center accettavano commesse con un ribasso eccessivo, ma in questo modo non era più possibile pagare gli operatori in modo adeguato perché il costo del lavoro superava i ricavi», dice Cardella.

Molti lavoratori furono messi in cassa integrazione e ci furono anche licenziamenti. Nella notte tra il 21 e il 22 dicembre del 2016 Almaviva licenziò 1666 persone che lavoravano nella sede di Roma, uno dei licenziamenti più corposi degli ultimi decenni.

Nel 2016 dopo una lunga trattativa sindacale fu introdotta la clausola sociale, una tutela molto significativa per i lavoratori: nel caso in cui il committente decida di cambiare gestore di call center, il nuovo gestore deve assumere gli operatori che lavoravano al precedente appalto e deve farlo nel territorio in cui già lavoravano. Questo obbligo garantì stabilità a quello che fino a pochi anni prima era considerato un “lavoretto”.

Negli ultimi dieci anni, tuttavia, non ci sono stati miglioramenti anche per via della difficoltà di adattamento del settore ai notevoli cambiamenti favoriti dallo sviluppo tecnologico. Le aziende hanno integrato servizi di assistenza clienti gestiti da chatbot, ​​ovvero software che simulano le conversazioni umane rispondendo alle richieste delle persone. I servizi offerti via app sono sempre più efficienti e rapidi. «Vent’anni fa si diceva che la tecnologia avrebbe creato una società migliore, in cui i lavoratori sarebbero stati più liberi da incombenze affidate ai computer, ma non è stato così», dice Claudio Marchesini, segretario regionale siciliano del sindacato Ugl telecomunicazioni. «È stata una bugia, e anche nel nostro settore la tecnologia ci ha sommerso».

Oggi in Sicilia sono rimaste molte commesse importanti: l’azienda Covisian gestisce l’assistenza clienti di Sky, ITA Airways, Regione Toscana, Regione Marche, Nespresso; Network-Contacts si occupa di Wind; Comdata di Tim, WindTre e una parte di Enel; System House ha commesse da Enel, Enel Energia e Poste Italiane; Abramo gestisce Tim.

(il Post)

I problemi più grossi riguardano il rispetto della clausola sociale, che negli ultimi anni le aziende committenti hanno cercato di eludere in diversi modi. Una delle trattative più importanti si è conclusa lo scorso giugno e ha riguardato ITA Airways. In sostanza, la compagnia aerea nata in seguito al fallimento di Alitalia sosteneva che non avesse l’obbligo di rispettare la clausola sociale in quanto nuova società. Al termine di una lunga trattativa è stato firmato l’accordo per l’assunzione di tutti i 522 operatori dell’ex call center di Alitalia.

Un’altra azienda che non vuole rispettare la clausola sociale è American Express, che ha annunciato di voler spostare il servizio di call center a Madrid al termine del contratto con Almaviva, in scadenza a febbraio. Gli operatori al lavoro nel call center di Palermo sono 39. Si occupano di rispondere e gestire le comunicazioni con le agenzie di viaggio. «La commessa scade a febbraio e non abbiamo ancora saputo nulla», dice Lorena Lullo, operatrice che lavora per il servizio di American Express dal 2017. «Non sappiamo se saremo in cassa integrazione oppure licenziati. Per ora non possiamo far altro che lavorare». Agli operatori non sono state offerte alternative, nemmeno la possibilità di trasferirsi pur di salvare il posto di lavoro.

La vicenda del 1500 è diversa rispetto agli altri casi perché il servizio sarà smantellato e non spostato. I sindacati, quindi, non possono far valere la clausola sociale. Per gli operatori del 1500 è una specie di beffa, perché fino al marzo del 2020 lavoravano tutti per commesse che sono ancora operative oppure sono state spostate ad altre aziende mantenendo i posti di lavoro grazie alla clausola sociale. Al 1500 sono stati destinati alcuni tra i migliori operatori e operatrici, che ora rimarranno senza lavoro.

In questo contesto, inoltre, le prospettive di trovare nuove commesse e salvare i posti di lavoro sono scarse perché Almaviva ha annunciato da tempo di volersi dedicare esclusivamente al mercato IT, information technology, cioè lo sviluppo di servizi informatici per le aziende, più redditizio e con prospettive decisamente migliori rispetto ai call center. In un’intervista a Repubblica Palermo, il presidente di Almaviva Andrea Antonelli ha detto che il settore dei call center è in crisi da dieci anni a causa di delocalizzazioni selvagge e gare al massimo ribasso.

(il Post)

Antonelli ha spiegato che a giugno, quando era stata decisa la penultima proroga del servizio 1500, il ministero della Salute aveva chiesto l’elenco degli operatori assegnati alla commessa in vista di una nuova gara per un servizio definito di “post emergenza”. Il cambio di governo ha rallentato tutto: soltanto la scorsa settimana, a meno di un mese dalla scadenza del contratto, i sindacati hanno partecipato a un incontro convocato dal ministero in cui è stato ipotizzato lo spostamento degli operatori a un servizio dedicato alle campagne vaccinali. Tuttavia si tratta di un’attività che garantirebbe al massimo 200 posti di lavoro, meno della metà dei 523 in scadenza.

Almaviva ha offerto agli operatori incentivi all’esodo da diecimila a venticinquemila euro a seconda della qualifica: hanno aderito in 80. Ad alcuni lavoratori è stato proposto lo spostamento ad altro servizio, altri 130 stanno seguendo corsi di formazione professionale per la gestione di reti cloud e sicurezza informatica.

Serena Settineri, tra le operatrici che stanno partecipando al corso, dice di avere accettato perché non aveva altre possibilità: «Siamo troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per trovare un lavoro in Sicilia, ma con questo corso dimostriamo di voler metterci in gioco di nuovo. Ci aspettavamo più attenzione da parte del governo: non si possono lasciare a casa 500 persone che fino a ieri erano considerate salvatrici della patria».

La segreteria della sede di Almaviva a Palermo senza più personale (il Post)

Anche i sindacati chiedono al governo di trovare presto una soluzione, per esempio con una nuova commessa per un servizio di assistenza legato al servizio sanitario nazionale o alla Protezione civile. Il tempo stringe. Marchesini, segretario dell’Ugl, un sindacato storicamente di centrodestra, dice che si aspettava più tutele e attenzione sociale da parte del governo guidato da Giorgia Meloni. «Non è una questione di rosso o nero, ma di inchiostro sulla busta paga dei lavoratori», spiega. Nelle ultime vertenze aperte per le commesse gestite da Almaviva l’Ugl ha sempre collaborato con Cgil, Cisl e Uil.

Pur continuando a provare a mantenere più posti possibili, anche i sindacati sembrano essere piuttosto disillusi sul futuro dei call center in Sicilia. La dismissione portata avanti da Almaviva, temono diversi sindacalisti, sarà il primo di una serie di ridimensionamenti che avranno conseguenze notevoli sull’occupazione. «Siamo all’epilogo», dice Emiliano Cammarata, segretario del sindacato Slc Cgil di Palermo. «Ma quella del 1500 è una crisi più grave rispetto alle altre, perché queste persone si sono messe a disposizione per lo Stato in un momento di difficoltà e oggi sono abbandonate dallo stesso Stato».