L’economia britannica è ancora in guai seri

Nonostante i ripensamenti il governo di Liz Truss non ha riguadagnato credibilità tra gli investitori, e la sterlina continua a perdere valore

(AP/David Cliff)
(AP/David Cliff)
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Venerdì dovrebbe scadere il piano di emergenza con cui la Banca d’Inghilterra, la banca centrale del Regno Unito, aveva messo in sicurezza i mercati finanziari britannici dopo alcune mosse avventate e disastrose del governo conservatore di Liz Truss, che avevano provocato il crollo della sterlina. Davanti alla possibilità che la Banca d’Inghilterra potesse interrompere l’acquisto emergenziale di bond, gli investitori sono tornati a mostrare tensione e nervosismo, segno che la crisi finanziaria nel Regno Unito è lontana dall’essere finita e che la tranquillità degli ultimi giorni è stata soltanto apparente.

Il problema che aveva fatto cominciare la crisi rimane, e alla prova dei fatti la prima ministra Liz Truss ha fatto poco e niente per ristabilire la credibilità del governo dopo aver provocato un grave crollo finanziario con le sue proposte di riforma fiscale.

Il 23 settembre il Cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente del nostro ministro dell’Economia) Kwasi Kwarteng, membro del governo conservatore guidato da Liz Truss, aveva annunciato un grande piano di riduzione delle tasse ai ricchi finanziato a debito, che era stato giudicato dai mercati rischioso e poco sostenibile, e aveva fatto crollare la sterlina e salire i rendimenti sui titoli di stato a livelli record. I rendimenti troppo alti sono un serio problema: più il prezzo di un titolo scende, più il rendimento che assicura sarà alto. È una relazione inversa che rappresenta il fatto che più un titolo è percepito come rischioso, più gli investitori chiederanno un tasso di interesse elevato, il cosiddetto premio per il rischio.

A quel punto, la Banca d’Inghilterra era dovuta intervenire con un piano di emergenza per calmare gli investitori sui mercati finanziari, e il governo aveva ritirato una delle misure del piano, quella che cancellava l’aliquota fiscale per i redditi più alti.

L’intervento della Banca d’Inghilterra era stato una misura eccezionale, e ha rappresentato un forte segnale del fatto che il crollo della sterlina stesse diventando un problema sempre più serio per il Regno Unito, che avrebbe potuto coinvolgere non soltanto la valuta, ma tutta l’economia. Tra gli altri, sono considerati particolarmente a rischio i fondi pensione, che sono tra gli investitori finanziari più esposti perché tradizionalmente detengono nei loro portafogli molti titoli di stato, che sarebbero tra i meno rischiosi in tempi normali.

Il piano straordinario della Banca d’Inghilterra negli scorsi giorni aveva dato un po’ di respiro all’economia britannica, ma si dovrebbe concludere venerdì 14 ottobre.

Inizialmente, i mercati avevano sperato che la fine del piano sarebbe stata rimandata, come era stato anticipato da alcuni giornali, in particolar modo dal Financial Times. Ma al momento sembra che il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey sia deciso a far terminare il piano, anche perché un programma prolungato di acquisto di titoli sarebbe in contrasto con l’obiettivo della Banca d’Inghilterra di aumentare i tassi di interesse per ridurre l’inflazione (una politica che stanno perseguendo le banche centrali di tutto il mondo, come la Banca Centrale Europea).

Per questo, l’avvicinarsi della rigida scadenza di venerdì ha agitato gli investitori e in questi giorni il valore della sterlina è quindi tornato a scendere e i rendimenti dei titoli di stato a salire. Il nervosismo sui mercati finanziari in vista della fine di questo programma, che rendeva di fatto il mercato britannico più liquido e stabile, è un chiaro segno del fatto che al netto di questo intervento straordinario le cose non sono poi così cambiate e che il Regno Unito è percepito ancora come rischioso. Gli investitori avevano deciso di non vendere in modo massiccio solo perché sapevano che c’era l’impegno della Banca d’Inghilterra a tenere alto il valore della sterlina e basso il rendimento dei titoli di stato.

Si potrebbe essere tentati di concludere che l’intervento straordinario della banca centrale britannica sia stato un fallimento. Tutt’altro: gli acquisti di emergenza hanno frenato il tracollo della sterlina e dei titoli di stato britannici iniziato con l’annuncio di Kwarteng del 23 settembre.

Ma l’intervento della banca centrale può arrivare solo fino a un certo punto. I rendimenti dei titoli di stato sono aumentati perché gli investitori hanno deciso che il Regno Unito è diventato più rischioso. Questo non è un problema che la Banca d’Inghilterra può risolvere: il governo di Liz Truss ha generato notevoli dubbi sulla credibilità delle finanze pubbliche britanniche ed è il governo a dover cercare di ripristinare la fiducia. Una banca centrale deve limitarsi a garantire la stabilità finanziaria, e non può intervenire sui mercati per sistemare un pasticcio politico.

Per ristabilire la credibilità, Truss deve prendere decisioni difficili e politicamente svantaggiose.

Dopo averle già dedicato una copertina molto critica, l’Economist ha soprannominato la prima ministra britannica “the iceberg lady”, un enorme pezzo di ghiaccio contro cui si è schiantata la sostenibilità dell’economia britannica. Secondo il settimanale britannico, Truss e Kwarteng avrebbero fatto poco o niente finora per risollevare la credibilità del governo. Avrebbero intrapreso solo le azioni più semplici, come rinunciare a tagliare l’aliquota fiscale sui redditi oltre le 150 mila sterline (circa 170 mila euro), ossia la misura più impopolare e iniqua, e anticipare al 31 ottobre – di quasi un mese – la presentazione del piano fiscale di lungo termine per placare i mercati.

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Restano ancora le scelte difficili, che secondo l’Economist possono essere principalmente due: la prima è di andare avanti con il piano di taglio delle tasse (che rimane in piedi ed è ancora molto costoso, benché sia stato eliminato il taglio delle tasse ai più ricchi). In questo caso, però, il governo dovrà fare enormi tagli alla spesa pubblica per mettere in ordine i conti pubblici. L’Institute for Fiscal Studies, un gruppo di esperti britannici, ritiene che il governo debba tagliare la spesa pubblica per un valore di circa 60 miliardi di sterline (circa 67 miliardi di euro, pari al 2 per cento del PIL) per colmare i buchi creati dai tagli alle tasse, dall’aumento dei costi degli interessi sul debito pubblico e dal deterioramento delle prospettive economiche.

Un’altra opzione, sempre secondo l’Economist, sarebbe quella di rimangiarsi del tutto il grande piano di riduzione delle tasse che molto ricorda le politiche fiscali degli anni Ottanta. Il Fondo Monetario Internazionale, nel suo rapporto sulle prospettive dell’economia globale, l’ha specificatamente auspicato, facendo anche notare come politiche del genere non sono solo inique, ma rischiano di far accelerare ulteriormente l’inflazione. È la seconda volta che l’istituto invita pubblicamente il governo britannico a ritirare il piano: l’aveva già fatto a fine settembre, con una dichiarazione piuttosto insolita. È però piuttosto difficile immaginare che Truss possa rinunciare del tutto al suo progetto di punta.

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