La BCE ha annunciato il più grande aumento dei tassi nella sua storia

Era atteso dagli analisti e dai mercati finanziari, ma è stata comunque una decisione piuttosto controversa

di Mariasole Lisciandro

La presidente della BCE Christine Lagarde (Ronald Wittek - Pool/Getty Images)
La presidente della BCE Christine Lagarde (Ronald Wittek - Pool/Getty Images)
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La Banca Centrale Europea ha annunciato un aumento dei tassi di interesse di riferimento di 75 punti base (in termini pratici dello 0,75 per cento), il più grande da quando esistono l’euro e la BCE stessa. Già a luglio i tassi erano stati aumentati di 50 punti, dopo 11 anni che erano fermi a zero, e la presidente della BCE Christine Lagarde ha anche detto che nei prossimi mesi dovrebbero esserci altri rialzi, con l’obiettivo di contenere l’aumento dell’inflazione nell’area dei paesi che adottano l’euro (la cosiddetta “Eurozona”).

Era un annuncio molto atteso, che non ha sorpreso gli analisti, ma che tuttavia rischia di essere controverso per l’ampiezza della misura. Con un aumento così corposo dei tassi d’interesse, infatti, la BCE ha deciso di correre un rischio: per colpire in maniera decisa l’inflazione, potrebbe finire per rallentare l’economia dell’Eurozona più del previsto, aumentando il rischio di una recessione. Gli effetti concreti dell’aumento dei tassi, tuttavia, si vedranno soltanto nei prossimi mesi.

In conferenza stampa Lagarde ha anche presentato le nuove stime per l’economia dell’Eurozona: sono state riviste al ribasso le proiezioni sul Prodotto interno lordo (PIL), che crescerà del 3,1 per cento quest’anno, per poi rallentare allo 0,9 per cento l’anno prossimo e risalire all’1,9 nel 2024. Lagarde ha anche detto che però ci sono consistenti rischi, soprattutto legati alle forniture di gas dalla Russia, che potrebbero portare l’area dell’euro in recessione il prossimo anno, con una riduzione possibile dello 0,9 per cento.

L’inflazione poi dovrebbe attestarsi all’8,1 per cento nel 2022, al 5,5 per cento l’anno prossimo per poi calare di nuovo al 2,3 nel 2024. L’inflazione di fondo, quella al netto di energia e beni alimentari, è prevista al 3,9 per cento nel 2022, 3,4 per cento nel 2023 e 2,3 per cento nel 2024.

Perché le banche centrali muovono i tassi di interesse
I tassi di interesse sono lo strumento principale a disposizione delle banche centrali per l’indirizzo della politica monetaria, ossia quell’insieme di decisioni che orientano l’andamento della moneta, dei mercati finanziari e soprattutto dell’inflazione. Sono i tassi a cui le banche centrali prestano alle altre banche e rappresentano il costo del denaro.

Quando si riducono l’obiettivo è stimolare l’economia: bassi tassi di interesse invogliano a prendere a prestito denaro per comprare cose o investire. Per esempio, le persone comprano più case, così si assumono più operai per costruirle o ristrutturarle, questi a loro volta spenderanno e l’economia cresce. Quando si aumentano l’obiettivo è opposto. Si vuole infatti “raffreddare” un’economia che sta crescendo troppo, in cui si vuole consumare molto di più di quanto il sistema riesca a produrre, con un conseguente aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione.

Semplificando molto, con tassi più alti fare investimenti diventa meno conveniente: diventa più costoso chiedere un mutuo per comprare una casa, un prestito per comprare un’auto, o un finanziamento per aprire una nuova impresa. Il risultato è che spesso consumatori e imprenditori rimandano gli investimenti, provocando un “raffreddamento” dell’economia e dunque una diminuzione dell’inflazione: si compra meno, si investe meno, e i prezzi si abbassano.

La decisione di aumentarli così tanto è stata piuttosto difficile perché si è dovuto fare una sintesi di tante esigenze. Da una parte ci sono cittadini e imprese che ogni giorno fanno i conti con aumenti dei prezzi parecchio destabilizzanti. L’euro è molto debole e ha perso oltre il 12 per cento dall’inizio dell’anno fino a muoversi intorno alla parità con il dollaro, cosa che non succedeva da vent’anni e che crea molti problemi perché rende le importazioni, come quelle di petrolio, più care. Dall’altra però ci sono tanti segnali che indicano l’inizio di un rallentamento dell’economia, che potrebbe addirittura avviarsi verso una recessione a causa delle gravi conseguenze e incertezze della guerra in Ucraina.

Quindi, è vero che la BCE aumenta i tassi per tenere sotto controllo l’inflazione, ma c’è un effetto collaterale: se l’economia si raffredda troppo si rischia una recessione, dalla quale poi può diventare complicato uscire. Per questo le banche centrali hanno un compito particolarmente delicato: devono “raffreddare” l’economia a sufficienza da mettere sotto controllo l’inflazione, ma non troppo. Quest’equilibrio è inoltre difficilissimo da raggiungere, perché gli effetti dell’aumento dei tassi si vedono di solito dopo mesi, e non ci sono indicatori affidabili per prevedere come andranno le cose.

Il compito è reso poi ancora più complicato dal fatto che l’economia è destinata a rallentare lo stesso. La guerra in Ucraina ha aumentato tantissimo il costo dell’energia e ha provocato scarsità di tante materie prime di cui le industrie hanno bisogno. Tante imprese si stanno fermando, perché produrre con questi costi rischia di essere addirittura controproducente. Dopo la pandemia, si è creata di nuovo una grande incertezza: le aziende si stavano iniziando a riprendere e ora si trovano in una situazione in cui non si sa quando finirà la guerra e quando le cose torneranno normali.

Quanto vale l’inflazione nell’area euro
L’inflazione, ossia l’aumento generalizzato del livello dei prezzi, ad agosto ha registrato il 9,1 per cento su base annua, il tasso più alto da quando esiste l’euro (e un nuovo record dopo quello di giugno dell’8,9 per cento). In pratica vuol dire che se un bene lo scorso agosto costava 100 euro, oggi ne costa 109,1.

Questo valore è una media: ci sono paesi che hanno superato il 20 per cento, come l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, altri hanno registrato un dato sopra il 10 per cento, come la Grecia, la Spagna, il Belgio e i Paesi Bassi, e altri sono rimasti sotto questa soglia, come l’Italia (9 per cento, in lieve rallentamento dall’8 del mese precedente), la Germania (8,8 per cento) e la Francia (6,5 per cento).

Tutto il mondo sta affrontando un consistente aumento generale dei prezzi, sia per tutte le distorsioni che ha creato la pandemia, come la mancanza di molti materiali e la strozzatura nelle catene di produzione, che per il rincaro del costo dell’energia causato prevalentemente dalla guerra in Ucraina.

Su livelli accettabili, l’inflazione è una componente sana dell’economia, perché è l’indicatore di una domanda sostenuta di beni e servizi. Le aziende producono, impiegano lavoratori, e le persone spendono. Varie banche centrali sostengono che il livello ideale di inflazione sia attorno al 2 per cento.

Ma le cifre ben più alte di questi mesi creano parecchie distorsioni e asimmetrie: le imprese sono disorientate nelle proprie scelte di rifornimento dei magazzini (comprare adesso con prezzi alti o aspettare che si riducano? E se, invece di calare, aumentano ancora?), mentre le famiglie stanno perdendo potere di acquisto perché continuano a percepire gli stessi redditi a fronte di un aumento dei prezzi.

In più, gran parte di questi aumenti deriva dall’energia, quindi da una componente esterna. Le bollette sono parecchio aumentate e le aziende sono costrette a riversare questo aumento dei costi di produzione nel prezzo finale. Questa è una dinamica tutt’altro che sana, al contrario di quanto avviene in caso di un’accettabile inflazione da domanda.

L’inflazione di fondo, ossia quella che esclude le componenti più volatili e imprevedibili come energia e cibo, è pari al 5,5 per cento. Il che vuol dire che questi specifici rincari, quelli su energia e alimentari, spiegano oltre un terzo dell’inflazione complessiva.

Questo parametro misura quindi quell’aumento dei prezzi più radicato nell’economia: è vero che è parecchio sotto quella complessiva, ma ormai sta crescendo da mesi, segnalando che l’aumento dei prezzi si sta radicando all’interno del sistema economico.

 

L’inflazione preoccupa quindi troppo per non agire. Anche se l’inflazione europea deriva in larga parte dall’aumento del prezzo dell’energia, Lagarde ha spiegato che l’aumento dei prezzi ha ormai raggiunto vari settori in cui la domanda si è molto intensificata, come quello dei servizi. Ed è questa l’inflazione che il rialzo dei tassi mira a ridurre. Rispondendo a una domanda in conferenza stampa ha poi aggiunto:

«L’inflazione è un fenomeno tremendo, soprattutto per le persone meno privilegiate. Il nostro compito è riportare l’inflazione al 2 per cento e lo faremo. Ma non ci arriverà nel giro di qualche mese, perché serve tempo prima che le nostre decisioni producano effetti. E anche perché siamo davanti a un’inflazione da offerta. Io non posso ridurre il costo dell’energia. Io non posso convincere le grandi aziende energetiche a ridurre il prezzo del gas. Io non posso riformare il mercato dell’energia. La politica monetaria non può ridurre il prezzo dell’energia, ma contribuirà a ridurre le aspettative di inflazione, darà un segnale ai cittadini che noi siamo seri e che contribuiremo a ridurre i prezzi. Ma se le cause sono principalmente problemi di offerta e rincari dell’energia, questo riguarda il lavoro di qualcun altro».

Tommaso Monacelli, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano e redattore del sito economico lavoce.info, fa notare che «l’inflazione di fondo è eccezionalmente alta. I prezzi dell’energia hanno una serie di effetti sui costi di produzione e sui salari, per cui si è attivato quel meccanismo di persistenza per cui da fenomeno esterno si è diffuso ai vari settori. Una banca centrale deve agire su questo, è proprio questo il suo lavoro».

La dinamica dell’inflazione europea è stata negli scorsi mesi piuttosto diversa da quella degli Stati Uniti, dove invece è stata trainata fin dall’inizio dalle classiche dinamiche di mercato. Questo spiega anche la differenza tra gli approcci di BCE e Federal Reserve, la banca centrale americana, che da inizio anno ha già aumentato i tassi di interesse di 250 punti base.

Molti analisti si stanno chiedendo se la BCE non stia sottovalutando il rischio di un rallentamento dell’economia più improvviso del previsto e se sia opportuno alzare i tassi di interesse proprio nel momento in cui una recessione è così vicina.

Lagarde ha risposto che l’approccio è meeting-by-meeting, nel senso che la BCE prenderà decisioni volta per volta sulla base dei dati che arrivano. Monacelli però fa notare come «una comunicazione di questo tipo sia stranamente confusa. Perché mentre dice che l’approccio è meeting-by-meeting poi si annunciano già aumenti dei tassi nei prossimi mesi. Questo è un regime di politica monetaria incomprensibile».