• Mondo
  • Martedì 4 ottobre 2022

Il ritorno di Margaret Thatcher e Tony Blair

I leader dei Conservatori e Laburisti britannici, Liz Truss e Keir Starmer, fanno grande leva sulla nostalgia, con continui riferimenti a due importanti primi ministri del passato

(Paul Rogers - WPA Pool/Getty Images)
(Paul Rogers - WPA Pool/Getty Images)
Caricamento player

Nel Regno Unito il dibattito politico di queste settimane è stato dominato da due figure molto diverse: la prima ministra Liz Truss, leader del partito Conservatore, il cui piano per contrastare la crisi economica è stato accolto in maniera pessima dall’opinione pubblica e dai mercati finanziari, e il segretario del partito Laburista Keir Starmer, che invece ormai da mesi gode di estesi consensi personali e ha riportato il partito sopra il 40 per cento nei sondaggi dopo molti anni. Truss e Starmer però hanno in comune una cosa: entrambi si ispirano dichiaratamente a due leader politici e primi ministri del passato, rispettivamente Margaret Thatcher e Tony Blair.

«Oggi la politica britannica è una gigantesca fiera di cosplayer: Truss vuole interpretare Thatcher, Starmer vuole essere Blair. Nessuno che si costruisca un percorso a prescindere da modelli e aspettative», ha commentato l’analista politico scozzese Ross Colquhoun, sintetizzando le impressioni di molti sul fatto che un quadro politico che guarda soprattutto al passato sia indicativo di un paese avvolto dalla nostalgia un po’ a tutti i livelli.

L’intenzione di Truss di emulare Thatcher – la sua «eroina», scrive Politico – è stata notata e commentata da molti. I tagli delle tasse proposti da Truss in questi giorni sono per certi versi coerenti con le politiche adottate dalla Conservatrice Margaret Thatcher, prima ministra fra il 1979 e il 1990. Le principali riforme di Thatcher furono orientate alle privatizzazioni e alla riduzione delle tasse per i più ricchi, volte a limitare il più possibile il ruolo dello stato nella vita economica del paese. Thatcher tagliò i fondi ai servizi pubblici con enormi conseguenze per la classe lavoratrice britannica, con cui portò avanti per anni un durissimo conflitto sociale.

In varie occasioni Truss si è anche vestita e presentata nello stesso modo di Thatcher. Truss «si è avvolta nel manto di Thatcher», ha scritto di recente Mark Landler, capo della redazione londinese del New York Times.

Truss condivide la fascinazione per Thatcher con moltissimi dirigenti dell’attuale Partito Conservatore, entrati in politica subito dopo la fine del mandato dell’ex prima ministra, la cui ingombrante eredità politica non è mai stata realmente messa in discussione.

Il culto di Thatcher ha a che fare anche con quel periodo. A detta di molti furono gli ultimi anni in cui il Regno Unito fu considerato una potenza mondiale: nel 1980 il paese era il quinto più ricco al mondo – oggi è il sesto, ma la distanza dai primi due è aumentata a dismisura – ed era di gran lunga la potenza dominante in Europa dal punto di vista industriale, commerciale e culturale. Nel 1982 la vittoria contro l’Argentina nella guerra delle Isole Falkland-Malvinas diede nuova forza alle aspirazioni del Regno Unito di mantenere il proprio status di potenza globale, anche grazie al sostegno economico e politico delle ex colonie riunite nel Commonwealth.

Il mondo poi è andato in un’altra direzione: oggi il Regno Unito rimane una potenza globale soltanto sotto alcuni limitati aspetti, è in grossa difficoltà economica e la disgregazione sua e del Commonwealth appare ormai inevitabile. I tempi di Thatcher sembrano lontanissimi: ma proprio per questo, paradossalmente, sono tornati di moda.

«Nei 32 anni trascorsi dalle dimissioni di Thatcher, nessuno è andato vicino a quello che fece lei», ha spiegato a Politico lo storico Anthony Seldon, biografo di diversi primi ministri britannici. «Nessuno ha vinto tre elezioni di seguito, nessuno ha fatto sua la destra o fatto sentire il Regno Unito un paese forte come fece lei». Seldon spiega che la nostalgia nei confronti di Thatcher è sempre stata presente fra i Conservatori, «ma oggi si è accentuata perché il partito non sa cosa sia o cosa voglia».

Il Partito Conservatore sembra cercare da anni di vendere all’elettorato un’idea di paese basata sulla nostalgia e sovrapponibile a quello che il Regno Unito è stato fino agli anni Ottanta. I sostenitori di un’uscita dall’Unione Europea sostenevano che, libero dalle costruzioni burocratiche ed economiche imposte dall’Unione, il Regno Unito sarebbe diventato una “Singapore sul Tamigi”: un paese con giganteschi sgravi fiscali per le multinazionali, libero di stringere in autonomia accordi commerciali con mezzo mondo e di tornare al centro del settore economico, commerciale e finanziario.

«Vorrei avere di nuovo 21 anni. Mio dio, che cose meravigliose potranno fare i giovani: fare i bucanieri, commerciare, dominare di nuovo il mondo», disse durante una trasmissione di BBC il parlamentare Conservatore Iain Duncan Smith poche ore prima che il Regno Unito uscisse effettivamente dall’Unione Europea, il primo gennaio 2021.

Questa visione si è scontrata con una realtà molto diversa. Rispetto agli anni Ottanta, il Regno Unito ha un’economia e una società molto meno dinamica, oltre che molto più legata all’Europa dal punto di vista commerciale di quanto siano disposti ad ammettere i Conservatori. Prima di Brexit circa la metà degli scambi commerciali del paese avveniva con l’Unione Europea. Dal 2019 al 2021 le esportazioni britanniche verso l’Unione si sono ridotte del 25 per cento, e oggi il governo britannico non ha ancora trovato partner commerciali in grado di sostituire il mercato perso. La crisi economica ha inoltre costretto il governo britannico a ridurre i propri investimenti nella diplomazia e nei suoi sforzi di contare di più nel mondo.

Insomma: il Regno Unito non è più in grado di competere con le attuali potenze mondiali, ma un pezzo rilevante dei Conservatori continua a proporre la stessa idea di paese e le soluzioni economiche e sociali applicate ai tempi di Thatcher.

Di questo approccio ha parlato in maniera molto critica anche Ross Douthat, il principale commentatore politico conservatore del New York Times. In un articolo intitolato Sarà la nostalgia ad uccidere la destra britannica?, Douthat accusa il Partito Conservatore britannico di proporre «una strategia per la crescita degli anni Ottanta» frutto di «una nostalgia per Margaret Thatcher e Ronald Reagan», il presidente degli Stati Uniti in carica per i Repubblicani dal 1981 al 1989. «E quando i politici ritornano in un modo apparentemente irrazionale a idee che sembrano inadatte al presente, in cui si aggirano come zombie, è spesso segno che non hanno soluzioni chiare ai problemi di oggi. Il passato può avere dei difetti, ma in compenso appare piacevolmente familiare».

Quest’ultima affermazione sembra calzante anche per descrivere il rapporto che molti abitanti del Regno Unito hanno ancora oggi con la monarchia britannica, per esempio: il vecchio Impero britannico ha un oscuro passato coloniale, e provocato sofferenze per milioni di persone. Eppure la monarchia resta assai popolare, soprattutto fra i britannici più anziani: molti di loro erano legatissimi alla regina Elisabetta II, morta l’8 settembre dopo un regno durato 70 anni.

Anche il segretario laburista Keir Starmer dice di ispirarsi esplicitamente a un altro influente leader del passato: Tony Blair, un tempo popolarissimo primo ministro Laburista che governò per dieci anni spostando verso il centro le posizioni del partito in un momento in cui un po’ tutto il centrosinistra occidentale stava andando in quella direzione.

Negli scorsi mesi Starmer ha ammesso che si sente spesso con Blair e durante la più recente convention dei Laburisti ha detto che il partito deve tornare ad essere «l’ala politica del popolo britannico», un modo di dire attribuito proprio a Blair per segnalare la propria ostilità a proposte troppo radicali.

Sono dichiarazioni lontanissime dal predecessore di Starmer, Jeremy Corbyn, che nel suo mandato da segretario fra il 2015 e il 2020 aveva spostato molto a sinistra il partito. «Il partito Laburista è cambiato. Ci siamo spostati di nuovo verso il centro, ed è una cosa che vogliamo assolutamente far capire», ha detto al Guardian un portavoce dei Laburisti.

Keir Starmer (Ian Forsyth/Getty Images)

Starmer proviene dall’ala moderata del partito ed effettivamente alcune proposte incluse nella nuova piattaforma politica guardano più al centro che a sinistra: per esempio un nuovo piano per ingenti sgravi fiscali alle piccole-medie imprese, o ancora un piano per «fare funzionare Brexit» che non prevede un ritorno né nell’Unione Europea né nel mercato comune europeo o nella sua unione doganale, chieste più volte dall’ala più europeista del partito.

La maggior parte delle proposte laburiste restano comunque saldamente progressiste: se dovesse arrivare al governo, il partito vorrebbe aumentare la spesa pubblica, investire in sanità e istruzione, istituire un salario minimo da 15 sterline all’ora (circa 17 euro), accelerare sulla transizione verso un’economia più sostenibile per l’ambiente, creare un’unica azienda statale per la gestione dell’energia. Sono proposte comuni a molti partiti del centrosinistra europeo, che un po’ ovunque negli ultimi anni sono tornati a guardare più a sinistra che al centro.

Lo spostamento apparentemente controintuitivo dei Laburisti britannici verso il centro, soprattutto dal punto di vista della retorica e di alcune proposte, sembra avere come obiettivo quello di tornare un partito appetibile sia per i ricchi abitanti dell’Inghilterra centrale che votavano per Blair, sia per la classe operaia delle zone deindustrializzate che si era fatta conquistare da alcune proposte nazionaliste dei Conservatori.

Sembra significativo, comunque, che Starmer senta il bisogno di avvolgere la sua proposta politica in una confezione nostalgica per proporsi come un partito più istituzionale.

In un articolo di opinione pubblicato sul Guardian, il politologo William Davies spiega che la classe politica britannica è attualmente «senza timone», e lavora più per simboli e immagini forti – di cui la nostalgia è un potente catalizzatore – che per idee. Tutto questo non potrà durare a lungo, scrive Davies.

A un certo punto la realtà presenterà il conto a chiunque sarà al potere nei prossimi anni, come ha fatto con Boris Johnson. Gli ultimi sei anni ci hanno dimostrato che fare politica senza idee è possibile, ma non desiderabile né per i leader al potere né per il paese. Una narrazione astratta da sola non serve a niente; soltanto se ha una presa con la realtà aiuta a coordinare l’attività di governo, la campagna elettorale e la comunicazione politica, specialmente quando il futuro è più incerto che mai. L’alternativa, per usare una utile metafora di Dominic Cummings, è governare come un carrello della spesa, che sbanda senza sosta da un posto all’altro.