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  • Martedì 5 luglio 2022

L’indipendenza dell’Algeria, 60 anni fa

Dopo una sanguinosa guerra, nei primi giorni di luglio del 1962 l'Algeria divenne indipendente dalla Francia

Festeggiamenti ad Algeri per l'indipendenza dell'Algeria nel luglio del 1962 (AP Photo/Jacques Marqueton)
Festeggiamenti ad Algeri per l'indipendenza dell'Algeria nel luglio del 1962 (AP Photo/Jacques Marqueton)
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Oggi l’Algeria festeggia il proprio 60esimo Giorno dell’Indipendenza dalla Francia. Dopo una lunga e difficile guerra, il primo luglio del 1962 sei milioni di algerini votarono al referendum per rendere indipendente il proprio paese. Due giorni dopo il presidente francese Charles De Gaulle proclamò l’indipendenza dell’Algeria e il governo provvisorio algerino scelse il 5 luglio come Giorno dell’Indipendenza, per ricordare l’anniversario della presa della capitale Algeri da parte dell’esercito francese avvenuta in quel giorno del 1830.

L’occorrenza sarà festeggiata con una grande parata militare ad Algeri, la prima in 33 anni. Alle celebrazioni ci sarà il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, che era già stato primo ministro sotto la presidenza di Abdelaziz Bouteflika, dimessosi nell’aprile del 2019 (dopo quasi 20 anni al potere) in seguito a grandi proteste di piazza e alla perdita dell’appoggio dell’esercito.

L’Algeria divenne colonia della Francia nel 1830: nell’ambito della politica di assimilazione sostenuta dal governo francese dell’epoca fu dichiarata provincia del paese. Un paio di decenni dopo, in Algeria si erano ormai trasferiti più di un milione di francesi ed europei, con ruoli di prestigio e numerosi privilegi rispetto al resto della popolazione algerina.

Nacquero i primi gruppi indipendentisti, ma solo nella seconda metà del Novecento la loro organizzazione divenne più omogenea con la fondazione del Comitato rivoluzionario d’unione e d’azione e in seguito con il Fronte di liberazione nazionale (FLN), che segnò il passaggio alla lotta armata. Negli ultimi mesi del 1954 si registrarono i primi scontri tra FLN ed esercito francese, determinando le prime fasi di quella che sarebbe diventata la guerra d’Algeria. Il FLN aveva un ruolo pressoché egemone nella politica locale e aveva una forte influenza sulle decisioni degli altri partiti.

Parallelamente all’inizio della lotta armata, gli algerini si definirono comunque disponibili ad avviare trattative con il governo francese per l’indipendenza dell’Algeria. All’epoca il ministro dell’Interno in Francia era François Mitterrand – che anni dopo sarebbe diventato presidente della Repubblica – contrario a qualsiasi trattativa. Il suo primo ministro, Pierre Mendès France, era dello stesso avviso e non riteneva possibile arrivare a compromessi quando c’era da «difendere la pace interna della nazione, l’unità e l’integrità della Repubblica».

La repressione da parte della Francia fu particolarmente violenta e il conflitto divenne via via più duro, soprattutto in seguito alla concessione da parte francese dell’indipendenza di Marocco e Tunisia.

Nell’autunno del 1956 iniziò la battaglia di Algeri, la più famosa dell’intero conflitto: furono piazzate bombe in tre luoghi della capitale frequentati per lo più da coloni francesi. Il governatore generale dell’Algeria schierò l’esercito e nei primi giorni del 1957 in città arrivarono circa 7mila paracadutisti mentre veniva proclamata la legge marziale.


L’iniziativa militare servì per vincere la battaglia, ma iniziarono a circolare le prime notizie sulle violenze e i metodi brutali impiegati dai soldati sulla popolazione algerina. Si iniziò a parlarne a livello internazionale, con molti politici e osservatori che misero in discussione l’occupazione francese dell’Algeria.

La situazione algerina fu fortemente condizionata dagli andamenti politici in Francia, dove una riforma costituzionale stava portando il paese verso un sistema semipresidenziale fortemente voluto da De Gaulle, protagonista della liberazione della Francia dal regime nazista nella Seconda guerra mondiale. Da presidente, De Gaulle era considerato un garante dell’Algeria francese soprattutto dai cosiddetti pied-noirs, i francesi d’Algeria contrari all’indipendenza. De Gaulle rivide però buona parte delle proprie posizioni, iniziando a parlare della necessità di una «Algeria algerina» già nel 1960, riconoscendo poco dopo il FLN come un interlocutore per il processo di indipendenza.

L’apertura di un dialogo non piacque ai coloni algerini, all’esercito e a parte dell’opinione pubblica in Francia, perché fu vissuta quasi come un tradimento dopo gli anni di guerra contro l’indipendentismo.

Il processo era però ormai avviato: nel 1961 un referendum organizzato ad Algeri mise in evidenza l’esistenza di una maggioranza a favore dell’autodeterminazione dell’Algeria. Il governo francese avviò segretamente i negoziati con il governo provvisorio algerino, poi nell’aprile fu annunciato un imminente incontro tra le parti, che spinse alcuni generali francesi contrari all’indipendenza a occupare alcune aree della città tentando di organizzare un colpo di stato militare.


De Gaulle non la prese bene: disse pubblicamente che parte dell’esercito stava cercando di installare un «potere insurrezionale» in Algeria. Il colpo di stato fallì, centinaia di ufficiali furono esclusi dal comando, alcuni furono arrestati e altri confluirono in un’organizzazione paramilitare clandestina che negli anni seguenti condusse attentati sia in Algeria sia in Francia.

I negoziati con il FLN intanto proseguivano, anche grazie alla mediazione della Svizzera, ed ebbero i loro sviluppi più rilevanti a partire dal maggio del 1961 con due incontri a Évian-les-Bains in Francia. L’anno seguente, le delegazioni concordarono la cessazione delle ostilità e il futuro assetto dei due paesi. Fu l’ultimo passaggio prima del referendum nell’estate dello stesso anno, che portò infine al riconoscimento dell’indipendenza.


La guerra d’Algeria causò nel complesso più di 400mila morti tra gli algerini, quasi dieci volte quelli tra i francesi. Furono necessari decenni prima che la Francia riconoscesse formalmente le violenze e gli abusi compiuti durante il conflitto. Nel 2018, il presidente Emmanuel Macron ammise per la prima volta che i membri dell’esercito francese furono responsabili di omicidi e torture; tre anni dopo decretò la desecretazione di numerosi documenti sul periodo coloniale in Algeria, compreso quello della guerra.

Oggi l’Algeria è una repubblica presidenziale democratica, anche se l’esercito continua ad avere una grande influenza sulle attività politiche nel paese. La Costituzione prevede che i partiti si possano organizzare liberamente, ma devono ricevere un’approvazione da parte del ministero dell’Interno che certifichi l’assenza di basi discriminatorie sia di tipo religioso che linguistico e regionale. Nonostante i principî democratici, per quasi 20 anni la politica e l’assetto stesso del paese sono stati sensibilmente condizionati dalla presidenza di Bouteflika.

Nel 2019 le grandi proteste contro Bouteflika, malato da tempo, avevano portato alla rinuncia del presidente a candidarsi per un nuovo mandato e lo avevano poi indotto a dare le dimissioni. Le proteste avevano in realtà riguardato l’intero sistema politico algerino e il circolo ristretto di persone che si riteneva avesse esercitato il potere negli ultimi anni al posto del presidente. Secondo molti osservatori, Bouteflika era manovrato da un gruppo politico, militare ed economico molto potente e influente che tuttora controlla il Fronte di Liberazione Nazionale, il partito che governa il paese dall’indipendenza nel 1962.

Dall’autunno del 2019 il presidente dell’Algeria è Abdelmadjid Tebboune, che si è dovuto confrontare con una situazione politica instabile. All’inizio del 2021, Tebboune aveva disposto lo scioglimento della Camera bassa del Parlamento e aveva convocato le elezioni in anticipo di un anno rispetto alla fine della legislatura. La Camera bassa era stata eletta nel 2017 ed era ancora composta per la maggior parte dagli alleati di Abdelaziz Bouteflika.

L’Algeria mantiene da tempo un rapporto stretto con l’Italia, soprattutto per le numerose collaborazioni legate all’esportazione di gas verso il nostro paese, con iniziative commerciali che coinvolgono ENI. Negli ultimi mesi, il crescente costo del gas dovuto alla crisi energetica e alla guerra in Ucraina ha portato i due paesi a stringere nuovi accordi, proprio per potenziare le forniture e ridurre la dipendenza dell’Italia dal gas russo.