Anche in Italia c’è una causa allo stato per il clima

24 associazioni e 179 persone vogliono che un giudice ordini al governo di ridurre le emissioni di gas serra del 92 per cento, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030

Una manifestazione di alcune delle persone che hanno fatto causa allo stato italiano per il clima davanti alla sede della Camera dei Deputati, a Roma, il 5 giugno 2021 (Giudizio Universale)
Una manifestazione di alcune delle persone che hanno fatto causa allo stato italiano per il clima davanti alla sede della Camera dei Deputati, a Roma, il 5 giugno 2021 (Giudizio Universale)
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Negli ultimi anni in tutto il mondo organizzazioni ambientaliste e gruppi di cittadini (alcuni dei quali molto giovani) si sono messi a portare in tribunale stati e altre istituzioni per obbligarli ad adottare politiche più ambiziose e impegnative di riduzione delle emissioni di gas serra, la causa del cambiamento climatico. Ora ce n’è una anche in Italia: il 5 giugno 24 associazioni e 179 persone (17 delle quali minorenni) hanno fatto causa allo stato italiano, rappresentato dalla presidenza del Consiglio dei ministri, al tribunale civile di Roma.

Le richieste principali fatte dai ricorrenti al tribunale sono di dichiarare lo stato «responsabile della situazione di pericolo derivante dalla sua inerzia nel contrasto all’emergenza climatica» e ordinargli di ridurre le emissioni di gas serra del 92 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L’impegno per il 2030 preso dall’Unione Europea nel complesso è una riduzione del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, anno in cui le emissioni europee cominciarono a diminuire per l’introduzione di alcune prime politiche ambientali e per il crollo delle economie dell’ex blocco comunista, che inquinavano molto. Il picco di emissioni italiane invece è stato nel 2005 e quelle del 2018 erano del 17 per cento inferiori a quelle del 1990.

La riduzione del 92 per cento proposta dai ricorrenti è basata sull’analisi delle politiche sul clima fatta dalle organizzazioni indipendenti Climate Analytics e New Climate Institute. Con il loro Climate Action Tracker, stimano la riduzione delle emissioni a cui ogni paese dovrebbe puntare per mantenere l’aumento delle temperature medie globali rispetto ai livelli pre-industriali sotto 1,5 °C (come richiesto dall’accordo sul clima di Parigi del 2015) tenendo conto della sua ricchezza, cioè nell’ottica di una soluzione «equa» per tutti i paesi del mondo.

– Leggi anche: I giovani che portano gli stati in tribunale per il cambiamento climatico

La causa legale fa parte di una campagna di comunicazione chiamata Giudizio Universale e organizzata dall’associazione ambientalista A Sud. I ricorrenti – tra cui c’è anche il noto meteorologo Luca Mercalli – sono assistiti da un gruppo di avvocati esperti di diritto dell’ambiente: Luca Saltalamacchia, Raffaele Cesari e Michele Carducci, che insegna diritto costituzionale comparato e climatico all’Università del Salento.

Nel mondo sono più di mille i casi legali in corso relativi al cambiamento climatico. Quello che finora ha avuto probabilmente maggiore successo è stato in Germania: alla fine di aprile la Corte costituzionale del paese, infatti, ha ordinato al governo di cambiare la propria legge sul clima dando ragione a un gruppo di persone secondo cui la legge violava le loro libertà, perché insufficientemente ambiziosa e rigida. La causa tedesca ci ha messo tre anni ad arrivare al massimo grado di giudizio: per quella italiana, se dovesse procedere bene, ce ne vorranno sicuramente di più per via dei tempi più lunghi della giustizia italiana ed è probabile che il procedimento non avrà grandi conseguenze in termini pratici, anche solo perché si concluderà troppo tardi per cambiare gli obiettivi di riduzione di emissioni al 2030. Tuttavia la causa potrebbe influenzare la politica.

Tra i ricorrenti non ci sono le organizzazioni ambientaliste più note in Italia, cioè Legambiente e Greenpeace, ha notato un articolo di Domani: il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio ha detto al quotidiano che «in Italia la politica dipende da alcune grandi aziende» suggerendo che cause contro le grandi aziende piuttosto che contro lo stato potrebbero essere più efficaci. La stessa Greenpeace ha partecipato a una causa di questo genere nei Paesi Bassi, contro la grande società petrolifera Royal Dutch Shell: il 26 maggio un tribunale dell’Aia ha stabilito che entro il 2030 dovrà ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45 per cento rispetto ai livelli del 2019, una riduzione molto più alta di quella promessa dall’azienda.