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  • Giovedì 6 maggio 2021

I giovani che portano gli stati in tribunale per il cambiamento climatico

Ci sono tanti procedimenti in corso, e l'accusa è spesso di violare i diritti umani delle nuove generazioni con politiche insufficienti

Una manifestazione del movimento Fridays For Future a Roma, il 9 ottobre 2020 (AP Photo/Gregorio Borgia, La Presse)
Una manifestazione del movimento Fridays For Future a Roma, il 9 ottobre 2020 (AP Photo/Gregorio Borgia, La Presse)

In Germania si deve cambiare la legge sulla riduzione delle emissioni di gas serra perché la Corte costituzionale ha dato ragione a un gruppo di persone secondo cui la legge violava le loro libertà, in quanto insufficientemente ambiziosa e rigida. Era già successa una cosa simile nel 2019, quando la Corte suprema dei Paesi Bassi aveva ordinato al governo olandese di far di più contro il cambiamento climatico per rispettare i diritti umani. In entrambi i casi tra chi aveva fatto ricorso contro le leggi in vigore sul clima c’erano persone molto giovani: in Germania ad esempio la 22enne Sophie Backsen, nei Paesi Bassi il 21enne Damian Rau.

Negli ultimi anni moltissimi ragazzi e giovani adulti di tutto il mondo sono stati coinvolti dal movimento ambientalista Fridays for Future in manifestazioni e iniziative per il contrasto al riscaldamento globale, ma ancora prima che Greta Thunberg diventasse famosa c’erano giovani come Backsen e Rau che si sono rivolti ai tribunali per questioni relative al clima e ai diritti umani. Sono sempre di più nel mondo.

Attualmente il caso di cui si parla di più è quello di sei giovani portoghesi – con età comprese tra i 9 e i 22 anni – che, con il sostegno dell’organizzazione non profit Global Legal Action Network, si sono rivolti alla Corte europea per i diritti dell’uomo accusando 33 stati di aver violato i diritti umani per non aver preso sufficienti misure per mantenere l’aumento delle temperature medie globali sotto 1,5 °C, la richiesta preferenziale dell’accordo sul clima di Parigi.


I paesi coinvolti sono i 27 membri dell’Unione Europea (Italia compresa), la Norvegia, il Regno Unito, la Russia, la Svizzera, la Turchia e l’Ucraina. Stando a Climate Action Tracker, un’analisi delle politiche sul clima fatta dalle organizzazioni indipendenti Climate Analytics e New Climate Institute, gli attuali impegni per il clima di questi 33 paesi, se condivisi dal resto del mondo, porterebbero a un aumento delle temperature di 3-4 °C.

Secondo l’accusa nella causa dei giovani portoghesi, gli stati di questi paesi sarebbero andati contro tre articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’articolo 2, quello che stabilisce il diritto alla vita, perché gli effetti del cambiamento climatico in Portogallo, come i grandi incendi boschivi del 2017, minacciano proprio tale diritto. L’articolo 8, quello che stabilisce il diritto alla vita privata e familiare, perché i periodi di caldo intenso limitano il benessere fisico e mentale, costringendo a passare più tempo al chiuso. E infine l’articolo 14, quello che vieta le discriminazioni: le conseguenze peggiori del cambiamento climatico, secondo l’accusa, si ripercuoteranno principalmente sulle generazioni più giovani.

Nel caso che ha dovuto esaminare, la Corte costituzionale tedesca ha effettivamente stabilito che a una generazione non dovrebbe essere permesso di «consumare buona parte del bilancio di anidride carbonica sostenendo un onere relativamente leggero, se questo lascia le successive generazioni di fronte a un onere radicale e le loro vite esposte a una estesa perdita di libertà», in riferimento allo sforzo che sarà necessario dal 2030 in poi per ridurre le emissioni di gas serra se non si prenderanno provvedimenti più ambiziosi nel frattempo.

Alla fine di novembre la Corte europea per i diritti dell’uomo aveva accettato di occuparsi del caso dei giovani portoghesi in via prioritaria per «l’importanza e l’urgenza» delle questioni sollevate, dando inizio alla fase processuale e chiedendo ai governi coinvolti di rispondere alle accuse: dovranno farlo entro il 27 maggio. È probabile che cercheranno di convincere la Corte della non ammissibilità del caso, dato che in teoria si potrebbe ricorrere alla Corte solo dopo aver esaurito le vie di ricorso nazionali: Global Legal Action Network spera di poter contare su un’eccezione, dato che arrivare al massimo grado di giudizio in 33 paesi diversi non sarebbe stato affatto pratico né economico.

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Se i governi chiamati in causa non riusciranno a ottenere la non ammissibilità del caso, dovranno dimostrare, tra le altre cose, che le loro politiche non sono discriminatorie nei confronti dei giovani e spiegare come hanno tenuto conto dei loro interessi.

I giovani portoghesi vorrebbero che i paesi europei seguissero il metodo di Climate Action Tracker per stabilire i propri obiettivi di riduzione delle emissioni, che consiste nello stimare la riduzione “equa” per ogni paese sulla base della sua ricchezza, in linea con l’obiettivo comune di mantenere l’aumento della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali sotto 1,5 °C.

I paesi che riconoscono la Corte europea per i diritti dell’uomo sono impegnati a dare esecuzione alle sue decisioni, ma il tribunale non ha concretamente modo di obbligarli a rispettarle. Tuttavia se la vicenda dei giovani portoghesi dovesse concludersi con una sentenza a loro favore, il caso potrebbe essere un precedente importante in altri procedimenti di giustizia climatica e spingere altre persone a chiedere ai propri governi di impegnarsi di più per il clima.

I sei giovani portoghesi che si sono rivolti alla Corte europea per i diritti dell’uomo hanno assistito ai grandi incendi del 2017. Sophie Backsen e i suoi quattro fratelli invece vivono su un’isola del mare del Nord, Pellworm, che si trova a soli due metri sul livello del mare ed è quindi minacciata dal suo innalzamento, un’altra conseguenza del riscaldamento globale.

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Nel mondo ci sono più di mille casi legali in corso relativi al cambiamento climatico e tra gli stati accusati di non fare abbastanza da ragazzi e giovani adulti ci sono il Canada, la Colombia, la Corea del Sud, il Messico, il Perù e, da qualche giorno, il Regno Unito. Il primo maggio tre studenti di 19, 22 e 23 anni (si chiamano Marina Tricks, Jerry Amokwandoh e Adetola Stephanie Onamade) hanno fatto ricorso contro la legge sul clima del Regno Unito, sostenendo che non sia una risposta adeguata al cambiamento climatico e violi gli stessi tre articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali citati nel caso dei giovani portoghesi.

Tutti e tre gli studenti hanno origini straniere (la famiglia di Tricks proviene dal Messico, quella di Amokwandoh dal Ghana, quella di Onamade dalla Nigeria e da Trinidad e Tobago) e hanno sottolineato i legami tra varie forme di ingiustizia sociale e l’inquinamento, sostenendo ad esempio che nel Regno Unito le persone delle minoranze etniche vivano spesso nelle zone con i livelli di inquinamento dell’aria più alti.