Trump ha fretta sul vaccino, i produttori no

Ora che Pfizer e Moderna hanno pubblicato i dettagli sulle loro sperimentazioni, è ancora più evidente

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (Scott Olson/Getty Images)
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (Scott Olson/Getty Images)

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ritiene che un vaccino contro il coronavirus sarà disponibile entro metà ottobre, nonostante la realtà sia molto diversa e le stesse aziende farmaceutiche non abbiano ancora elementi per fare previsioni certe su tempi ed esiti delle sperimentazioni. Queste incertezze sono diventate ancora più evidenti negli ultimi giorni, in seguito alla diffusione di nuovi dettagli sui test clinici in corso, pubblicati da Pfizer e Moderna, impegnate nello sviluppo di vaccini ritenuti tra i più promettenti.

È molto raro che a uno stadio iniziale delle sperimentazioni un’azienda farmaceutica fornisca informazioni sui progetti che ha elaborato per valutare sicurezza ed efficacia di un proprio prodotto. Pfizer e Moderna hanno deciso di farlo in seguito alle forti pressioni ricevute negli Stati Uniti dalla comunità scientifica e da molti osservatori, preoccupati dal fatto che i tempi della sperimentazione potessero essere sfruttati a fini politici e forzati per portare a qualche risultato prima delle elezioni presidenziali, che si terranno il prossimo 3 novembre.

Oltre ai piani delle due sperimentazioni, i CEO di Pfizer e Moderna hanno confermato in alcune interviste di non avere ancora idea su se e quando i loro vaccini potranno essere pronti. Stéphane Bancel, a capo di Moderna, ha spiegato di non avere visto dati sulla “fase 3” della sperimentazione, che ha come obiettivo la valutazione della sicurezza e dell’efficacia del vaccino su un campione di migliaia di persone. Bancel ha però aggiunto che potrebbero essere raccolti dati a sufficienza per capire entro la fine di novembre se il vaccino di Moderna funzioni come ci si attende, mentre ha definito improbabile che si arrivi a qualcosa di concreto a ottobre, come più volte sostenuto da Trump.

Albert Bourla, il CEO di Pfizer, ha fornito valutazioni simili, dicendo di essere ottimista sulla possibilità di avere qualche dato sull’efficacia alla fine di ottobre. Difficilmente le informazioni saranno comunque diffuse prima del 22 ottobre, quando la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia governativa che si occupa della sicurezza dei farmaci, organizzerà un incontro per fare il punto sulla situazione dei vaccini.

Stando ai piani forniti dalle due aziende, i test clinici di Moderna coinvolgeranno 33mila volontari, mentre quello di Pfizer ne conterà 44mila. Entrambe le aziende hanno previsto che metà dei partecipanti riceva il vaccino e che l’altra metà riceva un placebo (una sostanza che non fa nulla, in questo caso una soluzione salina), senza che volontari e medici che li seguono sappiano quale dei due venga utilizzato. Per entrambi i vaccini sperimentali è necessaria la somministrazione di due dosi: a distanza di un paio di settimane per Moderna, e di tre settimane per Pfizer.

I volontari sono poi tenuti sotto controllo periodicamente, per verificare se sviluppino sintomi compatibili con la COVID-19 o se risultino positivi ai test che rilevano la presenza del coronavirus. Viene anche valutata l’eventuale insorgenza di reazioni avverse, che stando alle precedenti fasi di sperimentazione dovrebbero essere per lo più dolore nel punto dell’iniezione, qualche linea di febbre, affaticamento e mal di testa.

La valutazione dell’efficacia del vaccino è simile tra le due sperimentazioni. Nel caso di Moderna i casi di COVID-19 vengono conteggiati solo se si verificano due settimane dopo la somministrazione della seconda dose, perché l’organismo deve avere il tempo di sviluppare una risposta immunitaria. Nel caso di Pfizer, invece, il conteggio avviene una settimana dopo la somministrazione della seconda dose.

La FDA ha stabilito che qualsiasi vaccino sperimentale contro il coronavirus dovrà dimostrare di essere efficace almeno al 50 per cento. Moderna ritiene che circa 150 casi positivi, tra le decine di migliaia di volontari sia nel gruppo del vaccino sia in quello del placebo, potrebbero essere sufficienti per capire se la sua soluzione sia efficace al 60 per cento, come ipotizzato finora. Pfizer dovrebbe raggiungere un obiettivo simile di efficacia valutando 164 casi positivi. Per motivi etici, i volontari non vengono infettati direttamente con il coronavirus, quindi la sperimentazione può basarsi unicamente sugli eventuali casi di contagio che emergono tra i partecipanti.

Diversi osservatori temono però che le forti pressioni e la prospettiva di arrivare prima degli altri possano indurre le aziende farmaceutiche ad anticipare l’interruzione dei test clinici, una volta ottenuti risultati preliminari positivi. Una chiusura anticipata potrebbe comportare rischi sia per confermare l’eventuale efficacia del vaccino sia per valutarne la sicurezza. Anche per questo motivo nelle ultime settimane ricercatori, osservatori ed esponenti politici hanno chiesto alle aziende farmaceutiche di svelare i loro piani, con un livello di dettaglio senza precedenti per questo tipo di sperimentazioni.

Nel caso di risultati positivi molto evidenti, comunque, l’interruzione anticipata potrebbe essere non solo utile, ma necessaria dal punto di vista etico. Se il vaccino si rivelasse efficace, non sarebbe infatti accettabile proseguire nella somministrazione di un placebo per metà dei partecipanti. Queste valutazioni saranno comunque fatte da un comitato esterno e indipendente selezionato da ogni azienda farmaceutica.

Pfizer ha annunciato che condividerà le informazioni nel caso in cui la sperimentazione sia interrotta per una comprovata efficacia del vaccino, o se dovesse rivelarsi inutile. Moderna si è invece impegnata a dare informazioni sia sulla prima analisi intermedia, sia sulla successiva e più completa.

Per ora Pfizer e Moderna sono le uniche due aziende farmaceutiche ad avere diffuso nel dettaglio le informazioni sui loro piani di sperimentazione, dando la possibilità alla comunità scientifica di valutarle e commentarle. Johnson&Johnson ha annunciato che fornirà qualche informazione solo dopo avere avviato la propria sperimentazione entro la fine di settembre, mentre AstraZeneca dovrebbe offrire dettagli sui protocolli della sperimentazione entro qualche giorno. AstraZeneca ha sviluppato il vaccino in collaborazione con l’Università di Oxford e di recente ha ripreso la sperimentazione in diversi paesi, ma non negli Stati Uniti, dopo una breve sospensione dovuta a effetti avversi in un partecipante.

Alcune aziende farmaceutiche, compresa Moderna, hanno già avviato la produzione dei loro vaccini, nonostante siano ancora in corso di sperimentazione e debbano ricevere un’approvazione da parte delle autorità sanitarie. La loro è una scommessa, seppure rischiosa: nel caso in cui il vaccino sperimentale si rivelasse efficace, potrebbero offrire da subito svariati milioni di dosi.