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  • Domenica 23 agosto 2020

Il rapporto fra Obama e Biden è più complesso di come sembra

Lo racconta un articolo di Politico, lasciando intendere che Biden potrebbe essere un presidente molto diverso dal suo ex capo

(Alex Wong/Getty Images)
(Alex Wong/Getty Images)

Un lungo articolo di Politico ha ricostruito il rapporto fra l’ex presidente statunitense Barack Obama e il suo vicepresidente Joe Biden, oggi candidato presidente dei Democratici alle elezioni presidenziali che si terranno fra tre mesi. Nonostante il rapporto fra i due sia ottimo e piuttosto intimo – si definiscono spesso «fratelli» – Obama e Biden fanno politica in modo molto diverso, a volte radicalmente opposto, e le divergenze che hanno avuto negli anni aiutano a capire che tipo di presidente potrebbe essere Biden se verrà eletto (al momento i sondaggi gli attribuiscono un consistente vantaggio sul presidente in carica, Donald Trump).

Prima che nel 2008 Obama scegliesse Biden come suo candidato per la carica di vicepresidente, si conoscevano soltanto di vista. Secondo una ricostruzione del New York Times, Obama aveva in mente Biden fin dalle prime fasi del complesso processo per scegliere il candidato vicepresidente: e nonostante i due avessero iniziato a sentirsi molto frequentemente e ad avvicinarsi già durante la campagna elettorale, il New York Times ricorda che «Obama ci mise parecchio tempo per sviluppare un rapporto personale con Biden».

Negli otto anni passati insieme alla Casa Bianca, i due costruirono un «vero» rapporto personale «basato in particolare sulla devozione per le rispettive famiglie», scrive Politico, che ha realizzato l’inchiesta parlando con decine di persone molto vicine a entrambi. Specialmente nel periodo finale dell’amministrazione Obama, il rapporto fra i due diventò visibilmente più stretto: durante una delle ultime conferenze stampa prima di lasciare la presidenza, Obama sorprese Biden premiandolo con la medaglia presidenziale della libertà, il più alto riconoscimento civile americano. «Secondo gli storici della presidenza non è mai esistito un rapporto del genere» fra presidente e vicepresidente, disse Biden, molto commosso.

Allo stesso tempo però, continua Politico, «molti stretti collaboratori di Obama, talvolta incoraggiati implicitamente dal comportamento del presidente, consideravano Biden una persona un po’ stramba, che praticava un modo di fare politica che giudicavano antiquato».

Mentre Obama è scrupolosissimo e attento ai dettagli – tanto che ad alcuni risulta una persona fredda e cerebrale – mezza Washington sa che a Biden capita spesso di dire cose inappropriate in pubblico, di non arrivare super-preparato alle riunioni, e di ignorare i consigli del proprio staff per seguire il suo istinto politico. Politico racconta che alcuni collaboratori di Obama ridacchiavano quando Biden iniziava un monologo che da politico consumato quale era aveva probabilmente pronunciato un centinaio di volte, «come se fossero davanti a un anziano zio durante un pranzo di famiglia».

Eppure già allora alcuni consideravano l’atteggiamento di Biden – più informale di quello di Obama, anche nei rapporti con gli avversari politici – come un vantaggio, più che una debolezza. «Negoziare con Obama significava subire il fatto che lui fosse convinto di saperne molto più di te», ha raccontato a Politico Eric Canton, leader dei Repubblicani alla Camera dal 2011 al 2014. Biden, invece, sapeva che «su certi punti si può accettare di non essere d’accordo».

La persona che per un certo periodo contribuì ad allontanare Obama e Biden – o il terzo incomodo nel loro rapporto, come la definisce Politico – è stata Hillary Clinton, che dal 2009 al 2013 è stata segretaria di Stato.

Fin dall’inizio, lo stile di Obama si conciliava meglio con quello di Clinton: entrambi erano molto disciplinati e cerebrali, mentre Biden era più portato a improvvisare. Nonostante Obama pensasse che Biden fornisse all’amministrazione un approccio complementare al suo, di cui percepiva il bisogno, si avvicinò di più a Clinton.

Sia Obama sia Clinton si consideravano dei pionieri che avevano faticato per essere ammessi in due delle università più prestigiose negli Stati Uniti. […] Condividevano anche un metodo di lavoro, dato che facevano sempre i compiti a casa e arrivavano alle riunioni preparati e consapevoli di ogni problema. Nelle riunioni più delicate, quelle che si tenevano nella Situation Room, Clinton «aveva sempre il raccoglitore più spesso, e l’aveva letto tre volte», ricorda un suo ex collaboratore.

Biden non era tipo da raccoglitori, né tantomeno aveva studiato in una università di alto livello. Da piccolo fu bocciato in terza elementare e a causa della sua balbuzie qualcuno lo considerava un po’ indietro. Più avanti fu uno degli studenti peggiori del suo anno alla Syracuse Law School.

Quando fu il momento di scegliere il candidato che avrebbe affrontato le elezioni presidenziali del 2016, divenne sempre più chiaro che Obama e i suoi collaboratori avevano deciso di investire le proprie risorse ed energie su Clinton. Già nel 2013, due anni prima che iniziassero le primarie del Partito Democratico, uno dei collaboratori più stretti di Obama, David Plouffe, incontrò Clinton per offrirle il suo aiuto. Nel 2015 altri collaboratori del giro di Obama, come l’ex responsabile della comunicazione della Casa Bianca Jennifer Palmieri e il consulente John Podesta, furono reclutati per guidare la campagna di Clinton. «Era come se il giro di Obama ci avesse accettato», ha raccontato a Politico un ex collaboratore di Clinton.

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Più o meno nello stesso periodo Obama consigliò esplicitamente a Biden di non candidarsi: lo ricorda anche Biden nel suo libro del 2017 Papà, fammi una promessa. «Attorno a Hillary Clinton c’era un’aura di inevitabilità», ha raccontato Jen Psaki, l’ultima responsabile delle comunicazioni dell’amministrazione Obama: «non ho mai pensato che Obama avesse preferito Hillary Clinton a Joe Biden. Era inevitabile che dopo aver lasciato il Dipartimento di Stato sarebbe stata lei la candidata del partito, e che sarebbe diventata presidente. Obama stava solo cercando di rendersi utile».

Col passare dei mesi, Obama e i suoi collaboratori diventarono più espliciti. Nell’autunno del 2015, Plouffe incontrò Biden e gli consigliò di non concludere la sua carriera con un imbarazzante terzo posto alle primarie Democratiche in Iowa (oltre a quella di Clinton, anche la candidatura di Bernie Sanders stava guadagnando sempre più consensi). C’era una ragione per cui Biden non si era ancora candidato ufficialmente, nonostante mesi di preparativi.

Nei primi mesi del 2015 le condizioni di salute del suo figlio maggiore Beau, a cui era legatissimo, peggiorarono rapidamente: Beau morì il 30 maggio 2015 di tumore al cervello, a soli 46 anni. Biden stesso raccontò che nei mesi successivi rifletté molto sulla possibilità di candidarsi, ma alla fine decise che non era pronto per affrontare una durissima campagna elettorale, candidandosi parecchio tempo dopo i due favoriti (peraltro senza l’esplicito appoggio del suo presidente).

La sua decisione di candidarsi nel 2019, a quasi ottant’anni, stupì molti degli ex collaboratori del giro di Obama, che continuavano ad essere parecchio scettici se non apertamente ostili. La scorsa estate, quando l’account Twitter di Joe Biden pubblicò una foto piuttosto sdolcinata su Biden e Obama per la giornata mondiale del migliore amico, Axelrod scrisse: «è uno scherzo, vero?».

La decisione di Obama di restare fuori dalle primarie Democratiche di quest’anno senza appoggiare esplicitamente nessuno – nemmeno il suo ex vicepresidente – non fu accolta benissimo da Biden e dai suoi collaboratori. E anche quando la vittoria di Biden diventò certa, qualcuno notò la differenza fra le parole usate da Obama nel 2016 per accogliere la candidatura di Clinton – «nessuno è mai stato più qualificato di lei per questo ruolo» – con quelle con cui descrisse Biden, quattro anni più tardi: «Joe ha tutte le qualità che cerchiamo in un presidente, e sono sicuro che si circonderà di brave persone».

Col passare dei mesi il sostegno di Obama e dei suoi collaboratori si è fatto sempre più convinto, tanto che durante il discorso che l’ex presidente ha tenuto qualche giorno fa alla convention dei Democratici è arrivato a definire di nuovo Biden «un fratello» descrivendone a lungo le qualità morali e politiche, opponendole a quelle di Trump.

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Il fatto che negli ultimi mesi si siano stretti intorno a Biden non solo Obama, ma tutti gli ex candidati alle primarie e i principali leader di partito, dice qualcosa anche delle capacità di Biden di costruire relazioni e mutuo rispetto. Politico ha notato che una volta perse le primarie contro di lui, Sanders ha accettato subito il risultato senza tirarla per le lunghe come fece nel 2016, contro Clinton. Sanders considera Biden una delle poche persone che lo prendevano sul serio prima che diventasse il leader nazionale che è oggi, e nonostante le divergenze politiche i due hanno un caloroso rapporto di stima.

Secondo alcuni questo modo di fare politica, meno cerebrale e più basato sulle relazioni interpersonali che sulle proposte politiche, potrebbe essere la chiave per unire tutte le anime del partito e tentare di collaborare con i Repubblicani più moderati; oltre che ottenere i voti di una fetta non scontata dell’elettorato americano. Ancora oggi il modo di fare politica di Biden «riesce a toccare le corde giuste nell’elettorato americano: e forse non ce ne siamo accorti perché viviamo nelle zone residenziali delle città e siamo circondati di gente benestante», ha ipotizzato Psaki.