Perché c’è chi dubita delle mascherine?

Oggi sappiamo che sono molto efficaci per contenere il contagio, ma in molti paesi sono usate pochissimo: a volte anche solo per vanità

Un uomo mette delle mascherine alle statue di un monumento di San Paolo, in Brasile. (AP Photo/Andre Penner)
Un uomo mette delle mascherine alle statue di un monumento di San Paolo, in Brasile. (AP Photo/Andre Penner)

Le mascherine sono diventate uno dei simboli più visibili della quotidianità durante la pandemia da coronavirus, ma nonostante siano estesamente entrate nelle abitudini di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, rimangono – soprattutto in certi paesi – controverse e divisive. Negli Stati Uniti, per esempio, ma anche in Nord Europa, ampie percentuali della popolazione non le indossano, e anzi sono contrarie al loro utilizzo: eppure sono uno degli strumenti più efficaci e semplici per contenere il contagio, dicono sempre più studi.

Una recente ricerca condotta dagli scienziati di quattro università texane e californiane, e pubblicata dal National Academy of Sciences, ha concluso che indossare le mascherine nei luoghi pubblici è il più efficace metodo per bloccare il contagio tra persone, e che «questa pratica senza costi, assieme al distanziamento fisico, all’isolamento e al tracciamento dei contatti, rappresenta l’opportunità migliore per fermare la pandemia da COVID-19, in attesa del vaccino».

A differenza del distanziamento fisico, le mascherine offrono una forma di protezione anche contro la diffusione del virus attraverso gli aerosol, cioè le gocce più piccole che emettiamo tossendo o parlando, e che possono rimanere sospese nell’aria anche diverse ore negli ambienti chiusi. Secondo lo studio scientifico, sia l’OMS sia i CDC – l’organo che si occupa di salute pubblica negli Stati Uniti – inizialmente hanno trascurato l’importanza di questo tipo di contagi, che preoccupa anche nella prospettiva dei mesi di maggiore utilizzo dell’aria condizionata.

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La ricerca del National Academy of Sciences è stata criticata da alcuni scienziati per la metodologia utilizzata, e sono arrivate alcune richieste ufficiali per ritrattarla, ma non è l’unica arrivata a conclusioni simili. L’autorevole rivista Lancet ha pubblicato un’analisi di 172 studi sul tema, concludendo che le mascherine «possono produrre un’ampia riduzione del rischio di infezione», e ci sono stati studi che hanno attribuito alle mascherine, insieme alle altre norme igieniche e di distanziamento, decine di migliaia di vite salvate in tutto il mondo. La consapevolezza che gli asintomatici rappresentino una parte significativa degli infetti, e che possano essere contagiosi, ha aumentato il consenso sulla loro utilità.

L’importanza delle mascherine è dimostrata anche per i contagi che si sa essere i più frequenti, ossia quelli attraverso le gocce di muco e saliva più grosse (droplet). Oggi c’è consenso sul fatto che vengano trattenute anche dalle forme più artigianali di protezione facciali in cotone, feltro, tessuto non tessuto. Pur non raggiungendo l’efficienza delle mascherine chirurgiche e di quelle con filtri medici, sempre più scienziati ed esperti ne segnalano l’efficacia nei luoghi chiusi e affollati. L’utilità delle mascherine nei luoghi aperti e in cui è possibile mantenere il distanziamento fisico di un metro e mezzo, invece, è giudicata bassa o nulla dagli esperti.

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Ma una grande confusione iniziale nelle raccomandazioni delle autorità e degli esperti, unita a una connotazione politica delle mascherine in certi paesi, le hanno rese un tema controverso, come ha spiegato il Wall Street Journal.

Nelle prime settimane dell’epidemia fuori dalla Cina, tra marzo e aprile, l’utilizzo delle mascherine per la popolazione civile era sconsigliato dalle autorità sanitarie, fatta eccezione per chi aveva a che fare con persone malate di COVID-19. In larga parte queste indicazioni erano dovute alla carenza di dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari, a cui era data quindi priorità nell’approvvigionamento di mascherine: ma a lungo la comunità scientifica ha sostenuto che potessero dare un falso senso di sicurezza, che se maneggiate con poca cura o riutilizzate troppo potevano diventare controproducenti, e in generale che i benefici non fossero necessariamente superiori ai rischi.

Il 29 febbraio, per esempio, l’equivalente del ministro della Salute degli Stati Uniti intimò con un tweet categorico agli americani di non comprare mascherine. In seguito si è scusato.

https://twitter.com/surgeon_general/status/1233725785283932160

Da allora sono cambiate molte cose, e le principali autorità e gli esperti hanno pian piano smussato le proprie posizioni fino a cambiarle del tutto. L’efficacia delle mascherine è stata verificata e divulgata, specialmente come strumento per proteggere gli altri dalle proprie secrezioni potenzialmente infette, più che il contrario. È quindi diventato anche un gesto di responsabilità civica: se tutti indossano la mascherina, il virus circola di meno e ci si ammala di meno.

Ci è voluto comunque tempo: in Italia, per esempio, le prime regioni le hanno rese obbligatorie nei luoghi pubblici dopo la prima settimana di aprile, a un mese e mezzo dall’inizio ufficiale dell’epidemia, e a livello nazionale sono state rese tassative nei luoghi chiusi soltanto a maggio.

Secondo un sondaggio dell’istituto britannico YouGov, oggi l’Italia è uno dei paesi in cui è più alta la percentuale di persone che dicono di indossare la mascherina in pubblico: circa l’85 per cento. È un dato molto simile a quello spagnolo, e poco superiore a quello francese: tra i paesi europei colpiti per primi dall’epidemia, e più intensamente.

(YouGov)

In altri paesi, però, le cose sono diverse: in Germania, dove la percezione pubblica del coronavirus e il bilancio dei morti sono stati più limitati, la percentuale è del 64 per cento. Negli Stati Uniti è di poco superiore, mentre nel Regno Unito, secondo il sondaggio, è assai più bassa: il 21 per cento. In Danimarca, Svezia e Norvegia, poi, scende sotto al dieci per cento.

Le ragioni di questa ostilità sono diverse. In Nord Europa, la percezione e il racconto dell’epidemia sono stati molto diversi: anche e soprattutto per il numero più basso di contagi e morti, non c’è stato quel clima emergenziale che, per esempio in Italia, ha convinto più o meno tutti dell’importanza e dell’urgenza di cambiare i propri stili di vita (la Svezia notoriamente non ha nemmeno imposto un vero e proprio lockdown). Ci sono stati poi approcci e messaggi diversi comunicati dai leader politici: se in Italia, più o meno da subito, i presidenti di regione e i membri del governo si sono mostrati con le mascherine, la cancelliera tedesca Angela Merkel, pur raccomandandone l’uso, si è mostrata in pubblico generalmente senza.

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Il dibattito politico italiano inoltre non ha praticamente mai messo in discussione l’importanza delle mascherine, anche se c’è stato chi, come il leader della Lega Matteo Salvini, è stato rimproverato più volte per non averla usata correttamente. Negli Stati Uniti invece le mascherine sono diventate un grande tema di scontro politico: anche se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è adeguato alla raccomandazione generale di usarle, non si è quasi mai fatto vedere con una mascherina e in certe occasioni ha ridicolizzato chi le indossava, che fosse il suo avversario Joe Biden o un giornalista. Al suo recente e discusso comizio in un palazzetto di Tulsa, Oklahoma, le mascherine – così come il distanziamento fisico – non erano obbligatori.

“Wear a mask”, indossate la mascherina, è diventato quindi uno slogan politico per i Democratici, usato spesso dal candidato alla presidenza Joe Biden; dall’altra parte, Trump è sembrato voler fare della sua ostilità alle mascherine una specie di istanza politica, costringendo peraltro moltissimi Repubblicani a prendere posizioni opposte: «Non deve esserci nessuno stigma, nessuno, sull’indossare le mascherine» ha detto il leader dei Repubblicani al Senato Mitch McConnell.

Trump riceve ormai da molte settimane durissime critiche per la sua gestione dell’epidemia, e il suo apparente atteggiamento irrisorio nei confronti delle misure per contenere il contagio, compresa la mascherina, hanno finito secondo molti osservatori per danneggiarlo nei consensi. Soprattutto perché l’epidemia negli Stati Uniti sta peggiorando sempre di più. Negli ultimi giorni Trump sembra aver cambiato pubblicamente posizione sulle mascherine, dicendo di non essere contrario al loro utilizzo e aggiungendo di averne indossata una: «mi piaceva come mi stava. Era una mascherina scura, nera, e ho pensato che mi stesse bene. Sembravo un po’ il Lone Ranger».

Ma nel frattempo negli Stati Uniti per molti indossare o meno la mascherina è diventato un gesto di appartenenza politica. Un sondaggio di Axios con l’istituto Ipsos ha rilevato che la percentuale di sostenitori del partito Democratico che indossano la mascherina ogni volta che escono di casa è del 65 per cento, mentre cala al 35 per cento tra i Repubblicani. A livello locale sono in corso scontri tra politici Democratici che vorrebbero imporle, e altri Repubblicani che si oppongono.

Qualcosa di simile è successo anche in altri paesi, come il Brasile, dove il presidente Jair Bolsonaro ha fatto dell’irrisione per le regole sanitarie, compreso l’uso delle mascherine, un punto della propria comunicazione politica.

Secondo uno studio della Middlesex University London, e del Mathematical Sciences Research Institute di Berkeley, poi, ad avere un ruolo nell’accettare o meno l’uso delle mascherine è la vanità maschile: la ricerca ha scoperto che sono di più gli uomini, rispetto alle donne, a ritenerle «un segno di debolezza e uno stigma». In altri paesi ancora, ha spiegato il Wall Street Journal, lo scetticismo verso le mascherine si è sovrapposto a quello verso il velo islamico. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che nel 2017 aveva introdotto un divieto per il burqa e il niqab, ha detto per esempio di essere consapevole che «le maschere sono estranee alla nostra cultura».

Non è stato così in tutto il mondo. In molti paesi asiatici, specialmente quelli che hanno avuto più a che fare con epidemie negli ultimi decenni, indossare una mascherina è una pratica diffusa e accettata da anni, senza troppe discussioni. Yuen Kwok-Yung, microbiologo e consulente del governo di Hong Kong sul coronavirus, ha spiegato che l’ampia diffusione delle mascherine è stata una delle cose più importanti nel contenimento dell’epidemia, che nella regione ha fatto soltanto 7 morti, senza che siano mai stati introdotti lockdown severi come quelli europei. Secondo Yuen, il 97 per cento delle persone sui mezzi pubblici nelle ore di punta indossa le mascherine: la restante parte, ha detto, sono perlopiù americani ed europei.