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  • Martedì 29 ottobre 2019

Il governo è cambiato ma le scelte sui migranti no

Le navi delle ong continuano a restare per giorni in mare, i decreti sicurezza sono ancora lì e le soluzioni a lungo termine non si vedono

di Luca Misculin

(EPA/Francisco Gentico)
(EPA/Francisco Gentico)

Il 31 agosto, nel pieno delle trattative fra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle per formare un nuovo governo, il segretario del PD Nicola Zingaretti twittò un articolo di Repubblica che raccontava le storie di alcuni migranti soccorsi in mare dalla nave Mare Jonio della ong Mediterranea. Come capitava in quei mesi a tutte le navi gestite dalle ong, alla Mare Jonio era stato impedito di attraccare in Italia dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, sulla base del controverso “decreto sicurezza bis”. «Queste cose non vogliamo più vederle. Non è umano. Fate scendere subito questi esseri umani», commentò Zingaretti.

Per via di questa e altre prese di posizione degli ultimi mesi, ci si aspettava che sull’immigrazione il secondo governo Conte sostenuto dal PD avrebbe modificato l’approccio intransigente di Salvini: è successo, ma solo in parte. Quando poi il governo è intervenuto su alcuni temi non affrontati da Salvini – come i rimpatri dei migranti irregolari – il risultato è stato giudicato poco soddisfacente dagli esperti di immigrazione.

Negli ultimi giorni, per esempio, il governo italiano ha negato la disponibilità dei propri porti alle navi di due ong che hanno soccorso decine di persone al largo della Libia. Il caso più grave è quello della nave Ocean Viking, gestita dalle ong Medici Senza Frontiere e SOS Méditerranée, che è rimasta per undici giorni nel tratto di mare fra Libia e Italia con a bordo 104 migranti, soccorsi il 18 ottobre. Fra le persone soccorse ci sono 41 minori e dieci donne, fra cui due incinte. Nel pomeriggio del 29 ottobre, il governo ha infine concesso il porto di Pozzallo, in Sicilia. L’altra nave bloccata è la Alan Kurdi, che tre giorni fa ha soccorso 92 persone e da allora è in attesa di poter sbarcare in Italia o a Malta.

Il governo italiano non ha ancora spiegato perché ci ha messo così tanto a concedere un porto alla Ocean Viking o perché non l’abbia ancora garantito alla Alan Kurdi. Soltanto due settimane fa, fra l’altro, la Ocean Viking aveva dovuto attendere pochi giorni prima di essere assegnata al porto di Taranto, in Puglia, dove furono sbarcati 176 migranti soccorsi in due distinte operazioni.

In casi come questo si intravedono comunque alcune differenze con la gestione di Salvini. Il nuovo governo per esempio non ha mai emesso i divieti di ingresso nelle acque italiane «per motivi di ordine e sicurezza pubblica»: una possibilità prevista dal “decreto sicurezza bis”, forse la più controversa fra le misure promosse da Salvini sull’immigrazione, dato che secondo diversi esperti non tiene conto di numerose norme del diritto internazionale e marittimo. E mentre durante la gestione di Salvini le navi delle ong attendevano circa nove giorni prima dello sbarco – imposto a volte da autorità giudiziarie – col nuovo governo l’attesa è scesa a circa sei giorni.

Secondo un calcolo del ricercatore dell’ISPI Matteo Villa, inoltre, dall’insediamento del governo ad oggi – cioè in poco meno di due mesi – la percentuale delle persone soccorse dalle ong fra quelle arrivate in Europa è aumentata dal 10 al 18 per cento. Non è ancora chiaro se il dato mostri davvero un cambiamento di tendenza: va preso con le molle sia perché parliamo di numeri molto contenuti, alcune centinaia di persone concentrate in pochi sbarchi, sia perché due mesi sono un campione troppo ridotto per una valutazione solida.

L’altra faccia della medaglia è che il nuovo governo sembra avere ereditato alcune pratiche da quello precedente, appoggiato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Nessuna ong è sbarcata in Italia senza un periodo di attesa: i porti non erano «chiusi» prima e non sono «spalancati» oggi, come invece scrivono i giornali di destra. La Ocean Viking, inoltre, è stata bloccata dal nuovo governo come Salvini era solito fare prima dell’approvazione del “decreto sicurezza bis”, cioè spiegando alla nave in maniera informale che il governo non avrebbe concesso alcuna autorizzazione a sbarcare in un porto italiano.

Infine, il governo non ha ancora abrogato o modificato i due decreti sicurezza promossi da Salvini, come pure PD e Movimento 5 Stelle avevano promesso di fare nel programma di governo. Del resto da anni il Movimento 5 Stelle sull’immigrazione ha posizioni vicine alla destra, che si sono accentuate dalla nomina a capo politico di Luigi Di Maio (il primo politico a usare l’espressione «taxi del Mediterraneo» per descrivere il lavoro delle ong che salvano le persone in mare).

L’ambiguità del nuovo governo si percepisce anche nelle rare uscite pubbliche del nuovo ministro dell’Interno, l’ex prefetta Luciana Lamorgese. Quando Lamorgese lavorò come prefetto di Milano fra il 2017 e il 2018, si distinse per una sensibilità più acuta sul tema dell’accoglienza dei migranti – promosse un apprezzato piano di redistribuzione dei richiedenti asilo con l’obiettivo di chiudere i centri più grossi e problematici – ma al contempo rivendicò una grande attenzione alla«percezione di sicurezza» dei cittadini. «La nostra idea di sicurezza deve andare oltre la statistica», disse al Corriere della Sera. Fu proprio durante il suo mandato da prefetto che alla Stazione Centrale di Milano si tenne una enorme operazione di polizia contro gli stranieri che frequentano la piazza, che già all’epoca sembrò più un evento mediatico a favore di telecamere e passanti che una vera e propria operazione.

Lamorgese sembra voler replicare lo stesso schema anche da ministro dell’Interno. La settimana scorsa ha ricevuto nella sede del ministero una delegazione delle ong che lavorano nel Mediterraneo. I temi dell’incontro non sono stati resi noti, ma fonti del ministero avevano fatto capire che l’incontro era andato bene. Anche le ong avevano diffuso un comunicato piuttosto conciliante in cui lodavano la «riapertura del dialogo». Eppure qualche settimana prima Lamorgese aveva risposto in maniera molto netta a una domanda di Corrado Formigli sull’eventuale rilancio di Mare Nostrum, un’operazione militare italiana avviata nel 2013 dal governo di Enrico Letta per soccorrere le persone nel tratto di mare fra Libia e Italia.

Lamorgese rispose che dei soccorsi in mare in Libia deve occuparsi la Guardia Costiera libica – un corpo formato da controverse milizie private vicine ai trafficanti e noto per riportare i migranti che intercetta nei famigerati centri di detenzione libici – e che la base per il rapporto con le ong dev’essere il “codice di condotta” promosso dal predecessore di Salvini, cioè Marco Minniti. Nel 2017, quando fu introdotto, il codice fu molto criticato dalle ong perché prevedeva per esempio di non ostacolare il lavoro della cosiddetta Guardia costiera libica, e di accettare la presenza a bordo di forze dell’ordine italiane (richiesta inaccettabile per ong come Medici Senza Frontiere, nel cui statuto c’è il divieto di cooperare con qualsiasi forza armata per questioni di neutralità).

Commentando l’ultimo caso che riguarda la Ocean Viking e l’incontro con Lamorgese, un portavoce di Medici Senza Frontiere ha spiegato a Repubblica che «quel tavolo non conta nulla se non lo si riempie di contenuti. Siamo di nuovo punto e a capo: trattative caso per caso con la gente in mare. Bisogna capire se la priorità è dare risposte all’opinione pubblica o se invece si vuole trovare veramente una soluzione di lungo periodo». Medici Senza Frontiere non lo dice esplicitamente, ma diversi osservatori hanno notato che la Ocean Viking è stata bloccata negli ultimi giorni della campagna elettorale per le elezioni regionali in Umbria, dove PD e M5S hanno sostenuto per la prima volta un candidato comune e dove il centrodestra – storicamente più intransigente sull’immigrazione – sembrava in vantaggio (la sua candidata ha poi stravinto).

Eppure nelle prime settimane del suo mandato Lamorgese aveva provato a lavorare a una soluzione di lungo periodo, concordando un piano con Francia e Germania per ricollocare automaticamente le persone che sbarcano in Italia dopo essere state soccorse in mare (che comunque sono solo una piccola parte del totale, come mostrano i dati di prima). Per diventare operativo, era stato previsto che il piano coinvolgesse una decina di altri paesi europei: quando però è stato presentato in una riunione del Consiglio dell’Unione Europea, non si è trovato un accordo, e al momento non è chiaro se il governo stia continuando a negoziare per trovarlo. Oltre alla consueta opposizione dei paesi dell’Est Europa, ad alcuni il piano è sembrato semplicemente fuori luogo, dato che la Spagna e soprattutto la Grecia negli ultimi mesi sono state interessate da un flusso di migranti decisamente superiore a quello dell’Italia.

Da quando si è capito che il piano concordato con Francia e Germania non sarebbe stato applicato, almeno nel breve periodo, il governo sembra avere esaurito le idee per una gestione a lungo termine del fenomeno. In un’intervista data al Corriere della Sera quattro giorni dopo la riunione del Consiglio dell’Unione Europea, Lamorgese ha ribadito che serve «una risposta coordinata e condivisa a livello europeo», ma senza offrire ulteriori spunti. Due settimane dopo, ha bloccato la Ocean Viking e la Alan Kurdi con le stesse modalità usate da Salvini prima del “decreto sicurezza bis” (cioè senza emettere un esplicito divieto di ingresso). Nel caso della Ocean Viking, peraltro, il governo ha aspettato che Francia e Germania si impegnassero ad accogliere alcuni migranti, proprio come accadeva durante la gestione di Salvini.

Nella stessa intervista al Corriere della Sera, Lamorgese ha auspicato il rafforzamento dei corridoi umanitari, cioè il trasferimento diretto di richiedenti asilo particolarmente vulnerabili in Italia. I corridoi umanitari sono stati spesso indicati da Lamorgese e dai suoi predecessori come una soluzione efficace per contrastare l’immigrazione irregolare verso l’Italia, ma il grande non detto è che riguardano pochissime persone. L’ultima misura del governo sul tema è stata approvata a maggio e prevede il trasferimento in Italia di 600 richiedenti asilo in due anni (cioè una media di 25 al mese, meno di uno al giorno). Ad oggi non esistono vie legali e praticabili per arrivare in Italia con l’obiettivo di cercare lavoro o chiedere protezione, e il governo non sembra intenzionato a trovare una soluzione a breve.

L’unico aspetto dell’immigrazione su cui il nuovo governo è intervenuto concretamente è quello dei rimpatri. È un problema noto da tempo: per riportare nel loro paese i richiedenti asilo che non hanno diritto a rimanere in Italia ci vogliono risorse, fondi e accordi bilaterali con i paesi di provenienza, difficilissimi da fare (è un problema comune a diversi paesi europei).

A inizio ottobre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha approvato un decreto che estende la lista dei paesi considerati “sicuri” dal governo italiano, cosa che sulla carta dovrebbe rendere più semplici le procedure di rimpatrio degli irregolari che provengono da quei paesi. In realtà gli esperti di immigrazione hanno giudicato il decreto Di Maio un mezzo pasticcio.

Per prima cosa, esiste il rischio concreto che le persone interessate finiscano in un limbo giuridico che di fatto le lascerebbe sul territorio italiano. L’Italia ha stipulato solo quattro accordi bilaterali per il rimpatrio, con Tunisia, Marocco, Egitto e Nigeria: gli irregolari provenienti da tutti gli altri paesi non si possono rimpatriare, a meno di difficilissimi accordi estemporanei. Mario Morcone, ex capo del Dipartimento libertà civili ed immigrazione del ministero dell’Interno, ha fatto notare all’ANSA che i migranti in questione finiranno per intasare i Centri di permanenza per il rimpatrio, «che hanno solo poche centinaia di posti a disposizione».

Su tredici nuovi paesi sicuri individuati dal governo, inoltre, ce ne sono alcuni particolarmente problematici: la Tunisia, per esempio, non riconosce i diritti degli omosessuali, in Ghana esiste un problema enorme di violenze sulle donne, e in Ucraina si combatte da anni una guerra civile che ha già causato migliaia di profughi. Con tutti i suoi difetti, al momento il decreto rimpatri rimane l’unico provvedimento tangibile del governo in materia di immigrazione.