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  • Mercoledì 28 agosto 2019

Boris Johnson ha sospeso il Parlamento britannico

La Regina ha acconsentito alla richiesta del primo ministro, che vorrebbe evitare l'approvazione di una legge che impedisca il "no deal" su Brexit

Boris Johnson (AP Photo/Francois Mori)
Boris Johnson (AP Photo/Francois Mori)

Il governo britannico guidato dal primo ministro conservatore Boris Johnson ha chiesto alla Regina di sospendere i lavori del Parlamento del Regno Unito per cinque settimane, da inizio settembre fino al 14 ottobre, e la Regina come da consuetudine ha accettato. È la più lunga sospensione del Parlamento dal 1945 ad oggi, ha scritto il Guardian.

Le voci di una possibile sospensione circolavano da giorni ed erano state riportate da diversi giornali britannici, tra cui l’Observer. Secondo osservatori e politici di opposizione, Johnson avrebbe deciso di chiedere la sospensione per evitare che il Parlamento interferisca di nuovo nel processo di Brexit, la cui data è fissata per il 31 ottobre; e in particolare per impedire che i parlamentari di opposizione possano avere il tempo di approvare una legge che impedisca il cosiddetto “no deal“, cioè l’uscita senza accordo del Regno Unito dall’Unione Europea, scenario considerato da molti catastrofico ma allo stesso tempo ormai accettato – anche dallo stesso Johnson – come il più plausibile. Sia il Guardian sia il Financial Times hanno usato le stesse parole per descrivere la decisione di Johnson, parlando di «un affronto per la democrazia».

Tecnicamente, per sospendere i lavori del Parlamento Johnson deve chiedere alla Regina di tenere il Queen’s Speech, il suo tradizionale discorso di fronte al Parlamento durante la cerimonia dell’inizio della nuova sessione dei lavori parlamentari. Il discorso, anche se pronunciato dalla Regina, è scritto dal governo e include il programma che lo stesso esecutivo intende realizzare nel corso dell’anno successivo. Nel periodo precedente al discorso, le attività parlamentari vengono sospese e di fatto il parlamento viene chiuso.

La sospensione del Parlamento è dunque un evento non straordinario nel Regno Unito, che la Regina stabilisce per prassi su richiesta del primo ministro in carica. La situazione attuale però è tutto fuorché normale, perché Johnson è un primo ministro subentrato e molto divisivo, e perché c’è di mezzo la scadenza di Brexit: solitamente la sospensione dura solo qualche giorno – e non cinque settimane – e non viene usata come strumento per ottenere qualcosa dal punto di vista politico.

Johnson ha confermato di voler chiedere alla Regina di tenere il discorso il 14 ottobre, limitando in maniera molto rilevante il tempo dato al parlamento di discutere e approvare eventuali leggi su Brexit prima del 31 ottobre, la data fissata per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Ai parlamentari rimarrebbero pochi giorni disponibili per fare qualsiasi cosa, soprattutto per approvare una legge che impedisca il “no deal”. Nelle ultime settimane Johnson ha detto più volte di non escludere la possibilità del “no deal” nel caso in cui l’Unione Europea decidesse di non modificare l’accordo già trovato con il precedente governo di Theresa May e bocciato tre volte dal Parlamento britannico: finora l’Unione Europea ha sempre detto di non voler rinegoziare l’accordo, posizione che ha reso più probabile lo scenario del “no deal”.

Un possibile calendario, ha scritto il Guardian, potrebbe quindi essere questo: il 3 settembre ci sarà la prima sessione del Parlamento dopo la chiusura estiva, ed entro il 12 settembre i lavori parlamentari verranno sospesi per permettere ai partiti di tenere i rispettivi congressi. Il Parlamento riaprirà il 14 ottobre, giorno del Queen’s Speech, mentre per il 17 è fissato il Consiglio europeo, organo dell’Unione Europea che riunisce i capi di stato e di governo dei paesi membri. Se nella riunione del 17 ottobre si arrivasse a un nuovo accordo su Brexit – ipotesi per ora improbabile – il Parlamento britannico avrebbe fino al 31 ottobre per approvare la nuova intesa ed evitare il “no deal”.

Nonostante i ministri del governo britannico sostengano che sia prerogativa del primo ministro chiedere alla Regina di tenere il suo tradizionale discorso, e quindi presentare il programma di governo, i partiti di opposizione stanno duramente criticando la mossa di Johnson, che considerano uno scandalo e una limitazione dei poteri garantiti al parlamento dalla Costituzione.

Jeremy Corbyn, leader dei Laburisti, ha accusato Johnson di “voler forzare” le regole democratiche. Una parlamentare dello Scottish National Party (SNP) ha detto di avere parlato con un gruppo di avvocati e di avere intenzione di avviare una causa legale in un tribunale scozzese con l’obiettivo di bloccare la sospensione del parlamento da parte di Johnson. Nicola Sturgeon, leader dello SNP, ha parlato di un «giorno nero per la democrazia» e ha chiesto ai conservatori scozzesi di sostenere gli sforzi dell’opposizione per evitare la sospensione del parlamento. Philip Hammond, importante politico conservatore ed ex Cancelliere dello Scacchiere, ha definito la mossa di Johnson «profondamente antidemocratica». John Bercow, speaker della Camera noto tra le altre cose per i suoi scontri con i governi in carica, ha parlato di «oltraggio alla Costituzione».

La situazione è molto intricata, anche perché oltre al dibattito su Brexit da settimane si parla della possibilità che le opposizioni votino una mozione di sfiducia contro Johnson prima della scadenza di Brexit, di modo da avere un governo che si opponga a ogni costo al “no deal”. Anche in questo caso però lo scenario è molto incerto e potrebbero non esserci i tempi per realizzarlo. Se si verificassero alcune circostanze, infatti, Johnson potrebbe decidere di non dimettersi dal suo incarico nonostante la sfiducia, avviando una crisi costituzionale.

C’è poi da considerare un’ultima cosa. Anche se il parlamento britannico dovesse riuscire ad approvare una legge per impedire il “no deal”, lo scenario che prevede l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea senza un accordo potrebbe verificarsi comunque. Il punto è che Brexit è un processo che si decide in due, da una parte il Regno Unito e dall’altra l’UE: mentre l’UE è stata piuttosto unita, rimanendo ferma sulle sue posizioni per molti mesi, il parlamento britannico ha mostrato profonde divisioni e differenze e non è mai riuscito a esprimersi a maggioranza a favore di un’opzione alternativa. Impedire il “no deal” senza avere una soluzione alternativa, oltretutto con pochissimi giorni ancora disponibili per negoziare, potrebbe non avere alcuna conseguenza reale su Brexit: se il 31 ottobre non si arriverà a un accordo, e se non ci saranno ulteriori proroghe, si verificherà lo scenario del “no deal”, che lo voglia o no il Regno Unito.