I migranti della Diciotti resteranno in gran parte in Italia

Saranno accolti dalle strutture della Chiesa tra Roma, Torino, Brescia, Bologna, Agrigento e altre città

Il centro Mondo Migliore a Rocca di Papa, 27 agosto 2018
(ANSA/CLAUDIO PERI)
Il centro Mondo Migliore a Rocca di Papa, 27 agosto 2018 (ANSA/CLAUDIO PERI)

Nicoletta Cottone racconta sul Sole 24 Ore dove andranno i 177 migranti sbarcati dalla Diciotti, la nave militare italiana che per cinque giorni era stata bloccata nel porto di Catania dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che soltanto sabato sera ha autorizzato lo sbarco. La maggior parte delle persone salvate, come subito annunciato, sarà ospitata in Italia nelle strutture della Chiesa italiana, e in particolare nel centro “Mondo migliore” a Rocca di Papa, a sud di Roma: fu inaugurato nel 1956 da papa Pio XII e trasformato dal 2012 in un Cas, un Centro di accoglienza straordinaria, che può ospitare fino a 600 persone. La parte restante dovrebbe andare in Irlanda e in Albania.

«I migranti della Diciotti accolti dalla Chiesa impareranno la lingua italiana e saranno migranti integrati. È stato lo stesso Papa Francesco, sul volo di ritorno da Dublino, ad annunciarlo. I migranti della Diciotti accolti dalla Chiesa cattolica (oltre che in Albania e Irlanda) andranno, ha detto il Pontefice, a «Mondo Migliore, a Rocca di Papa. Saranno accolti lì, cominceranno a imparare la lingua e a essere migranti integrati». Mondo migliore è un Cas, un Centro di accoglienza straordinaria, che si trova a Rocca di Papa, a sud di Roma, sulla via dei Laghi. E ha una grande storia alle spalle, tanto che fu inaugurato nel 1956 da Pio XII.

I migranti saranno poi smistati nelle diocesi
Poi i migranti saranno smistati nelle tante diocesi che hanno dato la disponibilità: Torino, Brescia, Bologna, Agrigento, Cassano allo Jonio, Rossano Calabro, «per citare solo quelle di cui sono a conoscenza», ha detto al Sir, l’agenzia dei vescovi italiani, don Ivan Maffeis, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali. “Questa è una risposta di supplenza. Non è “la risposta”. La risposta di un Paese democratico matura attraverso ben altri processi. Ma anche risposte di solidarietà e di umanità come questa possono aiutare a sviluppare una cultura dell’accoglienza”».

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