La lettera di Loris Bertocco, che ha deciso di morire
Un uomo di 59 anni, paralizzato e cieco, ha scritto a Concita De Gregorio prima di morire, ieri, in una clinica svizzera
Loris Bertocco, un uomo di 59 anni che da 40 anni era paralizzato per via di un incidente in moto, ha raccontato in una lettera inviata a Concita De Gregorio di Repubblica la sua storia, chiedendo che l’Italia approvi una legge sul cosiddetto “testamento biologico”, e una sul suicidio assistito. Bertocco ha scritto infatti che dopo una «lunghissima riflessione» ha deciso che «la qualità della mia vita sia scesa sotto la soglia dell’accettabilità e penso che non valga più la pena di essere vissuta». È morto ieri in una clinica in Svizzera. De Gregorio ha raccontato in un articolo quello che ha saputo su Bertocco dopo avere ricevuto la sua lettera, che è arrivata comunque troppo tardi perché potesse mettersi in contatto con lui.
Dal 1977, quando ha avuto l’incidente, Bertocco aveva avuto una storia clinica complicata e piena di alti e bassi, con periodi di maggiore autosufficienza e altri di completa dipendenza dagli aiuti degli assistenti, famigliari e amici. Fin da giovane aveva avuto inoltre problemi di vista, che dal 1996 lo avevano reso cieco. Su Repubblica ha raccontato la difficoltà nell’intrattenere relazioni sentimentali stabili, cosa in cui era comunque riuscito per molti anni, tra il 1996 e il 2011, quando sua moglie ha chiesto la separazione per via dell’impegno richiesto nella sua assistenza.
Sono Loris, vi chiedo la possibilità di accompagnarmi in questo percorso e vi racconto la mia storia.
Sono nato a Dolo il 17 giugno del 1958 e nel 1977 frequentavo l’Istituto Tecnico. Il 30 marzo 1977 ho fatto un incidente stradale che avrebbe potuto portare delle conseguenze di poco conto. Un’automobile mi ha investito mentre ero in ciclomotore. In realtà l’incidente ha avuto delle conseguenze molto gravi e nell’impatto c’è stata una frattura delle vertebre C5 C6 e sono rimasto completamente paralizzato.
Sono stato subito ricoverato all’Ospedale di Padova nel reparto di neurochirurgia, dove mi hanno operato immediatamente e lì sono rimasto fino al 16 giugno 1977. Sono stato poi ricoverato nell’Ospedale Civile di Vicenza dove sono rimasto fino al 29 ottobre dello stesso anno. Il certificato che è stato redatto nello stesso Ospedale alle dimissioni attesta una situazione che a parere dei medici era di gravità estrema; si parlava di difficoltà nel potere riacquisire una stazione eretta e dell’impossibilità della deambulazione e quindi di non più autosufficienza. Qualche giorno dopo il mio ritorno a casa il fisioterapista che mi aveva seguito nel primo ricovero in neurochirurgia di Padova, dove mi avevano operato di laminectomia con artrodesi C3 C4 C5, è riuscito a farmi camminare con il suo sostegno e con quello di mio padre per un tratto di circa venti metri. In questo tratto muovevo autonomamente le gambe, anche se spesso tentavano di cedere.
La riabilitazione
Dopo pochi giorni a metà dicembre del 1977 sono stato ricoverato all’Ospedale al Mare di Lido di Venezia. Quando i medici hanno verificato che riuscivo a spostarmi con un aiuto, hanno investito molto sul mio recupero e sono rimasto ricoverato per molti mesi e con brevi interruzioni fino al luglio del 1980. Dopo questo lungo percorso riabilitativo mi alzavo dalla carrozzina facendo leva sul braccio destro o su un appoggio fisso. Camminavo con due stampelle: la parte sinistra funzionava meglio e con quella riuscivo a mangiare da solo e a tenere la stampella, mentre la destra funzionava peggio e non poteva sostenerla autonomamente.