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  • Venerdì 29 luglio 2016

In Spagna ci prova Rajoy

Il re ha affidato l'incarico al primo ministro uscente, che però dopo 8 mesi dalle prime elezioni ancora non sembra avere grandi possibilità di formare un governo

Il re di Spagna Filippo VI con Mariano Rajoy, 28 luglio 2016 (Angel Diaz/EFE Pool/Getty Images)
Il re di Spagna Filippo VI con Mariano Rajoy, 28 luglio 2016 (Angel Diaz/EFE Pool/Getty Images)

Giovedì 28 luglio il re della Spagna Filippo VI ha concluso gli incontri e i colloqui con i leader dei vari partiti e ha incaricato l’attuale primo ministro spagnolo Mariano Rajoy del Partito Popolare (il PP, il più votato alle elezioni di un mese fa) di cercare di formare un nuovo governo dopo 7 mesi di stallo politico. Rajoy ha accettato dicendo che per ora condurrà una serie di trattative per trovare il sostegno necessario e ottenere una maggioranza nel parlamento eletto lo scorso 26 giugno. Rojoy ha però detto che se non troverà una maggioranza non si sottoporrà al voto di fiducia della Camera.

Le elezioni di giugno erano state convocate per superare l’ingovernabilità dopo le votazioni dello scorso dicembre, che non avevano dato una maggioranza chiara a nessun partito o coalizione, ma i risultati non sembrano aver reso più facile trovare una soluzione. Tenendo conto solamente dei numeri, per raggiungere la maggioranza assoluta (176 seggi) l’alleanza più “semplice” sembra essere quella tra i due maggiori partiti tradizionali, i Popolari di centrodestra e i Socialisti del PSOE, che potrebbero formare una grande coalizione. Il leader dei Socialisti Pedro Sánchez ha escluso però un possibile accordo con Rajoy (come aveva fatto già mesi fa), aggiungendo che se fallirà nei negoziati lui è pronto a ricevere l’incarico dal re.

Insomma, scrive El País, «trentatré giorni dopo le seconde elezioni in mezzo anno e dopo più di nove mesi di governo facente funzione, tutto è rimasto uguale a prima». Non c’è alcun accordo per formare una maggioranza e non c’è alcun negoziato o gruppo di lavoro per avvicinare le posizioni. Tutti i leader politici dicono che non ci saranno nuove elezioni, cosa che tutti considerano un’ipotesi «drammatica». Ma non è chiaro «come» delle nuove elezioni si riusciranno ad evitare, scrive il quotidiano spagnolo, e nessuno finora è riuscito a dare una risposta.

Come si è arrivati fino a qui
PSOE e PP hanno espresso praticamente tutti i primi ministri spagnoli degli ultimi quarant’anni. Negli anni però è cresciuto un forte scontento nei loro confronti. E sono principalmente due gli elementi che hanno contribuito a questa disaffezione. Il primo è la crisi: dopo il crollo economico e finanziario iniziato nel 2008 e nove trimestri di decrescita consecutiva, la Spagna è uscita dalla recessione nell’ottobre del 2013. Da allora sono cominciati ad arrivare dati positivi, lenti ma costanti, a cui non è seguito però un miglioramento della fiducia nel governo. C’è poi una seconda questione: il Partito Socialista e il Partito Popolare – colpito nel 2013 da una serie di scandali legati alla corruzione – non hanno saputo affrontare il rinnovamento interno di cui avrebbero avuto bisogno, finendo per essere identificati con un passato non troppo felice. La conseguenza di questa situazione, come si è visto già nelle elezioni regionali e comunali del maggio 2015, è stata la fine del bipartitismo: accanto ai due partiti storicamente più importanti, Socialisti e Popolari, si sono affermati due nuove forze politiche: Podemos di Pablo Iglesias e Ciudadanos di Albert Rivera. Il risultato è che però nelle ultime votazioni nessuno dei quattro principali partiti ha ottenuto una numero di voti sufficienti per andare al governo.

Le elezioni di dicembre avevano portato alla formazione di un Parlamento molto frammentato, senza una maggioranza chiara e alla necessità di formare un governo di coalizione per la prima volta dal 1982. I negoziati erano stati lunghi e complicati. Alla fine di aprile il re aveva indetto nuove elezioni. I risultati di queste seconde votazioni avevano portato a qualche cambiamento, ma a una situazione identica: il Partito Popolare aveva migliorato il suo risultato di dicembre, guadagnando 14 seggi rispetto ad allora e arrivando a 137 in totale; la forza politica che si pensava potesse fare grandi passi avanti, Unidos Podemos – una coalizione formata da Podemos e dal partito di sinistra Izquiera Unida – aveva ottenuto nel complesso gli stessi seggi delle ultime elezioni (71); il Partito Socialista era arrivato secondo ottenendo 85 seggi, cinque in meno rispetto a dicembre; Ciudadanos di Albert Rivera aveva perso 8 seggi, non riuscendo a sottrarre voti né a destra né a sinistra.

Una cosa da sapere
L’articolo della Costituzione spagnola che stabilisce le procedure per la formazione di un nuovo governo, il numero 99, dice che il re proporrà un candidato alla presidenza del governo, il quale esporrà il proprio programma politico e chiederà la fiducia della Camera: per la nomina è necessaria la maggioranza assoluta. Se non sarà raggiunta ci sarà una nuova votazione dopo 48 ore e a quel punto basterà la maggioranza semplice, in pratica senza contare gli astenuti. Se anche nella seconda votazione non ci sarà la fiducia il re proporrà nuovi candidati, quanti ne vuole. Se dopo due mesi a partire dalla prima votazione sulla fiducia nessun candidato avrà ottenuto la fiducia del Congresso, il re scioglierà entrambe le Camere e indirà nuove elezioni.

E quindi?
Dopo aver ricevuto l’incarico da re Mariano Rajoy ha spiegato come intende fare nelle prossime settimane: convocare i leader dei vari partiti (ad eccezione dei gruppi nazionalisti e separatisti catalani) per discutere i punti del suo programma elettorale e negoziare un ampio esecutivo «moderato e stabile». Ha spiegato che il suo programma è solo un punto di partenza e ha detto di essere pronto ad accogliere dei cambiamenti. Rajoy, poi, ha accennato al fatto che se questo primo percorso non andrà a buon fine potrebbe formare un governo di minoranza con i soli 137 deputati del PP. Non ha però chiarito come pensa di fare se Ciudadanos, PSOE e Podemos resteranno fermi sulle loro posizioni, e cioè non sostenere Rajoy e non concedere nemmeno il loro voto di astensione nel caso il PP chieda la fiducia alla Camera per un governo di minoranza.

Ci sono comunque alcune differenze nelle posizioni dei vari leader: Rivera, ad esempio, sembra più propenso ad astenersi nel caso di un governo di minoranza del PP e ha proposto, in alternativa, un esecutivo senza Rajoy ma con un candidato condiviso con PP e PSOE. Iglesias insiste sul fatto che è possibile creare un’alternativa a un nuovo governo Rajoy con un’alleanza tra le varie forze progressiste, giudica fattibile un accordo con il PSOE ma ha escluso un’alleanza con Ciudadanos.

Insomma, la situazione sembra identica a quella degli scorsi mesi e i numeri continuano a non tornare: la strada più facile per arrivare a una maggioranza sarebbe l’alleanza tra Popolari e Socialisti che insieme riuscirebbero ad avere 222 seggi, ma Sánchez per ora l’ha esclusa. Ciudadanos di Albert Rivera non vuole Mariano Rajoy e comunque la sola alleanza PP-Ciudadanos non sarebbe sufficiente a raggiungere la maggioranza: i due partiti insieme arriverebbero a quota 169. Non sarebbe sufficiente nemmeno una coalizione tra PSOE e Podemos. Un accordo a tre, tra Ciudadanos, Podemos e PSOE raggiungerebbe una maggioranza di 188 seggi, ma è stato escluso da Iglesias.

El País conclude quindi che «l’unica cosa chiara a questo punto è che si arriverà ad agosto senza vedere la luce alla fine del tunnel. La cosa peggiore è che i due principali leader politici sono inflessibili nelle loro posizioni iniziali: Rajoy non ha offerto nulla in cambio di un voto di fiducia del PSOE e Sánchez si è chiuso sulla linea del no. Quindi non stiamo andando da nessuna parte. Beh sì, verso altre elezioni».